La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.
Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.
La Natura è un tempio ove pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole;
l'uomo vi attraversa foreste di simboli,
che l'osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che da lungi si confondono
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e il chiarore del giorno,
profumi, colori e suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come òboi, verdi come prati,
- e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che posseggono il respiro delle cose infinite:
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso;
e cantano i moti dell'anima e dei sensi.
_______________________________________________
Analisi (Guglielmino-Grosser, Il sistema letterario, vol. Testi 7, pp. 61-61)
Una concezione sacrale della Natura. La metafora di partenza («La Natura è un tempio») senza essere di particolare originalità (si tratta di un’immagine già presente nella tradizione poetica), nel contesto acquista un rilievo particolare, in quanto mette l’accento ad un tempo sul mistero delle cose (le «incerte parole», le foreste di simboli) e sul loro segreto rinvio a qualcosa che ci è noto, che è inciso nel profondo dell’animo, che ci è «familiare». La natura è un «tempio», è sacra, proprio perché parla un linguaggio misterioso, che va al di là delle cose nella loro semplice, tangibile realtà, e che per questo ci cattura.
L’idea della sacralità della natura si salda a quella dell’unità del reale: una segreta "analogia" (così nel Settecento si esprimeva Swedenborg, un filosofo misticheggiante che Baudelaíre conosceva) lega le cose ai loro risvolti sotterranei, la materia allo spirito (L. Sozzi).
Una concezione mistica dell’arte. Baudelaire ha dell’arte una concezione mistica. «È questo mirabile e immortale istinto del Bello» scriveva nel 1857 in un saggio su Poe «che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli come una visione, come una corrispondenza del cielo. La sete insaziabile di tutto ciò che è al di là e che rivela la vita, è la prova più evidente della nostra immortalità. E nel contempo con la poesia e attraverso la poesia, con e attraverso la musica che l’anima intravede gli splendori posti al di là della tomba». E altrove, nell’intento di definire l’essenza della poesia, scriveva: «Che cos’è il poeta se non un traduttore, un decifratore?»
Chi parte da queste premesse non può concepire il poeta come un sapiente artefice di levigate e marmoree descrizioni (alla maniera parnassiana), ma come colui che penetrando a fondo nel reale sfugge alle anguste strettoie del reale, come colui che dallo spleen e dall’angoscia dovuti appunto alla realtà imperfetta e decaduta si libera attraverso la scoperta del misterioso messaggio - corrispondenze, rapporti, suggestioni - che emana dalle cose. La Natura così diventa una foresta di simboli, le sensazioni perdono la loro univocità e la sensazione olfattiva può avere una corrispondenza tattile («freschi come la pelle d’un bambino») o visiva («verdi come i prati»).
È quasi superfluo ricordare che da queste premesse derivano da un lato l’estetismo decadente che depaupererà quanto di autentico travaglio c’era nella concezione baudelairiana e farà dell’evasione in un mondo di bellezza la sua facile religione; dall’altro il "disordine dei sensi" di Rimbaud, quella tecnica della sinestesia e della corrispondenza analogica che caratterizzerà tanta poesia contemporanea.
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe à travers des forêts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.
Comme de longs échos qui de loin se confondent
Dans une ténébreuse et profonde unité,
Vaste comme la nuit et comme la clarté,
Les parfums, les couleurs et les sons se répondent.
Il est des parfums frais comme des chairs d'enfants,
Doux comme les hautbois, verts comme les prairies,
- Et d'autres, corrompus, riches et triomphants,
Ayant l'expansion des choses infinies,
Comme l'ambre, le musc, le benjoin et l'encens
Qui chantent les transports de l'esprit et des sens.
La Natura è un tempio ove pilastri viventi
lasciano sfuggire a tratti confuse parole;
l'uomo vi attraversa foreste di simboli,
che l'osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che da lungi si confondono
in una tenebrosa e profonda unità,
vasta come la notte e il chiarore del giorno,
profumi, colori e suoni si rispondono.
Vi sono profumi freschi come carni di bimbo,
dolci come òboi, verdi come prati,
- e altri, corrotti, ricchi e trionfanti,
che posseggono il respiro delle cose infinite:
come l'ambra, il muschio, il benzoino e l'incenso;
e cantano i moti dell'anima e dei sensi.
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Analisi (Guglielmino-Grosser, Il sistema letterario, vol. Testi 7, pp. 61-61)
Una concezione sacrale della Natura. La metafora di partenza («La Natura è un tempio») senza essere di particolare originalità (si tratta di un’immagine già presente nella tradizione poetica), nel contesto acquista un rilievo particolare, in quanto mette l’accento ad un tempo sul mistero delle cose (le «incerte parole», le foreste di simboli) e sul loro segreto rinvio a qualcosa che ci è noto, che è inciso nel profondo dell’animo, che ci è «familiare». La natura è un «tempio», è sacra, proprio perché parla un linguaggio misterioso, che va al di là delle cose nella loro semplice, tangibile realtà, e che per questo ci cattura.
L’idea della sacralità della natura si salda a quella dell’unità del reale: una segreta "analogia" (così nel Settecento si esprimeva Swedenborg, un filosofo misticheggiante che Baudelaíre conosceva) lega le cose ai loro risvolti sotterranei, la materia allo spirito (L. Sozzi).
Una concezione mistica dell’arte. Baudelaire ha dell’arte una concezione mistica. «È questo mirabile e immortale istinto del Bello» scriveva nel 1857 in un saggio su Poe «che ci fa considerare la terra e i suoi spettacoli come una visione, come una corrispondenza del cielo. La sete insaziabile di tutto ciò che è al di là e che rivela la vita, è la prova più evidente della nostra immortalità. E nel contempo con la poesia e attraverso la poesia, con e attraverso la musica che l’anima intravede gli splendori posti al di là della tomba». E altrove, nell’intento di definire l’essenza della poesia, scriveva: «Che cos’è il poeta se non un traduttore, un decifratore?»
Chi parte da queste premesse non può concepire il poeta come un sapiente artefice di levigate e marmoree descrizioni (alla maniera parnassiana), ma come colui che penetrando a fondo nel reale sfugge alle anguste strettoie del reale, come colui che dallo spleen e dall’angoscia dovuti appunto alla realtà imperfetta e decaduta si libera attraverso la scoperta del misterioso messaggio - corrispondenze, rapporti, suggestioni - che emana dalle cose. La Natura così diventa una foresta di simboli, le sensazioni perdono la loro univocità e la sensazione olfattiva può avere una corrispondenza tattile («freschi come la pelle d’un bambino») o visiva («verdi come i prati»).
È quasi superfluo ricordare che da queste premesse derivano da un lato l’estetismo decadente che depaupererà quanto di autentico travaglio c’era nella concezione baudelairiana e farà dell’evasione in un mondo di bellezza la sua facile religione; dall’altro il "disordine dei sensi" di Rimbaud, quella tecnica della sinestesia e della corrispondenza analogica che caratterizzerà tanta poesia contemporanea.
Postato l'8 gennaio 2011
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