Lo storico sloveno Pirjevec fa riesplodere le polemiche sull’eccidio di migliaia di italiani da parte di Tito. In Friuli Venezia Giulia il centrodestra chiede una commissione d’inchiesta: "Quel saggio è negazionista".
di Ugo Finetti
L’autore ripesca le tesi giustificazioniste dei comunisti e riduce il numero delle vittime
A pochi giorni dalla ricorrenza del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, nell’anniversario della firma del Trattato di Parigi con il quale l’Italia perdette gran parte del territorio dell’allora Venezia Giulia, si registra il divampare di polemiche di fronte al tentativo di occultare la tragedia dell’esodo degli italiani e i massacri delle foibe.
A vent’anni dalla caduta del comunismo e dalla scomparsa del Pci la verità su quei fatti in Italia è ben lontana da essere «condivisa». E purtroppo dalle sedi istituzionali fino a molti siti Internet emerge un’accesa polemica, segno che si tratti di ferite non rimarginate. Al centro degli interventi è in particolare il recente libro dello storico sloveno Joze Pirjevec, Foibe. Una storia italiana, pubblicato da Einaudi, un saggio che nello stesso Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha provocato proprio due giorni fa una dura denuncia dei gruppi del Pdl e dell’Udc: «Negare, come ha fatto lo storico dell’università di Capodistria (Slovenia) Joze Pirjevec, che la tragedia delle foibe sia da attribuirsi alla volontà di effettuare una pulizia etnica premeditata, frutto di un’azione politica tesa all’eliminazione di quanti si opponevano all’annessione alla Jugoslavia dopo la fine della seconda guerra mondiale, significa non prendere in considerazione fatti storicamente assodati. È necessario dare urgentemente corso all’iter per la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta, affinché venga fatta definitivamente luce su questi tragici fatti». Nella mozione i consiglieri chiedono che la Giunta regionale intervenga presso il Parlamento, dove risulta già depositata un’istanza relativa alla costituzione di una Commissione d’inchiesta sulle foibe.
In effetti il libro di Pirjevec ripropone le tradizionali tesi «negazioniste» e giusitificazioniste dei comunisti italiani e jugoslavi: da un lato ci sono «le simpatie del proletariato per la causa della Jugoslavia» e dall’altro «le forze borghesi triestine». Chi nell’ambito dello stesso Cln non era d’accordo con Tito è dipinto come in preda di «una barriera psicologica (che) impediva agli antifascisti “borghesi” di collaborare con gli “slavi” per costituire un fronte unico contro i nazisti». Soprattutto Pirjevec sostiene che le vittime della polizia politica di Tito, la famigerata Ozna, erano fascisti e nazisti e ne riduce il numero contestando che fossero migliaia. Affrontando poi la vicenda dell’esodo di 350mila giuliani, friulani e dalmati si scaglia contro gli italiani definendoli «indottrinati dal nazionalismo e dal fascismo a sentirsi razza eletta». In conclusione Pirjevec sostiene che gli italiani si erano comportati nei confronti degli slavi come «sudisti in America nei confronti dei negri» e che «il motore principale dell’“esodo”» fu «l’incapacità degli italiani di adattarsi alla nuova situazione accettando gli slavi alla pari». «In questa situazione - prosegue l’autore - il discorso delle foibe assunse una valenza simbolica che la parte italiana seppe sfruttare appieno puntando sulla tesi che gli jugoslavi non erano degni di governare le terre conquistate con le armi».
Tutta la rievocazione (che non risparmia strali contro Giorgio Napolitano e salva solo Claudio Magris e gli storici al vertice dell’Insmli come Enzo Collotti) è fatta presentando antifascismo anticomunista e nazifascismo come un blocco unico. Conseguentemente il negazionismo su foibe e esodo investe anche la strage di Porzûs compiuta dai comunisti italiani uccidendo a tradimento i partigiani della Osoppo che non volevano mettere la divisa jugoslava. Per Pirjevec fu solo un «episodio marginale pur nella sua tragicità» che ha assunto «dimensioni sproporzionate». «La strage - ha invece ricordato la storica Elena Aga-Rossi - fu il risultato di una politica volta all’eliminazione degli avversari che nel Friuli si opponevano all’occupazione jugoslava».
Colpisce il fatto che a livello della più importante editoria e con l’autorevolezza di titoli accademici si possano ancora riproporre i «cavalli di battaglia» della propaganda stalinista e occultare il ruolo di Togliatti in quelle vicende. La premeditazione delle foibe e le corresponsabilità dei comunisti italiani ormai emergono senza ombra di dubbio dai documenti. L’origine risale alla rivendicazione territoriale di Tito che sin dall’inizio della lotta armata va ben al di là dei confini del 1919. Già nella conferenza di Pisino del 13 settembre 1943 dei comunisti titini alla presenza di una delegazione del Pci si stabiliva l’annessione alla Croazia dell’Istria e l’allontanamento in massa degli italiani. Quel che maggiormente pesò senza venir contestato dal Pci fu la definizione unilaterale di «minoranza italiana dell’Istria». Una sorta di sentenza che stabiliva già come conclusione l’esodo.
Ora Pirjevec nega che nelle foibe di Basovizza (Trieste) vi sarebbero 2.500 corpi e altrettanti in quella di Brsljanovica di Opicina.
Per dimostrarlo si dovrebbe secondo lui effettuare una scrupolosa perlustrazione delle grotte. Ma - aggiunge - le voragini sono state volutamente cementificate e ostruite con materiale esplosivo al fine di evitarne l’esplorazione, e quindi, conoscere l’esatto numero delle vittime ivi giacenti e la loro nazionalità. Dalla cattedra einaudiana, Pirjevec sostiene quindi la tesi di una continuità tra la propaganda nazista sulle foibe istriane e la loro riscoperta degli anni Novanta, attraverso un’operazione politica e culturale «revisionista». È il paradosso della situazione italiana: il «negazionismo» che si erge a censore del «revisionismo».
