Sia il comunismo che il fascismo e il nazismo imposero l’idolatria dello Stato al posto della dimensione spirituale
di Giampietro Berti
Il comunismo, il fascismo e il nazismo, i regimi totalitari affermatisi rispettivamente in Russia, in Italia e in Germania, sono stati accomunati dal rigetto della modernità laica ed edonistica prodotta dal capitalismo e dalla società liberale. Anche se in modo difforme, queste diverse espressioni totalitarie hanno soprattutto combattuto un nemico comune, l’individualismo, e, per conseguenza, la società di mercato e l’atomizzazione della vita sociale. Le ideologie totalitarie si sono configurate come surrogati della fede religiosa, venuta meno a causa dal processo di secolarizzazione iniziato con l’illuminismo.
L’impressionante somiglianza strutturale fra comunismo, fascismo e nazismo non è consistita, ovviamente, nell’avere avuto i medesimi fini, ma nell’aver attivato mezzi analoghi, volti a imporre il predominio del potere politico (lo Stato) su tutto il resto. Una supremazia che non poteva lasciare immune anche la vita religiosa, vale a dire il cristianesimo e le Chiese che lo rappresentavano: l’ortodossa, la luterana e la cattolica. Con il totalitarismo si è affermata quindi la supremazia di Cesare su Cristo, il primato dell’immanente sul trascendente. Il progetto totalitario fu proteso a veicolare una medesima idea palingenetica di ascendenza nietzscheana, quella dell’uomo nuovo, tradotta nella divinizzazione del proletariato, della nazione e della razza. Di qui la sua micidiale enfasi statocratica formulata nella gigantesca impresa collettiva rappresentata, per l’appunto, dall’azione statale, volta a realizzare obiettivi di sacralità terrena in radicale contrasto con quella cristiana.
Il nuovo e importante lavoro di Emilio Gentile, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi (Feltrinelli, pagg. 441, euro 25), affronta questa complessa tematica politico-religiosa, così come si è manifestata nel comunismo, nel fascismo e nel nazismo. Naturalmente la coercizione totalitaria verso il cristianesimo non ebbe nei tre regimi la medesima fenomenologia perché, come è noto, mentre con il comunismo essa si dispiegò in modo completo (l’ateismo di Stato fu esplicito e totale: di fatto la Chiesa ortodossa e ogni forma di vita religiosa vennero spazzate via), con fascismo e nazismo l’atteggiamento verso la religione cristiana si articolò in modo differente. E ciò perché - questa è la nostra personale convinzione - solo il comunismo fu un sistema compiutamente totalitario (tutto era nelle mani del Partito-Stato), mentre per il fascismo e il nazismo si deve parlare di sistemi totalitari imperfetti, dal momento che i loro presupposti non erano universalistici, dato che le idee di razza e di nazione erano e sono intrinsecamente parziali. Non a caso continuarono a vivere - sia pure con limitazioni - entità separate: in Italia l’economia mercantile, la monarchia e la Chiesa; in Germania l’economia mercantile e le religioni riformate e cattoliche (questo non significa, ovviamente, che i regimi neri fossero meno nemici della libertà e dell’umanità). Ciò spiega perché questa incompiutezza totalitaria generò fra lo Stato e la Chiesa, specialmente nel nostro Paese, un rapporto più complesso e ambiguo.
Per quanto riguarda il nazismo, sebbene il suo razzismo fosse inequivocabilmente anticristiano (si affermava a chiare lettere la superiorità della razza ariana e il suo diritto a dominare il mondo), non furono molti, all’interno del mondo religioso, coloro che ebbero una lucida cognizione di ciò che significava l’avvento vittorioso della croce uncinata. Gentile dimostra che Hitler e i suoi seguaci si presentarono - almeno all’inizio - come un movimento volto a restaurare l’unità e la grandezza tedesca dopo quella che, agli occhi dell’opinione conservatrice, era stata giudicata la decadenza della repubblica di Weimar. Inoltre la radicale e irriducibile avversione nazista al comunismo ingannò la maggioranza dei fedeli, fossero essi luterani o cattolici, i quali vedevano nella Russia dei soviet il trionfo dell’ateismo più abietto. Va osservato inoltre che il luteranesimo, di gran lunga la confessione cristiana dominante, era fondato su una «tradizione politica» che, in linea di principio, teorizzava l’ubbidienza verso il potere costituito, secondo l’insegnamento dello stesso Lutero, per il quale, riprendendo San Paolo, era doveroso ubbidire al principe, anche che se malvagio (ogni autorità dipende da Dio). E ciò aiuta a comprendere per quale motivo in Germania il consenso al nazismo sia rimasto pressoché intatto fino alla fine.
