La narrazione di Edgarda Ferri intreccia la vita della sovrana con il suo ritratto tracciato da Piero della Francesca
di Mario Iannaccone
Passando per la città di Drepanum, in Bitinia, nota per i suoi cavalli e il suo bel porto, Costanzo posò gli occhi su una locandiera dall’aria fiera, Elena, e la fece sua concubina. La donna era destinata a dare alla luce uno degli ultimi, grandi, imperatori di Roma, Costantino. Ci racconta la sua vita Edgarda Ferri nel libro Imperatrix (Mondadori, pagine 168, € 18,00), intrecciandola con il racconto del lavoro che impegnò Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco ad Arezzo, tra il 1452 e il 1466. Mentre il pittore stende il colore e discute con i frati i soggetti del ciclo delle Storie della Vera Croce , rinasce come davanti ai nostri occhi la storia di Elena e di suo figlio, l’edificazione di Costantinopoli e il ritrovamento – quanto leggendario lo ignoriamo – della Vera Croce. Nacque attorno al 280, Costantino, ed Elena lo affidò al cristiano Lattanzio perché ne curasse l’educazione. Nel 306 Costantino salì alla dignità imperiale succedendo a Diocleziano ma c’erano altri pretendenti due dei quali, Licinio e Massenzio, intendevano estirpare alla radice il cristianesimo.
Massenzio muove un potente esercito contro di lui presso Roma, a Ponte Milvio. La notte precedente la battaglia una voce misteriosa chiede all’imperatore di apporre sugli scudi il segno di Cristo. È un momento fatidico, un perno che farà ruotare i secoli a venire. Piero della Francesca ne è consapevole. Rappresenta Costantino addormentato, che sogna sotto la tenda conica, mentre un angelo luminoso scende da un cielo marmoreo.
Anche in battaglia succede qualcosa, Costantino ne è convinto: una strana luce appare in cielo. Da quel giorno, lui cambia: usa termini cristiani, cessa di sacrificare agli dei, aiuta poveri e oppressi, santifica il dies solis alla preghiera. Contraddicendo tutto questo, però, ordina l’assassinio del primogenito e della moglie. Nel 325, per por fine alla spaccatura fra i seguaci di Ario e gli ortodossi, indice un concilio nella sua nuova capitale, Costantinopoli, adagiata su sette colli come Roma. Avvolto nella fiamma della porpora, in una sala sfolgorante di mosaici, ascoltò gli uni e gli altri decretando infine l’eresia di Ario. Si dichiarò anche «vescovo di quelli che stanno fuori della Chiesa», formula ambigua che rivela la sua condizione di non battezzato. Eppure, i visitatori della sua reggia sul Bosforo venivano accolti da un suo gigantesco ritratto sulla porta d’oro sopra il quale era sospesa una croce. Dopo tante battaglie e vicende della grande storia, il racconto di Edgarda Ferri si concentra sull’ultima fase, la più intima, della vita di Elena. Bisogna dire che l’espediente d’alternare la vita di Elena e il lavoro di Piero è molto felice perché inserisce un commento anche in controcanto della vicenda narrata e allo stesso tempo rimanda la memoria alla splendida opera pittorica ad Arezzo. Accadde dunque che Costantino ordinasse di riportare alla luce il Santo Sepolcro, sopra il quale erano stati edificati – per nasconderlo – un tempio ad Afrodite e uno a Giove. Nel 326, Elena 'fiammeggiante pellegrina' partì verso Gerusalemme per ritrovare la croce di Gesù. «Io cerco la Croce», andò ripetendo ai diaconi e ai vescovi che incontrava. Era un’impresa difficile perché erano trascorsi tre secoli ma vi si dedicò testardamente, con tutta se stessa. Tutti impararono a conoscere la vecchia, velata, signora, che si trascinava tra i vicoli, tra il vento e il sole, nella sua ostinata ricerca. Infine un ebreo di nome Giuda l’aiutò estraendo dal ventre della roccia tre croci, una delle quali, miracolosamente, sana un’inferma: la Vera Croce. Piero ritrae Elena di profilo, estasiata, le mani giunte, mentre contempla la sacra reliquia. C’è silenzio intorno, il mistero l’avvolge; appropriatamente, perché non conosceremo mai il suo vero ruolo nella decisione di Costantino che dichiarò la neutralità dell’impero nei confronti delle fedi e pose fine, con l’Editto di Milano, alle persecuzioni contro i cristiani.
Massenzio muove un potente esercito contro di lui presso Roma, a Ponte Milvio. La notte precedente la battaglia una voce misteriosa chiede all’imperatore di apporre sugli scudi il segno di Cristo. È un momento fatidico, un perno che farà ruotare i secoli a venire. Piero della Francesca ne è consapevole. Rappresenta Costantino addormentato, che sogna sotto la tenda conica, mentre un angelo luminoso scende da un cielo marmoreo.
Anche in battaglia succede qualcosa, Costantino ne è convinto: una strana luce appare in cielo. Da quel giorno, lui cambia: usa termini cristiani, cessa di sacrificare agli dei, aiuta poveri e oppressi, santifica il dies solis alla preghiera. Contraddicendo tutto questo, però, ordina l’assassinio del primogenito e della moglie. Nel 325, per por fine alla spaccatura fra i seguaci di Ario e gli ortodossi, indice un concilio nella sua nuova capitale, Costantinopoli, adagiata su sette colli come Roma. Avvolto nella fiamma della porpora, in una sala sfolgorante di mosaici, ascoltò gli uni e gli altri decretando infine l’eresia di Ario. Si dichiarò anche «vescovo di quelli che stanno fuori della Chiesa», formula ambigua che rivela la sua condizione di non battezzato. Eppure, i visitatori della sua reggia sul Bosforo venivano accolti da un suo gigantesco ritratto sulla porta d’oro sopra il quale era sospesa una croce. Dopo tante battaglie e vicende della grande storia, il racconto di Edgarda Ferri si concentra sull’ultima fase, la più intima, della vita di Elena. Bisogna dire che l’espediente d’alternare la vita di Elena e il lavoro di Piero è molto felice perché inserisce un commento anche in controcanto della vicenda narrata e allo stesso tempo rimanda la memoria alla splendida opera pittorica ad Arezzo. Accadde dunque che Costantino ordinasse di riportare alla luce il Santo Sepolcro, sopra il quale erano stati edificati – per nasconderlo – un tempio ad Afrodite e uno a Giove. Nel 326, Elena 'fiammeggiante pellegrina' partì verso Gerusalemme per ritrovare la croce di Gesù. «Io cerco la Croce», andò ripetendo ai diaconi e ai vescovi che incontrava. Era un’impresa difficile perché erano trascorsi tre secoli ma vi si dedicò testardamente, con tutta se stessa. Tutti impararono a conoscere la vecchia, velata, signora, che si trascinava tra i vicoli, tra il vento e il sole, nella sua ostinata ricerca. Infine un ebreo di nome Giuda l’aiutò estraendo dal ventre della roccia tre croci, una delle quali, miracolosamente, sana un’inferma: la Vera Croce. Piero ritrae Elena di profilo, estasiata, le mani giunte, mentre contempla la sacra reliquia. C’è silenzio intorno, il mistero l’avvolge; appropriatamente, perché non conosceremo mai il suo vero ruolo nella decisione di Costantino che dichiarò la neutralità dell’impero nei confronti delle fedi e pose fine, con l’Editto di Milano, alle persecuzioni contro i cristiani.
«Avvenire» del 25 gennaio 2011
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