I libri di Sedita e Israel sulla logica opportunista degli intellettuali lungo il ventennio: un istante prima a libro paga del regime, dopo il ’45 eccoli fare i moralisti nel Pci
di Paolo Simoncelli
A leggere le pagine dei volumi di Sedita e di Israel ricche di documenti, e altri carteggi recenti (come quello tra Ungaretti e Lascure, edito da Olschki), vien da rinunciare a credere in qualunque principio, a manifestare piuttosto un rancore inerte ma inappellabile contro chi non si è limitato a prostituirsi ma, cambiati i tempi, ha deciso di fare l’elogio della verginità continuando a esercitare il 'mestiere'. Il Nobel per la letteratura attribuito a Quasimodo nel ’59 provoca lo sconcerto di Ungaretti che ne ricorda il collaborazionismo col fascismo e la lucrata cattedra per 'chiara fama' di letteratura italiana. Esattamente come nel caso dello stesso Ungaretti. In più, entrambi, erano stati sovvenzionati dal Minculpop. E quello che si sapeva, ma non si doveva dire, cioè che quasi tutti gli intellettuali italiani avevano dato consenso e lodi al regime, quella «congiura del silenzio», denunciata da Pierluigi Battista in Cancellare le tracce, viene svelata ora dai 906 fascicoli personali, subito sequestrati al Ministero dagli Alleati e messi a disposizione delle autorità italiane per l’epurazione. Sovvenzioni a vario titolo coinvolgono ogni settore della cultura italiana.
I dati forniti da Sedita mostrano un diagramma di sovvenzioni dal 1932 al 1943 che incredibilmente ha un’impennata (moralmente ancor più inaccettabile) dal 1939 al ’43, dopo le leggi razziali e durante la guerra. Un elenco risulterebbe qui lacunoso, ma sorprende (?) cogliervi i grandi esponenti della cultura comunista e di sinistra del dopoguerra (Vittorini, Brancati, Bilenchi, Pratolini, Penna, Gatto, De Libero…). Croce aveva polemicamente colto nell’immediata corsa di molti intellettuali ad iscriversi al Pci l’intento di evitare l’epurazione (un altro opportunismo dunque). Ma avremmo bisogno di credere in qualcosa di diverso, non solo di pratico, pur senza poter più sperare in un pubblico ripensamento dei protagonisti di quel passato politico (ah, la malriposta fiducia nel «cancellare le tracce»!).
Proviamo ad offrirlo noi, non per improvvisarci difensori d’ufficio di tanti (debolissimi) mostri sacri della nostra cultura, ma per noi stessi che la casualità dell’esistenza ha messo al riparo da quegli anni e che avremmo voluto chiarezza e verità da quei maestri venuti a farci lezioni di antifascismo. Intellettuali di una generazione che ha avuto la memoria fresca della crisi del liberalismo e della rappresentanza parlamentare, di un parlamento cioè che già dalla fine dell’800 non rappresentava né bisogni né sentimenti della società, possono aver creduto in un movimento dichiaratamente antiparlamentare, e sperato in buona fede nella 'rivoluzione' fascista; travolti poi dalla drammaticità degli eventi, si sono ritrovati più agevolmente nel Pci che negli schieramenti liberali e crociani generazionalmente ignorati e storicamente sorpassati. Ma il controllo censorio della memoria storica generò il raggiro del costante e adamantino antifascismo, nascondendo anziché spiegando quel passato personale (e di gruppo). Su cui si abbatte la slavina moralmente ineludibile delle leggi razziali.
Qui la documentazione raccolta da Israel è implacabile (e addirittura lacunosa); essenzialmente rivolta alla vicende delle discipline scientifiche che nelle Università italiane ebbero uno sviluppo spettacolare, durante il fascismo, grazie a molti professori ebrei. E per paradossale che possa sembrare la questione, il problema non appare nella sua gravità al momento dell’espulsione di studenti e professori ebrei dalle scuole italiane, ma al momento dell’epurazione. Casi che francamente lasciano agghiacciati: professori ariani che avevano plaudito all’espulsione dei colleghi ebrei, e che, come se niente fosse, nel dopoguerra vengono a dar mostra di antifascismo, a celebrare in morte il collega ebreo già espulso nel ’38, a ricevere sussidi e premi per i loro Istituti, a godere della protezione di esponenti politici antifascisti, anzi propriamente comunisti! Ma dove siamo vissuti? E l’equazione antifascismo=antirazzismo? C’è sempre il caso Gentile ad ammonirci da facili automatismi. Mentre al caso di Tullio Terni, ormai noto, aggiungiamo quello (assai meno noto) di Mario Camis, grande fisiologo ebreo, convertito al cattolicesimo nel 1930, poi sacerdote domenicano, epurato per atti di squadrismo compiuti «nei primi anni del regime» a Pisa, città che aveva lasciato definitivamente nel 1913! Ma soprattutto la vicenda dell’epurazione continua a fornirci un’immagine sempre più definita della cultura italiana del dopoguerra come eticamente impresentabile e sostanzialmente corrotta nel suo Dna.
