I ragazzi e lo spazio digitale
di Francesco Ognibene
Su Internet non esiste una frontiera fisica davanti alla quale la colonizzazione si possa arrestare. Il «sesto continente» digitale, come l’ha ribattezzato Benedetto XVI, si espande nell’inseguimento inesauribile tra le prestazioni della tecnologia e le nostre esigenze comunicative, spontanee o indotte. Lo stadio dei social network al quale siamo giunti – la galassia di bit nella quale l’opinione di chiunque, il video artigianale, la petizione su qualsiasi causa, rimbalzano tra migliaia o milioni di utenti – è solo un crocevia provvisorio: altro seguirà a questa nuova esplosione creativa nella quale chi naviga coincide con chi dà motivo agli altri di navigare, i contenuti sono scambiati in orizzontale, parole e immagini vengono immesse a ciclo continuo sul Web, reso contenitore nel quale ogni scoperta, contatto, iniziativa sembrano possibili. Libertà e sperimentazione, relazione impalpabile e sintonia profonda: le reti sociali sono ambienti vivi, animati dal chiacchiericcio insonne di un popolo senza età e passaporto. Nulla conta quanto ciò che si comunica.
Schiusa la porta di questo pianeta immateriale, i più giovani restano fatalmente abbacinati. La persuasione che di colpo tutto diventi plausibile li fa credere invulnerabili, al riparo da qualsiasi contatto indesiderato, come se bastasse spegnere la macchina per estinguere un mondo ormai pervasivo e influente quanto quello tangibile. L’annuale monitoraggio dell’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto, reso pubblico ieri, mostra invece come di anno in anno all’espansione della galassia digitale corrisponda l’ampliarsi di una zona buia dove si muovono veri criminali. Pedofilia e devianza sono reati che Meter segnala alle autorità di polizia perché provvedano a neutralizzare le aree infette dentro il magma delle reti sociali, restituendo il Web alla sua funzione originaria. Ma c’è una regione sempre più indistinta dove il limite tra normalità ed eccesso, controllo sociale e assenza di norme si fa inafferrabile. A volte basta davvero un clic in più per trovarsi dentro ambienti e situazioni dove non esiste più filtro. Qui l’adolescente – o il bambino – si trova da solo a fronteggiare codici comportamentali e linguistici che lo proiettano dentro un contesto non suo, e dal quale nel mondo reale viene tenuto alla larga. Genitori e figure educative sembrano invece credere che oltre lo schermo si svolga nient’altro che un indecifrabile videogioco, dove i ragazzi possano rischiare al più di perdere molto tempo. L’attenzione verso le amicizie 'reali', talora ansiosa quando non oppressiva, lascia il posto a una svagatezza distratta per le frequentazioni online, come se Internet fosse ancora quello dei tempi eroici, una televisione più allegra, e non il Web sociale di oggi dove si allacciano incessantemente relazioni e la qualità dell’ambiente è affidata all’autodisciplina, dunque spesso all’arbitrio e alla sopraffazione dei modelli. Un’antropologia casuale, dalla quale il mondo adulto non può continuare a chiamarsi fuori per estraneità generazionale.
Occorre condividere i mondi dei propri figli, anche quelli virtuali, saperli frequentare insieme a loro, rendersi conto dal vivo delle comunità nelle quali la generazione digitale plasma nuovi scenari piantando le tende sulle frontiere future del sesto continente. Anche questa è «sfida educativa».
Schiusa la porta di questo pianeta immateriale, i più giovani restano fatalmente abbacinati. La persuasione che di colpo tutto diventi plausibile li fa credere invulnerabili, al riparo da qualsiasi contatto indesiderato, come se bastasse spegnere la macchina per estinguere un mondo ormai pervasivo e influente quanto quello tangibile. L’annuale monitoraggio dell’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto, reso pubblico ieri, mostra invece come di anno in anno all’espansione della galassia digitale corrisponda l’ampliarsi di una zona buia dove si muovono veri criminali. Pedofilia e devianza sono reati che Meter segnala alle autorità di polizia perché provvedano a neutralizzare le aree infette dentro il magma delle reti sociali, restituendo il Web alla sua funzione originaria. Ma c’è una regione sempre più indistinta dove il limite tra normalità ed eccesso, controllo sociale e assenza di norme si fa inafferrabile. A volte basta davvero un clic in più per trovarsi dentro ambienti e situazioni dove non esiste più filtro. Qui l’adolescente – o il bambino – si trova da solo a fronteggiare codici comportamentali e linguistici che lo proiettano dentro un contesto non suo, e dal quale nel mondo reale viene tenuto alla larga. Genitori e figure educative sembrano invece credere che oltre lo schermo si svolga nient’altro che un indecifrabile videogioco, dove i ragazzi possano rischiare al più di perdere molto tempo. L’attenzione verso le amicizie 'reali', talora ansiosa quando non oppressiva, lascia il posto a una svagatezza distratta per le frequentazioni online, come se Internet fosse ancora quello dei tempi eroici, una televisione più allegra, e non il Web sociale di oggi dove si allacciano incessantemente relazioni e la qualità dell’ambiente è affidata all’autodisciplina, dunque spesso all’arbitrio e alla sopraffazione dei modelli. Un’antropologia casuale, dalla quale il mondo adulto non può continuare a chiamarsi fuori per estraneità generazionale.
Occorre condividere i mondi dei propri figli, anche quelli virtuali, saperli frequentare insieme a loro, rendersi conto dal vivo delle comunità nelle quali la generazione digitale plasma nuovi scenari piantando le tende sulle frontiere future del sesto continente. Anche questa è «sfida educativa».
«Avvenire» del 3 febbraio 2010
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