I misteri e la genialità (per alcuni, l'immoralità) dell'arte retorica
di autore anonimo dei Prolegomena in artem rhetoricam (XIV 26, 11)
Il potere mistificatorio e le possibilità di manipolazione della parola sono esemplificati da un notissimo aneddoto, di cui sono protagonisti due antichi oratori, considerati i primi artefici di τέχναι ῥητορικαί, ovvero di «manuali teorico-pratici di arte oratoria».
Si tratta di Corace e Tisia, che secondo la tradizione furono maestro e discepolo.
La scena è a Siracusa, nella prima metà del V secolo a.C.
La scena è a Siracusa, nella prima metà del V secolo a.C.
Corace, maestro prestigioso e affermato, tiene una sorta di “scuola privata” alla quale si dirigono i giovani di belle speranze per imparare i rudimenti della retorica, una “scienza” ancora agli albori. Un giorno gli si presenta Tisia, un giovane intelligente e squattrinato, interessato ad apprendere i segreti del parlare in modo efficace e persuasivo.
Corace si commuove, di fronte all’entusiasmo del suo giovane interlocutore e decide di accettarlo gratuitamente come discepolo, a questo patto: Tisia avrebbe pagato l’onorario al maestro nel momento in cui avesse affrontato e vinto il suo primo processo, dimostrando così di essere diventato oratore abile e in grado di guadagnarsi da vivere.
Passa il tempo, le lezioni si sono ormai concluse, ma Tisia continua a rimandare il giorno del suo primo processo. Corace comincia a seccarsi, perché ritiene l’allievo ormai perfettamente in grado di destreggiarsi con l’arte che gli è stata insegnata.
Ma poiché Tisia pervicacemente rimanda l’attività forense e si rifiuta di pagare il maestro, Corace lo cita in tribunale, ma Tisia risponde alla richiesta di pagamento:
«No, se mi hai insegnato bene la retorica devo essere in grado di convincerti che non ti devo niente, e non ti do niente. Se non mi riesce, se io non sono capace di convincerti che non ti devo niente, vuol dire che non mi hai insegnato bene la retorica, e in tutti e due i casi non ti pago».
Corace si commuove, di fronte all’entusiasmo del suo giovane interlocutore e decide di accettarlo gratuitamente come discepolo, a questo patto: Tisia avrebbe pagato l’onorario al maestro nel momento in cui avesse affrontato e vinto il suo primo processo, dimostrando così di essere diventato oratore abile e in grado di guadagnarsi da vivere.
Passa il tempo, le lezioni si sono ormai concluse, ma Tisia continua a rimandare il giorno del suo primo processo. Corace comincia a seccarsi, perché ritiene l’allievo ormai perfettamente in grado di destreggiarsi con l’arte che gli è stata insegnata.
Ma poiché Tisia pervicacemente rimanda l’attività forense e si rifiuta di pagare il maestro, Corace lo cita in tribunale, ma Tisia risponde alla richiesta di pagamento:
«No, se mi hai insegnato bene la retorica devo essere in grado di convincerti che non ti devo niente, e non ti do niente. Se non mi riesce, se io non sono capace di convincerti che non ti devo niente, vuol dire che non mi hai insegnato bene la retorica, e in tutti e due i casi non ti pago».
L'altro, Corace, a sua volta gli ha risposto: «Se tu riesci a convincermi che non mi devi niente allora vuol dire che ti ho insegnato bene la retorica e quindi mi paghi. Se non riesci a convincermi mi paghi perché non mi hai convinto. In tutti e due i casi mi paghi»".
postato il 28 gennaio 2011
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