Giovanni Sedita, INTELLETTUALI DI MUSSOLINI, Le Lettere, pp. 254, € 20
Giorgio Israel, IL FASCISMO E LA RAZZA, Il Mulino, pp. 444, € 29
I dati forniti da Sedita mostrano un diagramma di sovvenzioni dal 1932 al 1943 che incredibilmente ha un’impennata (moralmente ancor più inaccettabile) dal 1939 al ’43, dopo le leggi razziali e durante la guerra. Un elenco risulterebbe qui lacunoso, ma sorprende (?) cogliervi i grandi esponenti della cultura comunista e di sinistra del dopoguerra (Vittorini, Brancati, Bilenchi, Pratolini, Penna, Gatto, De Libero…). Croce aveva polemicamente colto nell’immediata corsa di molti intellettuali ad iscriversi al Pci l’intento di evitare l’epurazione (un altro opportunismo dunque). Ma avremmo bisogno di credere in qualcosa di diverso, non solo di pratico, pur senza poter più sperare in un pubblico ripensamento dei protagonisti di quel passato politico (ah, la malriposta fiducia nel «cancellare le tracce»!).
Proviamo ad offrirlo noi, non per improvvisarci difensori d’ufficio di tanti (debolissimi) mostri sacri della nostra cultura, ma per noi stessi che la casualità dell’esistenza ha messo al riparo da quegli anni e che avremmo voluto chiarezza e verità da quei maestri venuti a farci lezioni di antifascismo. Intellettuali di una generazione che ha avuto la memoria fresca della crisi del liberalismo e della rappresentanza parlamentare, di un parlamento cioè che già dalla fine dell’800 non rappresentava né bisogni né sentimenti della società, possono aver creduto in un movimento dichiaratamente antiparlamentare, e sperato in buona fede nella 'rivoluzione' fascista; travolti poi dalla drammaticità degli eventi, si sono ritrovati più agevolmente nel Pci che negli schieramenti liberali e crociani generazionalmente ignorati e storicamente sorpassati. Ma il controllo censorio della memoria storica generò il raggiro del costante e adamantino antifascismo, nascondendo anziché spiegando quel passato personale (e di gruppo). Su cui si abbatte la slavina moralmente ineludibile delle leggi razziali.
Qui la documentazione raccolta da Israel è implacabile (e addirittura lacunosa); essenzialmente rivolta alla vicende delle discipline scientifiche che nelle Università italiane ebbero uno sviluppo spettacolare, durante il fascismo, grazie a molti professori ebrei. E per paradossale che possa sembrare la questione, il problema non appare nella sua gravità al momento dell’espulsione di studenti e professori ebrei dalle scuole italiane, ma al momento dell’epurazione. Casi che francamente lasciano agghiacciati: professori ariani che avevano plaudito all’espulsione dei colleghi ebrei, e che, come se niente fosse, nel dopoguerra vengono a dar mostra di antifascismo, a celebrare in morte il collega ebreo già espulso nel ’38, a ricevere sussidi e premi per i loro Istituti, a godere della protezione di esponenti politici antifascisti, anzi propriamente comunisti! Ma dove siamo vissuti? E l’equazione antifascismo=antirazzismo? C’è sempre il caso Gentile ad ammonirci da facili automatismi. Mentre al caso di Tullio Terni, ormai noto, aggiungiamo quello (assai meno noto) di Mario Camis, grande fisiologo ebreo, convertito al cattolicesimo nel 1930, poi sacerdote domenicano, epurato per atti di squadrismo compiuti «nei primi anni del regime» a Pisa, città che aveva lasciato definitivamente nel 1913! Ma soprattutto la vicenda dell’epurazione continua a fornirci un’immagine sempre più definita della cultura italiana del dopoguerra come eticamente impresentabile e sostanzialmente corrotta nel suo Dna.
Giovanni Sedita, INTELLETTUALI DI MUSSOLINI, Le Lettere, pp. 254, € 20
Giorgio Israel, IL FASCISMO E LA RAZZA, Il Mulino, pp. 444, € 29
«Avvenire» del 10 luglio 2010
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