La storia conosce due tipi di despoti: "temporanei", come il presidente tunisino Ben Ali che fugge con il suo oro. E "millenaristi", come Hitler o Mao che sono sempre stati indifferenti ai conti in banca
di Mario Cervi
La caduta del presidente tunisino Ben Ali ci ha dato modo d’assistere alla solita sceneggiata del «prendi i soldi e scappa». Non so quanto siano vere le notizie, o dicerie, secondo le quali la consorte del deposto, Leila, avrebbe caricato sul suo aereo, prima del decollo verso l’esilio, una tonnellata e mezza di lingotti d’oro. Certo è che questi uomini forti - finché lo sono - ma di mezza tacca non si riducono, se cacciati, a vivere in povertà. Di solito hanno provveduto tempestivamente a cautelarsi in qualche banca svizzera o in qualche «paradiso fiscale». La finanza è poco interessata ai diritti umani e molto al contante.
Il truce Idi Amin Dada è morto tranquillamente in Arabia Saudita, (nell’agosto 2003), lo stesso dicasi per Jean-Bédel Bokassa, dittatore della Repubblica Centrafricana e poi imperatore dell’Impero Centrafricano, destituito nel 1979 (e morto nel ’96). Un caudillo di lungo corso - ma spazzato via - come il paraguaiano Alfredo Stroessner si è spento novantatreenne a Brasilia, nel 2006. Molti veterani del pugno duro hanno dimostrato e dimostrano una eccellente salute. Né Gheddafi né Mubarak denunciano sintomi di cedimento. Fidel Castro per verità sembra malconcio, ma come frequentemente accade la sua malattia è un segreto di Stato, da custodire gelosamente. Spesso i dittatori muoiono senza essere stati malati, muoiono - vedi Leonid Breznev - ufficialmente sanissimi. Gli uomini sono autoritari, le donne a quanto sembra di mano lesta e di piede esigente. Imelda Marcos possedeva tremila paia di scarpe.
Siamo con questi personaggi nell’ambito delle dittature di ambizione limitata e di corto raggio.
Il diverso rapporto con la ricchezza, con la «roba», con le prospettive del futuro distingue la dittatura temporanea - anche se lunghissima come è stata quella di Bel Ali in Tunisia - dalla dittatura millenaristica. Quest’ultima non si pone né problemi di durata temporale né problemi di proprietà. I suoi traguardi superano di molto la durata d’ogni vita umana, il suo desidero di possesso è insieme immenso e nullo. Perché desiderare palazzi e lingotti d’oro nei forzieri se il Paese intero, o addirittura un impero, ti appartiene? Il maresciallo Tito, un po’ a mezza strada tra il millenaristico e il folkloristico sgargiante alla Gheddafi, faceva la bella vita, amava uniformi vistose e un numero di nastrini e medaglie capace di coprire per intero l’esteso torace. Aveva rango storico, spietatezze da tiranno, ma anche un coté operettistico.
Li immaginate Hitler o Stalin o Mussolini o Mao che si preoccupano per la consistenza del conto in banca e allestiscono un tesoretto elvetico, in vista di rivolgimenti futuri? Con un cenno Stalin e Hitler potevano decretare la morte di migliaia d’uomini. E lo facevano con assoluta indifferenza. Ma gli affari no. Mussolini - altra tempra, in meglio - era insensibile al denaro, anche se poi il principe Torlonia gli concesse in uso l’omonima villa al prezzo simbolico d’una lira l’anno. Fu sempre disinteressato. Quando divenne direttore dell’Avanti! volle che il suo compenso fosse dimezzato, in confronto a quello spettante al suo predecessore. Con le amanti era avaro, o piuttosto distratto nei regali, la famiglia della favorita Claretta Pettacci si avvantaggiò indirettamente della parentela ambigua con il Duce, ma l’uomo più potente d’Italia non usò mai consapevolmente la sua potenza per arricchirsi o per arricchire altri. Non gli passava nemmeno per la testa.
Il Duce era in sostanza un solitario, non aveva amici e soffrì con disagio che qualche gerarca, come Italo Balbo, gli si rivolgesse con il tu anche dopo che era stato mitizzato (lo fece per prima Margherita Sarfatti, intelligente e ambiziosa ebrea convertita, trasformando il capopopolo Benito in Dux).Il Duce era autoritario, a volte cinico, ma non crudele. Crudelissimi invece Stalin e Hitler che amavano tuttavia le riunioni conviviali, avevano una cerchia di intimi con i quali amavano intrattenersi e soprattutto monologare, poi capitava che un intimo caduto in disgrazia fosse l’indomani messo al muro. Ai bisogni quotidiani di questi onnipotenti provvedevano apparati burocratici oscuri, loro non dovevano mai occuparsi di entrate e di uscite, simili preoccupazioni stavano troppo al disotto dei loro destini di grandi timonieri. Possiamo immaginare Francisco Franco che, da militare esperto di fureria e di intendenza, si preoccupa di sapere cosa c’è in dispensa.
Gli Insonni no, il loro occhio guarda altrove, più in alto.
Non concepiscono l’eventualità d’essere sbalzati di sella, di finire in esilio. Anche perché ai millenaristici la cronaca e la storia di solito non offrono vie di fuga. O vincono e muoiono nel loro letto - come Stalin e Mao - o perdono e vengono uccisi o si uccidono, come Hitler e Mussolini. Anche quando abbia aspetti grotteschi e meschini - come il camuffamento di Mussolini da soldato tedesco - le fini dei dittatori di serie A che hanno per unità di misura i secoli o i millenni sono solitamente tragiche. Quelle dei dittatori di serie B a volte lo sono, a volte no, dipende dalle circostanze. Nicolae Ceausescu è stato fulmineamente messo a morte (nel 1989), tanti altri torvi protagonisti non meno infami di lui hanno trovato riparo. Ben Ali e madame Leila si aggiungono adesso alla lista degli esuli di lusso muniti di un solido salvacondotto in lingotti d’oro o in valuta equivalente.