Più complessa e ambigua, come abbiamo detto, si presentò invece la questione in Italia, dove la Chiesa cattolica aveva ben altro peso e importanza rispetto a quella luterana. Gentile presenta pertanto, giustamente, il caso del nostro Paese come una sorta di «laboratorio» storico-politico. Si deve registrare anche qui, specialmente per i primi anni, un sostanziale appoggio al regime, sfociato, come è noto, nel Concordato del 1929; conciliazione, ovviamente, che non sancì uno svolgimento lineare fra i due poteri, dato che vi furono anche aperti conflitti, come nel 1927, nel 1931 e, soprattutto, nel 1938, quando vennero approvate le leggi razziali. Atteggiamento dunque, questo della Chiesa cattolica, continuamente oscillante fra l’adesione e il plauso, la deprecazione e il silenzio.
All’interno del cattolicesimo non vi fu dunque una convergenza generale di vedute e di giudizi. Già nella seconda metà degli anni Venti, alcuni cattolici antifascisti - in modo particolare i sacerdoti Luigi Sturzo e Primo Mazzolari, unitamente al giornalista Francesco Luigi Ferrari - compresero il pericolo dell’avanzata integralista del fascismo, proteso a sostituire, con la sua religione politica, la fede nel cristianesimo. Gentile ricostruisce magistralmente il conflitto che questi e altri cattolici ebbero con l’istituzione ecclesiastica e, ancor più, il travaglio interiore che pervase alcuni di loro negli anni amari dell’esilio. Altri importanti spunti del volume si riscontrano infine nella disamina, a livello internazionale, di forme di dissenso ai totalitarismi, rossi e neri, rappresentate dagli incontri svoltisi negli anni Trenta fra sacerdoti, pastori, teologi e intellettuali cattolici e protestanti di diverse nazionalità: francesi, inglesi, tedeschi e americani. Convegni dettati dalla comune volontà di riflettere sul pericolo totalitario per la sua evidente natura di religione politica volta scalzare le basi della civiltà cristiana, creando un pericolo per l’intera umanità.
Possiamo dire che con questo ulteriore contributo di Gentile abbiamo la possibilità di osservare e capire il totalitarismo, vagliandolo sotto uno dei suoi aspetti più profondi: quello di essere stato, prima di tutto, diversamente dall’ethos cristiano, un progetto pervaso da un prometeismo dove era stato perso ogni senso del limite e della finitudine umana.
L’impressionante somiglianza strutturale fra comunismo, fascismo e nazismo non è consistita, ovviamente, nell’avere avuto i medesimi fini, ma nell’aver attivato mezzi analoghi, volti a imporre il predominio del potere politico (lo Stato) su tutto il resto. Una supremazia che non poteva lasciare immune anche la vita religiosa, vale a dire il cristianesimo e le Chiese che lo rappresentavano: l’ortodossa, la luterana e la cattolica. Con il totalitarismo si è affermata quindi la supremazia di Cesare su Cristo, il primato dell’immanente sul trascendente. Il progetto totalitario fu proteso a veicolare una medesima idea palingenetica di ascendenza nietzscheana, quella dell’uomo nuovo, tradotta nella divinizzazione del proletariato, della nazione e della razza. Di qui la sua micidiale enfasi statocratica formulata nella gigantesca impresa collettiva rappresentata, per l’appunto, dall’azione statale, volta a realizzare obiettivi di sacralità terrena in radicale contrasto con quella cristiana.
Il nuovo e importante lavoro di Emilio Gentile, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi (Feltrinelli, pagg. 441, euro 25), affronta questa complessa tematica politico-religiosa, così come si è manifestata nel comunismo, nel fascismo e nel nazismo. Naturalmente la coercizione totalitaria verso il cristianesimo non ebbe nei tre regimi la medesima fenomenologia perché, come è noto, mentre con il comunismo essa si dispiegò in modo completo (l’ateismo di Stato fu esplicito e totale: di fatto la Chiesa ortodossa e ogni forma di vita religiosa vennero spazzate via), con fascismo e nazismo l’atteggiamento verso la religione cristiana si articolò in modo differente. E ciò perché - questa è la nostra personale convinzione - solo il comunismo fu un sistema compiutamente totalitario (tutto era nelle mani del Partito-Stato), mentre per il fascismo e il nazismo si deve parlare di sistemi totalitari imperfetti, dal momento che i loro presupposti non erano universalistici, dato che le idee di razza e di nazione erano e sono intrinsecamente parziali. Non a caso continuarono a vivere - sia pure con limitazioni - entità separate: in Italia l’economia mercantile, la monarchia e la Chiesa; in Germania l’economia mercantile e le religioni riformate e cattoliche (questo non significa, ovviamente, che i regimi neri fossero meno nemici della libertà e dell’umanità). Ciò spiega perché questa incompiutezza totalitaria generò fra lo Stato e la Chiesa, specialmente nel nostro Paese, un rapporto più complesso e ambiguo.
