di Alessandro Gnocchi
Franco Alberti è stato per quarant’anni presidente della società Strega, produttrice dell’omonimo liquore, tuttora ne è presidente emerito. A lui chiediamo di raccontare come ha visto cambiare il Premio letterario più importante d’Italia, patrocinato dalla sua azienda.
Come nacque lo Strega?
«In forma amicale nella casa romana di Goffredo e Maria Bellonci. Goffredo era una personalità di spicco nel mondo del giornalismo e della critica, lavorava al Messaggero. Erano riunioni ristrette, succedeva un po’ di tutto, a volte mancava perfino la luce. Mio cugino Guido faceva parte di questa cerchia, era amico di Ermanno Contini, critico del Messaggero e di Alba de Céspedes».
Si parlava di libri, immagino.
«Sì, per questo a Maria venne l’idea di scegliere un libro da premiare ogni anno. Si scelse la formula del voto, che risplendeva in un’epoca di riconquistata libertà».
Perché la sua famiglia decise di patrocinare il Premio?
«Parlandone con Guido, emerse la possibilità di dare una dotazione al vincitore. Erano 300mila lire, cifra non indifferente per l’epoca. L’idea fu discussa nel consiglio d’amministrazione dello Strega. Nel ’47 vi fu il primo premiato, Ennio Flaiano: Tempo di uccidere».
Lei da quando è in giuria?
«Dal ’48, la facoltà di voto mi fu data da Maria Bellonci quando presi la licenza liceale. Allora era molto diverso. In molti casi, alla votazione, partecipavano moglie e marito. Ricordo il giornalista Alberto Consiglio: sua moglie Marcella Inselvini aveva una cattedra di biologia all’Università di Roma, entrò anche lei fra i giurati».
Come giudica le ultime edizioni caratterizzate da aspre polemiche?
«Ci sono stati molti cambiamenti. La Bellonci fu la vera anima del premio. La sua morte mutò le cose. La società Strega aveva brevettato il nome del Premio fin dal ’74. Maria lasciò erede universale Anna Maria Rimoaldi, sua stretta collaboratrice. Il premio non era fra i beni ereditati. La Rimoaldi istituì la Fondazione Bellonci nell’86 con il compito di amministrare il Premio. Fu un’operazione indipendente da noi. Ma per noi rimase un modo interessante di fare promozione».
Eravate una quindicina, ora sono oltre 400...
«I lettori sono aumentati, così come gli editori e gli autori. Era inevitabile. La formula però è rimasta sostanzialmente uguale: la cinquina faceva parte dell’idea originaria».
Come sono stati scelti?
«Per cooptazione, fra persone di alto profilo. Poi ci sono i vincitori che diventano di diritto giurati».
Allora perché tante discussioni e sparate sui giornali?
«Alcune di queste polemiche sono infondate. Si accusano i giurati di essere oggetto di pressioni indebite. Assurdo. Gli Amici della domenica sono persone qualificate dal punto di vista culturale e sociale».
E perché si dice che il vincitore è scelto dagli editori, fino a qualche tempo fa secondo logiche da manuale Cencelli?
«Non è scelto dagli editori. Gli editori fanno propaganda per i propri autori. È legittimo. È una questione di buonsenso. Non si può fare un concorso sui libri ignorando l’esistenza degli editori».
Ma come mai Raffaello Avanzini, editore di Newton Compton, quest’anno ha indovinato la cinquina con mesi d’anticipo?
«È una facile previsione per chi è nell’ambiente e segue le cose. Newton Compton è un ottimo editore, ma non ha mai avuto particolari velleità letterarie. Altri piccoli editori hanno gareggiato con successo grazie al loro catalogo di pregio».
Ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera che lo Strega è espressione dell’establishment culturale che guarda a sinistra. Vero o falso?
«Vero. In Italia l’establishment culturale, per reazione al Ventennio, è sempre stato legato alla sinistra. La politica italiana, a parte il Partito comunista italiano, non si è curata della cultura e della società civile».
Come nacque lo Strega?
«In forma amicale nella casa romana di Goffredo e Maria Bellonci. Goffredo era una personalità di spicco nel mondo del giornalismo e della critica, lavorava al Messaggero. Erano riunioni ristrette, succedeva un po’ di tutto, a volte mancava perfino la luce. Mio cugino Guido faceva parte di questa cerchia, era amico di Ermanno Contini, critico del Messaggero e di Alba de Céspedes».
Si parlava di libri, immagino.
«Sì, per questo a Maria venne l’idea di scegliere un libro da premiare ogni anno. Si scelse la formula del voto, che risplendeva in un’epoca di riconquistata libertà».
Perché la sua famiglia decise di patrocinare il Premio?
«Parlandone con Guido, emerse la possibilità di dare una dotazione al vincitore. Erano 300mila lire, cifra non indifferente per l’epoca. L’idea fu discussa nel consiglio d’amministrazione dello Strega. Nel ’47 vi fu il primo premiato, Ennio Flaiano: Tempo di uccidere».
Lei da quando è in giuria?
«Dal ’48, la facoltà di voto mi fu data da Maria Bellonci quando presi la licenza liceale. Allora era molto diverso. In molti casi, alla votazione, partecipavano moglie e marito. Ricordo il giornalista Alberto Consiglio: sua moglie Marcella Inselvini aveva una cattedra di biologia all’Università di Roma, entrò anche lei fra i giurati».
Come giudica le ultime edizioni caratterizzate da aspre polemiche?
«Ci sono stati molti cambiamenti. La Bellonci fu la vera anima del premio. La sua morte mutò le cose. La società Strega aveva brevettato il nome del Premio fin dal ’74. Maria lasciò erede universale Anna Maria Rimoaldi, sua stretta collaboratrice. Il premio non era fra i beni ereditati. La Rimoaldi istituì la Fondazione Bellonci nell’86 con il compito di amministrare il Premio. Fu un’operazione indipendente da noi. Ma per noi rimase un modo interessante di fare promozione».
Eravate una quindicina, ora sono oltre 400...
«I lettori sono aumentati, così come gli editori e gli autori. Era inevitabile. La formula però è rimasta sostanzialmente uguale: la cinquina faceva parte dell’idea originaria».
Come sono stati scelti?
«Per cooptazione, fra persone di alto profilo. Poi ci sono i vincitori che diventano di diritto giurati».
Allora perché tante discussioni e sparate sui giornali?
«Alcune di queste polemiche sono infondate. Si accusano i giurati di essere oggetto di pressioni indebite. Assurdo. Gli Amici della domenica sono persone qualificate dal punto di vista culturale e sociale».
E perché si dice che il vincitore è scelto dagli editori, fino a qualche tempo fa secondo logiche da manuale Cencelli?
«Non è scelto dagli editori. Gli editori fanno propaganda per i propri autori. È legittimo. È una questione di buonsenso. Non si può fare un concorso sui libri ignorando l’esistenza degli editori».
Ma come mai Raffaello Avanzini, editore di Newton Compton, quest’anno ha indovinato la cinquina con mesi d’anticipo?
«È una facile previsione per chi è nell’ambiente e segue le cose. Newton Compton è un ottimo editore, ma non ha mai avuto particolari velleità letterarie. Altri piccoli editori hanno gareggiato con successo grazie al loro catalogo di pregio».
Ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere della Sera che lo Strega è espressione dell’establishment culturale che guarda a sinistra. Vero o falso?
«Vero. In Italia l’establishment culturale, per reazione al Ventennio, è sempre stato legato alla sinistra. La politica italiana, a parte il Partito comunista italiano, non si è curata della cultura e della società civile».
«Il Giornale» dell'8 luglio 2010
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