A vent’anni dalla caduta del comunismo e dalla scomparsa del Pci la verità su quei fatti in Italia è ben lontana da essere «condivisa». E purtroppo dalle sedi istituzionali fino a molti siti Internet emerge un’accesa polemica, segno che si tratti di ferite non rimarginate. Al centro degli interventi è in particolare il recente libro dello storico sloveno Joze Pirjevec, Foibe. Una storia italiana, pubblicato da Einaudi, un saggio che nello stesso Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia ha provocato proprio due giorni fa una dura denuncia dei gruppi del Pdl e dell’Udc: «Negare, come ha fatto lo storico dell’università di Capodistria (Slovenia) Joze Pirjevec, che la tragedia delle foibe sia da attribuirsi alla volontà di effettuare una pulizia etnica premeditata, frutto di un’azione politica tesa all’eliminazione di quanti si opponevano all’annessione alla Jugoslavia dopo la fine della seconda guerra mondiale, significa non prendere in considerazione fatti storicamente assodati. È necessario dare urgentemente corso all’iter per la costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta, affinché venga fatta definitivamente luce su questi tragici fatti». Nella mozione i consiglieri chiedono che la Giunta regionale intervenga presso il Parlamento, dove risulta già depositata un’istanza relativa alla costituzione di una Commissione d’inchiesta sulle foibe.
In effetti il libro di Pirjevec ripropone le tradizionali tesi «negazioniste» e giusitificazioniste dei comunisti italiani e jugoslavi: da un lato ci sono «le simpatie del proletariato per la causa della Jugoslavia» e dall’altro «le forze borghesi triestine». Chi nell’ambito dello stesso Cln non era d’accordo con Tito è dipinto come in preda di «una barriera psicologica (che) impediva agli antifascisti “borghesi” di collaborare con gli “slavi” per costituire un fronte unico contro i nazisti». Soprattutto Pirjevec sostiene che le vittime della polizia politica di Tito, la famigerata Ozna, erano fascisti e nazisti e ne riduce il numero contestando che fossero migliaia. Affrontando poi la vicenda dell’esodo di 350mila giuliani, friulani e dalmati si scaglia contro gli italiani definendoli «indottrinati dal nazionalismo e dal fascismo a sentirsi razza eletta». In conclusione Pirjevec sostiene che gli italiani si erano comportati nei confronti degli slavi come «sudisti in America nei confronti dei negri» e che «il motore principale dell’“esodo”» fu «l’incapacità degli italiani di adattarsi alla nuova situazione accettando gli slavi alla pari». «In questa situazione - prosegue l’autore - il discorso delle foibe assunse una valenza simbolica che la parte italiana seppe sfruttare appieno puntando sulla tesi che gli jugoslavi non erano degni di governare le terre conquistate con le armi».
Tutta la rievocazione (che non risparmia strali contro Giorgio Napolitano e salva solo Claudio Magris e gli storici al vertice dell’Insmli come Enzo Collotti) è fatta presentando antifascismo anticomunista e nazifascismo come un blocco unico. Conseguentemente il negazionismo su foibe e esodo investe anche la strage di Porzûs compiuta dai comunisti italiani uccidendo a tradimento i partigiani della Osoppo che non volevano mettere la divisa jugoslava. Per Pirjevec fu solo un «episodio marginale pur nella sua tragicità» che ha assunto «dimensioni sproporzionate». «La strage - ha invece ricordato la storica Elena Aga-Rossi - fu il risultato di una politica volta all’eliminazione degli avversari che nel Friuli si opponevano all’occupazione jugoslava».
Colpisce il fatto che a livello della più importante editoria e con l’autorevolezza di titoli accademici si possano ancora riproporre i «cavalli di battaglia» della propaganda stalinista e occultare il ruolo di Togliatti in quelle vicende. La premeditazione delle foibe e le corresponsabilità dei comunisti italiani ormai emergono senza ombra di dubbio dai documenti. L’origine risale alla rivendicazione territoriale di Tito che sin dall’inizio della lotta armata va ben al di là dei confini del 1919. Già nella conferenza di Pisino del 13 settembre 1943 dei comunisti titini alla presenza di una delegazione del Pci si stabiliva l’annessione alla Croazia dell’Istria e l’allontanamento in massa degli italiani. Quel che maggiormente pesò senza venir contestato dal Pci fu la definizione unilaterale di «minoranza italiana dell’Istria». Una sorta di sentenza che stabiliva già come conclusione l’esodo.
Ora Pirjevec nega che nelle foibe di Basovizza (Trieste) vi sarebbero 2.500 corpi e altrettanti in quella di Brsljanovica di Opicina.
Per dimostrarlo si dovrebbe secondo lui effettuare una scrupolosa perlustrazione delle grotte. Ma - aggiunge - le voragini sono state volutamente cementificate e ostruite con materiale esplosivo al fine di evitarne l’esplorazione, e quindi, conoscere l’esatto numero delle vittime ivi giacenti e la loro nazionalità. Dalla cattedra einaudiana, Pirjevec sostiene quindi la tesi di una continuità tra la propaganda nazista sulle foibe istriane e la loro riscoperta degli anni Novanta, attraverso un’operazione politica e culturale «revisionista». È il paradosso della situazione italiana: il «negazionismo» che si erge a censore del «revisionismo».
«Il Giornale» del 1 febbraio 2010
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