Ritorna al centro della contemporaneità, con un romanzo storico dello scrittore polacco, una figura biblica di cui molti hanno scritto nel ’900: da Stefan Zweig a Franz Werfel a Elie Wiesel. Un romanzo in cui l’invenzione è minima e tutto è affidato ai documenti
di Fulvio Panzeri
Geremia è una figura biblica che ha richiamato l’attenzione di molti scrittori del Novecento, intuendo nella sua figura di profeta inascoltato una sorta di lettura metaforica della condizione del loro tempo. Va ricordato che Stefan Zweig, nell’Europa travolta dalla Prima Guerra Mondiale, scrive un dramma dedicato alla figura di Geremia, in cui il profeta, intuendo che il suo destino è segnato e che presto lo attende la prigione, si lascia andare alla disperazione, ma non viene abbandonato da Dio che lo riporta ancora alla grazia della speranza.
Geremia è anche l’uomo che si trova solo, nell’esilio babilonese, così come ce lo racconta anche Franz Werfel.
Del resto ha ragione Elie Wiesel quando scrive che un uomo ossessionato da visioni che sottolineano la fragilità del presente e l’incertezza del futuro «non è mai popolare. La gente lo evita, fugge da lui. È uno che uccide la gioia: ci costringe a guardare ciò che ci rifiutiamo di vedere». È per questo motivo che oggi la figura di Geremia torna ad interessare la nostra contemporaneità e ritornano anche i grandi romanzi che hanno messo al centro la sua figura. Franz Werfel, nel 1937 pubblica Ascoltate la voce!, nel quale come sostiene Ravasi, «aveva esaltato nella 'nuova alleanza' l’originalità della fede biblica e del messaggio del profeta». Proprio due anni fa questo libro di Werfel è tornato in libreria, pubblicato da una piccola casa editrice, Chirico, a testimoniare quanto lo scrittore riconoscesse la sua condizione di perseguitato, in quella di un uomo, il profeta dell’esilio babilonese, che aveva invocato verità e giustizia tra gente che amava il sopruso e la menzogna.
Ora ritorna un’altra 'variazione' sulla figura di Geremia, affidata ad un altro grande scrittore europeo del Novecento, uno dei grandi interpreti della tradizione cristiana, Jan Dobraczynski, polacco, molto noto in Italia soprattutto per L’ombra del padre, il romanzo di Giuseppe. Scrittore assai prolifico, autore di numerosi romanzi che hanno al centro la figura di un personaggio, magari secondario, del Vecchio o del Nuovo Testamento, tra i quali Mosè, San Paolo, Nicodemo che aiuta ad attraversare la vita di Gesù, Maria Maddalena e la Madonna, Dobraczynski non cerca interpretazioni nella figura di Geremia, ma soprattutto vuole raccontarci il destino di un uomo, con le sua forza eversiva, ma anche con le sue debolezze, un uomo che ama il suo popolo e cerca di metterlo in guardia da quelli che sono i rischi di una distruzione annunciata. Lo segue e ce lo racconta con grande passione, «lui, il profeta della sventura e del malaugurio, lui che, da anni e anni, contro tutto e contro tutti, aveva profetizzato il disastro, lui, lui che sentiva ad ogni momento farsi più vicina l’inesorabile scadenza della rovina, lui precipitato in una cisterna, lui, assiso sulle labbra della Morte».
Come accade in tutta la sua opera letteraria, Dobraczynski sa essere un narratore di grande forza che costruisce i suoi romanzi come architetture narrative perfette, che trovano la loro forza di pensiero nel condividere l’anima dei personaggi che li animano, alternando una ricostruzione il più aderente possibile alla realtà storica e lampi di pura poesia che rappresentano la profondità della dimensione umana messa a confronto con la realtà del divino sugli uomini.
Nella nota introduttiva al «romanzo di Geremia», tiene a sottolineare fin dalle prime righe quanto abbia preferito ridurre il margine di invenzione nel raccontare questa vicenda, fornendo ipotesi solo nel caso in cui la documentazione storica non fosse in grado di fornire spiegazioni: «Questo libro non è che un romanzo e non ha altra pretesa che di presentare al lettore un racconto, composto secondo le norme della libera creazione letteraria. Tuttavia la parte riservata all’immaginazione pura e semplice è secondaria e si è fatto il possibile per rispettare l’esattezza del quadro storico di riferimento».
Lo scrittore nel romanzo sceglie di accentrare l’attenzione su tre personaggi-cardine: re di Babel, Nabucodonosor, che secondo quando racconta la Bibbia, per lo scrittore, fu un re giusto e, in un certo senso mite, che aveva sentito il fascino del Dio d’Israele; Elmadam, citato solo nel nome, dall’evangelista Luca, nell’indicare la genealogia del Cristo e infine Geremia.