Il truce Idi Amin Dada è morto tranquillamente in Arabia Saudita, (nell’agosto 2003), lo stesso dicasi per Jean-Bédel Bokassa, dittatore della Repubblica Centrafricana e poi imperatore dell’Impero Centrafricano, destituito nel 1979 (e morto nel ’96). Un caudillo di lungo corso - ma spazzato via - come il paraguaiano Alfredo Stroessner si è spento novantatreenne a Brasilia, nel 2006. Molti veterani del pugno duro hanno dimostrato e dimostrano una eccellente salute. Né Gheddafi né Mubarak denunciano sintomi di cedimento. Fidel Castro per verità sembra malconcio, ma come frequentemente accade la sua malattia è un segreto di Stato, da custodire gelosamente. Spesso i dittatori muoiono senza essere stati malati, muoiono - vedi Leonid Breznev - ufficialmente sanissimi. Gli uomini sono autoritari, le donne a quanto sembra di mano lesta e di piede esigente. Imelda Marcos possedeva tremila paia di scarpe.
Siamo con questi personaggi nell’ambito delle dittature di ambizione limitata e di corto raggio.
Il diverso rapporto con la ricchezza, con la «roba», con le prospettive del futuro distingue la dittatura temporanea - anche se lunghissima come è stata quella di Bel Ali in Tunisia - dalla dittatura millenaristica. Quest’ultima non si pone né problemi di durata temporale né problemi di proprietà. I suoi traguardi superano di molto la durata d’ogni vita umana, il suo desidero di possesso è insieme immenso e nullo. Perché desiderare palazzi e lingotti d’oro nei forzieri se il Paese intero, o addirittura un impero, ti appartiene? Il maresciallo Tito, un po’ a mezza strada tra il millenaristico e il folkloristico sgargiante alla Gheddafi, faceva la bella vita, amava uniformi vistose e un numero di nastrini e medaglie capace di coprire per intero l’esteso torace. Aveva rango storico, spietatezze da tiranno, ma anche un coté operettistico.
Li immaginate Hitler o Stalin o Mussolini o Mao che si preoccupano per la consistenza del conto in banca e allestiscono un tesoretto elvetico, in vista di rivolgimenti futuri? Con un cenno Stalin e Hitler potevano decretare la morte di migliaia d’uomini. E lo facevano con assoluta indifferenza. Ma gli affari no. Mussolini - altra tempra, in meglio - era insensibile al denaro, anche se poi il principe Torlonia gli concesse in uso l’omonima villa al prezzo simbolico d’una lira l’anno. Fu sempre disinteressato. Quando divenne direttore dell’Avanti! volle che il suo compenso fosse dimezzato, in confronto a quello spettante al suo predecessore. Con le amanti era avaro, o piuttosto distratto nei regali, la famiglia della favorita Claretta Pettacci si avvantaggiò indirettamente della parentela ambigua con il Duce, ma l’uomo più potente d’Italia non usò mai consapevolmente la sua potenza per arricchirsi o per arricchire altri. Non gli passava nemmeno per la testa.
Il Duce era in sostanza un solitario, non aveva amici e soffrì con disagio che qualche gerarca, come Italo Balbo, gli si rivolgesse con il tu anche dopo che era stato mitizzato (lo fece per prima Margherita Sarfatti, intelligente e ambiziosa ebrea convertita, trasformando il capopopolo Benito in Dux).Il Duce era autoritario, a volte cinico, ma non crudele. Crudelissimi invece Stalin e Hitler che amavano tuttavia le riunioni conviviali, avevano una cerchia di intimi con i quali amavano intrattenersi e soprattutto monologare, poi capitava che un intimo caduto in disgrazia fosse l’indomani messo al muro. Ai bisogni quotidiani di questi onnipotenti provvedevano apparati burocratici oscuri, loro non dovevano mai occuparsi di entrate e di uscite, simili preoccupazioni stavano troppo al disotto dei loro destini di grandi timonieri. Possiamo immaginare Francisco Franco che, da militare esperto di fureria e di intendenza, si preoccupa di sapere cosa c’è in dispensa.
Gli Insonni no, il loro occhio guarda altrove, più in alto.
Non concepiscono l’eventualità d’essere sbalzati di sella, di finire in esilio. Anche perché ai millenaristici la cronaca e la storia di solito non offrono vie di fuga. O vincono e muoiono nel loro letto - come Stalin e Mao - o perdono e vengono uccisi o si uccidono, come Hitler e Mussolini. Anche quando abbia aspetti grotteschi e meschini - come il camuffamento di Mussolini da soldato tedesco - le fini dei dittatori di serie A che hanno per unità di misura i secoli o i millenni sono solitamente tragiche. Quelle dei dittatori di serie B a volte lo sono, a volte no, dipende dalle circostanze. Nicolae Ceausescu è stato fulmineamente messo a morte (nel 1989), tanti altri torvi protagonisti non meno infami di lui hanno trovato riparo. Ben Ali e madame Leila si aggiungono adesso alla lista degli esuli di lusso muniti di un solido salvacondotto in lingotti d’oro o in valuta equivalente.
«Il Giornale» del 24 gennaio 2011
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