La lezione del Premio Strega: ora la destra culturale smetta di lagnarsi
di Pierluigi Battista
La guerra è finita. Con il trionfo di un libro intitolato «Canale Mussolini» al Premio Strega si chiude il sipario su decenni di guerre culturali e storiografiche tra ortodossi e revisionisti, dogmatici e rivisitatori. Il romanzo di Antonio Pennacchi è un bellissimo libro. Racconta l'epica bonifica dell'Agro Pontino come la conquista del West. Con le famiglie della campagna di Ferrara e di Rovigo al posto dei cowboy. Con il mito della frontiera ad animare chi andava a prosciugare le paludi e a edificare dal niente Littoria o Borgo Sabotino. Con lo slancio di un idealismo socialista e poi fascista che sembra uscito dalle pagine del «Mussolini il rivoluzionario» di Renzo De Felice. È stato «infranto il tabù Mussolini» sostiene Pietrangelo Buttafuoco. Qualcuno, riferisce Luca Mastrantonio sul Riformista, ha già esclamato «fascisti al Ninfeo». Esagerazione. Ma una delle cittadelle dell'establishment culturale postfascista è stata espugnata. E d'ora in poi la destra italiana deve smetterla di fare la lagna. Attraverso la letteratura, il fascismo viene ricompreso nella storia nazionale senza lo sguardo della demonizzazione e della condanna preventiva. Si può obiettare: è solo letteratura. Ma anche «Via col vento» era solo cinema, eppure era anche un'elegia sul mondo del Sud sconfitto nella Guerra civile americana: qual era il colore della pelle di chi lavorava in schiavitù nelle piantagioni di cotone di Rossella O'Hara? Eppure con «Via col vento» l'America rielaborò simbolicamente il proprio passato, comprese le ragioni dei «vinti». E così il romanzo di Pennacchi non è certo «fascista», ma ci dice che il fascismo è stato «anche» un'avventurosa epopea italiana. E questo nuovo sguardo del tutto emancipato dalle interdizioni dell'ideologia antifascista, senza complessi di inferiorità, ha trovato una consacrazione clamorosa in un premio in cui la maggioranza degli elettori guarda probabilmente con più simpatia la sinistra culturale. È il segno di uno smottamento negli argini allestiti con meticolosa prudenza, nei decenni scorsi, dagli arcigni sacerdoti dell'ortodossia antifascista. Un macroscopico segno dei tempi nuovi. Ora la destra culturale, ammesso che ne esista una, non ha più alibi. Non può più lamentarsi. Non può più invocare l'attenuante di oramai inesistenti ostracismi. Ora non può più accusare le nefandezze del «regime culturale» della sinistra: semplicemente perché al Ninfeo di Villa Giulia quel regime culturale si è schiantato, non esiste più, ha alzato bandiera bianca e deposto quella rossa. Certo, è solo letteratura. Ma la letteratura è un sismografo sensibilissimo degli umori collettivi, figurarsi un prestigioso premio letterario. Esaurito il lamento petulante e autogiustificatorio, la cultura di destra dimostri finalmente quello che sa fare. Altrimenti certifichi il proprio fallimento: proprio quando Mussolini fa il suo ingresso trionfale nell'empireo dello Strega.
«Corriere della Sera» del 5 luglio 2010
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