Con l’inizio del nuovo anno debutta la riforma Gelmini Troppo moderata? Forse. Ma di sicuro rivoluzionaria
di Marcello Veneziani
Mariastella Gelmini ha un'età indefinibile, tra gli undici e i settantuno anni. A volte sembra un'adolescente con lenti correttive, secchiona e assai educata, forse anche un po' repressa, che studia in una scuola privata, dalle orsoline. A volte appare come un'anziana nubile che si mantiene giovane per la vita sana e rigorosa, usando vita snella, fave di fuca, pedana mobile e personal trainer per tenersi in forma. A volte sembra una misteriosa segretaria d'azienda, nata stenografa, che conosce tutti i segreti dell'azienda e del suo padrone ma non le scuci un pelo di bocca; una di quelle segretarie perfettine e morbosette che suscitano qualche lieve sogno perverso nei suoi superiori, che le fanno pure piedino. A volte, anzi, la vedi proprio come una sensuale signorina che nasconde bene la ninfomania e la forte tempesta ormonale dietro un look castigato e perciò ancora più eccitante per i sadomaso. In ogni caso non si direbbe una mamma, come invece lo è, piuttosto una zia. Non me la vedo ad allattare, piuttosto a interrogare il bambino: un cucchiaio di omogeneizzati ad ogni risposta esatta. Meritocrazia, bambino, meritocrazia. Pensatela come preferite, ma la Gelmini si è rivelata un bel ministro tosto e coraggioso, diciamo la Marchionne della Pubblica istruzione. Azienda in forte crisi come la Fiat, anche per errori antichi. La sua Fiom-Cgil sono i professori e soprattutto le professoresse che vedono, sentono e pensano rosso; e gli studenti felini che vanno sui tetti, accompagnati dai ricercatori gattoni. O vanno in corteo, assediano i palazzi, sfasciano le vetrine non potendo direttamente sfasciare lei, che pure ha quel nome così leggiadro da fatina. Ora che riaprono le scuole e le università dopo la pausa vacanziera, vedremo come andrà il debutto della riforma griffata Mariastella. Forse la sua riforma è piccina e fin troppo moderata per poter davvero parlare di un evento epocale o di una rivoluzione, ma ci è piaciuta l'ardita motivazione ideale e culturale che la Gelmini ha dato alla sua riforma: la ricreazione del Sessantotto è finita, adesso finalmente si volta pagina, il sessantotto è finito. Ammazza che impresa. Un bel cazzottone nella pancia di tanti professori che vengono da lì, e sull' utopia sessantottarda hanno costruito tutta la loro vita e la loro carriera o hanno succhiato il latte dalla scuola e dall'università venute dal Sessantotto. Una botta tremenda data così, senza battere ciglio, con gentile crudeltà, con quell'aria da marziana, anzi da preside d'altri tempi o d'altre galassie. Gli altri si agitano, urlano, strepitano. Lei, calma e professorale, col sorrisino d'acciaio e il frustino invisibile tra le mani, va avanti con la sua vocina senza mai incepparsi, incurante della bolgia e degli odi che suscita. Nell'immaginario della gente, la Gelmini appare come una maestrina che usa la bacchetta e dà le spalmate ai ragazzi, secondo il regolamento della scuola britannica varata dal laburista Blair. Ma non si scompone, non lascia segni, giova persino alle vittime. Immagino quanto l'avrà fatta soffrire, non tanto la sinistra da piazza e da soggiorno, da passeggio e da lotta, le vignette e gli articoli contro di lei, quanto il più terribile braccino corto che la repubblica italiana ricordi, secondo solo a Giuliano Amato del '92. Dico Giulio Tremonti, l'Avaro del Tesoro, il Tirchio della Provvidenza, che ha castigato pure la zarina della scuola italiana, lesinandole la paghetta e gli investimenti. Per molto tempo lei è apparsa soltanto come la longa manus di Tremonti, colei che doveva portare in classe i tagli del ministro. Ma lei, capatosta, giovandosi perfino dei rivoltosi e dei giornali che urlavano contro di lei, è riuscita a scucire soldi a Tremonti e a ripristinare i fondi per l'Università quasi come in passato. E, toma toma cacchia cacchia, ha fatto la sua riforma. Non so se questa riforma valorizzerà davvero il merito e la responsabilità, la qualità degli studi e la serietà di chi studia. Ma già annunciarla in questo modo, già spiegare che la ragione sociale della riforma è quella lì, è un gran passo avanti. Anzi una svolta rispetto al passato. Certo, sarà una fatica far partire davvero la scuola «a premio», finora non c'è riuscito nessuno ma lei è forse la prima che davvero ci sta provando. Questa è una scuola abituata al contrario, fondata su un egualitarismo arretrato, di stampo cattosovietico, da far paura. Immagino il boicottaggio, la Repubblica soffia quasi ogni giorno sul fuoco dei docenti per incitarli alla rivolta. Non so cosa pensi di lei Berlusconi ma a volte ho l'impressione che sia un po' intimorito come davanti a una severa insegnante di latino e greco, che sul più bello ti può interrogare e mandarti poi dietro la lavagna. Però dev'essere abbastanza contento se si parla da tempo di affidarle una scuola delle più tormentate: nientemeno che la scuola media unica Popolo della libertà, ovvero il Partito intero. Via il modulo, cioè la terna d'insegnanti che c'è adesso, per il Pdl si torna all'insegnante unico, la Maestra Mariastella. Non so, e francamente non me la vedo a navigare nella politica politicante, negoziare con i ras regionali, controllare il territorio. Me la vedo più là, dov'è attualmente, magari sotto assedio, in trincea. Credo che stia facendo bene come ministro, soprattutto se si considera che aveva in partenza tre handicap: ragazza senza curriculum, con una macchia nera calabrese negli esami professionali; una platea di utenti immensa e avversa già per natura a tutti i ministri della pubblica istruzione, figuriamoci a una extraterrestre come lei, per giunta nordica in un'azienda piena di centromeridionali; infine erede rispetto al governo Berlusconi precedente dell'Imponente Letizia Moratti. Be’, Mariastella ha superato la prova. Si è rivelata idonea agli esami. Perfino i finiani l'hanno votata, dopo che qualcuno di loro si era arrampicato sui tetti. Insomma Mariastella ha funzionato nel ruolo di domatrice di tigri e leoni. Anche perché, come nella famosa barzelletta, ha capito subito che quei leoni e quelle tigri feroci erano in realtà precari che si travestivano da belve al circo per campare. Mariastella, sei la nostra stella cometa.
«Il Giornale» del 9 gennaio 2011
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