Referendum Fiat: la consultazione
di Pierluigi Battista
In democrazia i voti si contano e non si pesano. Ma il voto degli operai che hanno scelto il «sì» a Mirafiori viene trattato come se avesse un peso etico inferiore. È un'ingiustizia: chi vince, è squalificato moralmente come un uomo piccolo piccolo che si piega ai ricatti in nome del tengo famiglia. Chi perde è il paladino della dignità umana, il combattente dei diritti umani fondamentali. Il «no» è degli eroi. Il «sì» è dei servi. Ma questo sì che è un ricatto inaccettabile. Il Fatto quotidiano titola: «Uomini e no». Ricalca uno dei più discutibili titoli della letteratura italiana. Lo scelse Elio Vittorini e si riferiva alla Resistenza: da una parte gli uomini, dall' altra chi veniva privato persino di una consistenza umana. Discutibile se applicato a una guerra civile, quel titolo diventa offensivo se riferito a una competizione democratica. L'operaio di Mirafiori che ha votato «sì» è forse un uomo di qualità inferiore? Chi si oppone è moralmente superiore a chi consente? E' affiorata una pessima retorica ideologica in questa drammatica vicenda della Fiat. L'umanità di Mirafiori è stata tagliata in due. Da una parte quella che ha la «schiena dritta», quella che incarna i valori della dignità, del coraggio, dell' etica, del rifiuto dei soprusi. Dall'altra, quella che cede, si piega, si inchina, ingoia passiva e servile il ricatto dei potenti. Eugenio Scalfari ha evocato addirittura le «anime morte» di Gogol. Sull'Unità Concita De Gregorio è scivolata nella volgarità suggerendo che, mercimonio per mercimonio, sarebbe stato preferibile che le figlie degli operai ricattati si fossero acconciate a qualche «bunga bunga» per spillare qualche quattrino alla corte del sultano. E' evidente: l'intenzione del direttore dell'Unità era sarcastica. Ma a volte il sarcasmo riesce male, e il sarcasmo malriuscito è controproducente, oltre che deprimente. E invece va difesa la dignità dei 1386 operai del montaggio che hanno votato sì, dei 412 addetti alla lastratura che hanno votato sì, dei 255 operai addetti alla verniciatura che hanno votato sì, dei 262 operai del turno di notte che hanno votato sì, dei 421 impiegati (esseri umani, lavoratori) che hanno votato sì. Mentre nei commenti e nelle cronache a volte si dà l'impressione addirittura che contino più i no che i sì. Si fa anche uso di un doppio registro lessicale. La vittoria del sì al 54 per cento è «risicata», «di strettissima misura», «sul filo del rasoio». Nella cronaca di Paolo Griseri su Repubblica, invece, è scritto che al montaggio, con «oltre il 53 per cento», «il no ha stravinto». Se si vota dalla parte considerata nobile, giusta, eroica, allora i numeri consentono di «stravincere» anche con una percentuale inferiore a quella, «risicata», con cui prevale la parte sbagliata, ricattata, indegna. Un'ingiustizia, appunto. Un insulto a chi viene negato il diritto, questo davvero fondamentale, di essere rispettato per le scelte che compie, giuste o sbagliate che siano, senza che siano bollate come infami «svendite» o riprovevoli «compromessi». Ma anche una malattia politica e culturale molto diffusa a sinistra e persino talvolta tra i «moderati». Il radicalismo, l'oltranzismo verbale, il «no» degli intransigenti sono più o meno inconsciamente sovraccaricati di valori positivi: la difesa dei valori, la custodia dell'identità, la salvaguardia della purezza. Mentre chi si colloca su una posizione riformista è sempre sospettato di essere vulnerabile, esposto a un'etica compromissoria e alle lusinghe del cedimento morale. Perciò i «riformisti» Bersani e D'Alema, di fronte al risultato di Mirafiori, si sentono in obbligo morale prima di tutto di rendere omaggio a chi ha votato «no», senza spendere una parola per gli operai che hanno votato sì. Per questa mai smaltita subalternità culturale viene tributato un apprezzamento maggiore a Nichi Vendola, che si è speso per il «no» davanti ai cancelli di Mirafiori, rispetto a quello riconosciuto al leader della Cisl Bonanni, l'artefice sindacale di un accordo che, risicato o no, ha comunque registrato la maggioranza dei consensi tra i lavoratori della Fiat. Era ovviamente uno scherzo (sebbene riuscitissimo) quello del finto Vendola radiofonico a colloquio con Sergio Marchionne. Ma dalle parole dello stesso amministratore delegato della Fiat, proprio di chi cioè è stato veementemente descritto come il «massacratore» dei diritti operai, traspariva un rispetto ammirato per l'interlocutore che sembrava Vendola imparagonabilmente superiore a quello che il vero presidente della Puglia ha dimostrato di coltivare per il «vero» Marchionne. Per questo i lavoratori che hanno votato sì vanno difesi. Nella loro dignità, nelle loro convinzioni, nelle loro scelte. Nel loro diritto di non sentirsi eticamente di serie B. Di non essere bollati e squalificati come servi del padrone disposti a piegare la schiena pur di accettare un lavoro, a qualunque costo. Liberi, anche stavolta, da un inaccettabile ricatto morale.
«Corriere della Sera» del 17 gennaio 2011
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