Allo scrittore non interessano le prospettive politiche della sua azione:«Ho voluto solo far rivivere la figura di un uomo che, schiacciato sotto una missione superiore alle sue forze, la portò fedelmente a termine operando in mezzo ad un’umanità sorda e cieca al suo dolore».
Geremia è anche l’uomo che si trova solo, nell’esilio babilonese, così come ce lo racconta anche Franz Werfel.
Del resto ha ragione Elie Wiesel quando scrive che un uomo ossessionato da visioni che sottolineano la fragilità del presente e l’incertezza del futuro «non è mai popolare. La gente lo evita, fugge da lui. È uno che uccide la gioia: ci costringe a guardare ciò che ci rifiutiamo di vedere». È per questo motivo che oggi la figura di Geremia torna ad interessare la nostra contemporaneità e ritornano anche i grandi romanzi che hanno messo al centro la sua figura. Franz Werfel, nel 1937 pubblica Ascoltate la voce!, nel quale come sostiene Ravasi, «aveva esaltato nella 'nuova alleanza' l’originalità della fede biblica e del messaggio del profeta». Proprio due anni fa questo libro di Werfel è tornato in libreria, pubblicato da una piccola casa editrice, Chirico, a testimoniare quanto lo scrittore riconoscesse la sua condizione di perseguitato, in quella di un uomo, il profeta dell’esilio babilonese, che aveva invocato verità e giustizia tra gente che amava il sopruso e la menzogna.
Ora ritorna un’altra 'variazione' sulla figura di Geremia, affidata ad un altro grande scrittore europeo del Novecento, uno dei grandi interpreti della tradizione cristiana, Jan Dobraczynski, polacco, molto noto in Italia soprattutto per L’ombra del padre, il romanzo di Giuseppe. Scrittore assai prolifico, autore di numerosi romanzi che hanno al centro la figura di un personaggio, magari secondario, del Vecchio o del Nuovo Testamento, tra i quali Mosè, San Paolo, Nicodemo che aiuta ad attraversare la vita di Gesù, Maria Maddalena e la Madonna, Dobraczynski non cerca interpretazioni nella figura di Geremia, ma soprattutto vuole raccontarci il destino di un uomo, con le sua forza eversiva, ma anche con le sue debolezze, un uomo che ama il suo popolo e cerca di metterlo in guardia da quelli che sono i rischi di una distruzione annunciata. Lo segue e ce lo racconta con grande passione, «lui, il profeta della sventura e del malaugurio, lui che, da anni e anni, contro tutto e contro tutti, aveva profetizzato il disastro, lui, lui che sentiva ad ogni momento farsi più vicina l’inesorabile scadenza della rovina, lui precipitato in una cisterna, lui, assiso sulle labbra della Morte».
Come accade in tutta la sua opera letteraria, Dobraczynski sa essere un narratore di grande forza che costruisce i suoi romanzi come architetture narrative perfette, che trovano la loro forza di pensiero nel condividere l’anima dei personaggi che li animano, alternando una ricostruzione il più aderente possibile alla realtà storica e lampi di pura poesia che rappresentano la profondità della dimensione umana messa a confronto con la realtà del divino sugli uomini.
Nella nota introduttiva al «romanzo di Geremia», tiene a sottolineare fin dalle prime righe quanto abbia preferito ridurre il margine di invenzione nel raccontare questa vicenda, fornendo ipotesi solo nel caso in cui la documentazione storica non fosse in grado di fornire spiegazioni: «Questo libro non è che un romanzo e non ha altra pretesa che di presentare al lettore un racconto, composto secondo le norme della libera creazione letteraria. Tuttavia la parte riservata all’immaginazione pura e semplice è secondaria e si è fatto il possibile per rispettare l’esattezza del quadro storico di riferimento».
Lo scrittore nel romanzo sceglie di accentrare l’attenzione su tre personaggi-cardine: re di Babel, Nabucodonosor, che secondo quando racconta la Bibbia, per lo scrittore, fu un re giusto e, in un certo senso mite, che aveva sentito il fascino del Dio d’Israele; Elmadam, citato solo nel nome, dall’evangelista Luca, nell’indicare la genealogia del Cristo e infine Geremia.
Allo scrittore non interessano le prospettive politiche della sua azione:«Ho voluto solo far rivivere la figura di un uomo che, schiacciato sotto una missione superiore alle sue forze, la portò fedelmente a termine operando in mezzo ad un’umanità sorda e cieca al suo dolore».
Jan Dobraczynski, PRIMA CHE CALI IL BUIO. Il romanzo di Geremia, Gribaudi, pp. 352, € 18,00
«Avvenire» del 10 luglio 2010
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