Illefali forzature eutanasiche
di Francesco D'Agostino
I radicali sostengono di amare la dignità dell’uomo. I radicali sostengono di difendere i diritti umani. I radicali affermano di venerare la nostra Costituzione e si indignano tutte le volte che la vedono umiliata e calpestata. Ciò non di meno i radicali continuano da settimane e settimane a far trasmettere da diverse televisioni locali (ma sono anche riusciti a introdursi in una rete nazionale) uno spot sull’eutanasia: uno spot che offende la dignità dell’uomo e che quindi non può che essere definito indegno. Uno spot che ci indigna, perché va contro un diritto umano fondamentale, e di rango costituzionale, quale quello alla vita. Uno spot che introduce, in un dibattito delicatissimo come quello sulla fine della vita umana, una dimensione mediatico-pubblicitaria, assolutamente indebita, pensata evidentemente per orientare (non però attraverso l’argomentazione, ma attraverso l’emozione) le decisioni dei parlamentari che saranno presto chiamati a votare in via conclusiva sul disegno di legge sul fine vita. Sono esagerate queste affermazioni? No. Anzi esse dovrebbero essere ancora più aspre, perché l’offesa che lo spot arreca al dignità umana è particolarmente subdola. La dignità umana, infatti, è offesa non solo quando viene sadicamente umiliata, ma anche, paradossalmente, quando viene ideologicamente esaltata. Nello spot i fautori dell’eutanasia volontaria costruiscono un’immagine irreale e quindi ideologica dell’ uomo, un’immagine nella quale il malato che 'sceglie' la morte e chiede di essere ascoltato dal 'governo' appare sereno, lucido, consapevole, coraggioso e quindi esemplarmente ammirevole: ma in tal modo (chissà se se ne rendono conto i radicali) essi sottraggono dignità, umiliandoli, a tutti i malati terminali che vivono la loro esperienza nella debolezza, nella solitudine, nella paura, nella fragilità e spesso nella disperazione, meritano paradossalmente il biasimo che va riservato ai pavidi, a chi non avendo il coraggio di chiedere l’eutanasia… Intervenire su di un dibattito così tragico e sottile come quello sul fine vita ricorrendo, anziché ad argomentazioni esplicite, articolate e sofferte, a uno spot umilia la democrazia, prima ancora che l’etica. Sappiamo infatti che esistono visioni del mondo che banalizzano il dono della vita o che non riescono più a percepirne il senso quando la malattia si impadronisce ineluttabilmente del corpo. È doveroso però che queste visioni del mondo, quando entrano nel dibattito etico, politico e sociale rispettino fino in fondo i valori non solo formali, ma sostanziali della legalità. Legalità significa in primo luogo rispetto sincero e onesto delle leggi vigenti (anche di quelle che non si condividono!) e nel nostro Paese è tuttora vigente una legislazione (per di più penale) esplicitamente orientata alla difesa della vita e di quella terminale in particolare. Legalità significa correttezza nell’informazione data al pubblico: i radicali non possono non sapere che le indicazioni statistiche che essi forniscono in chiusura dello spot (e cioè che il 67% degli italiani sarebbe favorevole all’eutanasia) sono inattendibili, fino a che il termine non sia rigorosamente precisato nel suo significato. Legalità significa soprattutto rinuncia a forme indebite di propaganda mediatica, soprattutto quando la posta in gioco verte su temi etici fondamentali. Uno spot mediaticamente efficace attiva una sorta di corto-circuito mentale, induce cioè a comportamenti fondati non su convinzioni autentiche e su scelte meditate, ma su emozioni, su sentimenti o peggio ancora su sottili e occulte forme di condizionamento psicologico. Lo spot sull’eutanasia sembra paradossalmente pensato per confermare l’accusa alla televisione di essere una 'cattiva maestra'. È davvero stupefacente che nessuna autorità istituzionale – e ce ne sono diverse che possiedono e dovrebbero riconoscersi e onorare una competenza in questo campo – abbia preso posizione in merito, malgrado le tante esplicite sollecitazioni ricevute.
«Avvenire» del 29 gennaio 2011
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