Per quanto riguarda il nazismo, sebbene il suo razzismo fosse inequivocabilmente anticristiano (si affermava a chiare lettere la superiorità della razza ariana e il suo diritto a dominare il mondo), non furono molti, all’interno del mondo religioso, coloro che ebbero una lucida cognizione di ciò che significava l’avvento vittorioso della croce uncinata. Gentile dimostra che Hitler e i suoi seguaci si presentarono - almeno all’inizio - come un movimento volto a restaurare l’unità e la grandezza tedesca dopo quella che, agli occhi dell’opinione conservatrice, era stata giudicata la decadenza della repubblica di Weimar. Inoltre la radicale e irriducibile avversione nazista al comunismo ingannò la maggioranza dei fedeli, fossero essi luterani o cattolici, i quali vedevano nella Russia dei soviet il trionfo dell’ateismo più abietto. Va osservato inoltre che il luteranesimo, di gran lunga la confessione cristiana dominante, era fondato su una «tradizione politica» che, in linea di principio, teorizzava l’ubbidienza verso il potere costituito, secondo l’insegnamento dello stesso Lutero, per il quale, riprendendo San Paolo, era doveroso ubbidire al principe, anche che se malvagio (ogni autorità dipende da Dio). E ciò aiuta a comprendere per quale motivo in Germania il consenso al nazismo sia rimasto pressoché intatto fino alla fine.
Più complessa e ambigua, come abbiamo detto, si presentò invece la questione in Italia, dove la Chiesa cattolica aveva ben altro peso e importanza rispetto a quella luterana. Gentile presenta pertanto, giustamente, il caso del nostro Paese come una sorta di «laboratorio» storico-politico. Si deve registrare anche qui, specialmente per i primi anni, un sostanziale appoggio al regime, sfociato, come è noto, nel Concordato del 1929; conciliazione, ovviamente, che non sancì uno svolgimento lineare fra i due poteri, dato che vi furono anche aperti conflitti, come nel 1927, nel 1931 e, soprattutto, nel 1938, quando vennero approvate le leggi razziali. Atteggiamento dunque, questo della Chiesa cattolica, continuamente oscillante fra l’adesione e il plauso, la deprecazione e il silenzio.
All’interno del cattolicesimo non vi fu dunque una convergenza generale di vedute e di giudizi. Già nella seconda metà degli anni Venti, alcuni cattolici antifascisti - in modo particolare i sacerdoti Luigi Sturzo e Primo Mazzolari, unitamente al giornalista Francesco Luigi Ferrari - compresero il pericolo dell’avanzata integralista del fascismo, proteso a sostituire, con la sua religione politica, la fede nel cristianesimo. Gentile ricostruisce magistralmente il conflitto che questi e altri cattolici ebbero con l’istituzione ecclesiastica e, ancor più, il travaglio interiore che pervase alcuni di loro negli anni amari dell’esilio. Altri importanti spunti del volume si riscontrano infine nella disamina, a livello internazionale, di forme di dissenso ai totalitarismi, rossi e neri, rappresentate dagli incontri svoltisi negli anni Trenta fra sacerdoti, pastori, teologi e intellettuali cattolici e protestanti di diverse nazionalità: francesi, inglesi, tedeschi e americani. Convegni dettati dalla comune volontà di riflettere sul pericolo totalitario per la sua evidente natura di religione politica volta scalzare le basi della civiltà cristiana, creando un pericolo per l’intera umanità.
Possiamo dire che con questo ulteriore contributo di Gentile abbiamo la possibilità di osservare e capire il totalitarismo, vagliandolo sotto uno dei suoi aspetti più profondi: quello di essere stato, prima di tutto, diversamente dall’ethos cristiano, un progetto pervaso da un prometeismo dove era stato perso ogni senso del limite e della finitudine umana.
«Il Giornale» del 23 gennaio 2011
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