Un volume ricco di documenti illustra la contrapposizione fra Papa Ratti e il regime mussoliniano nel fatale anno 1938
di Andrea Tornielli
«Gli ariani esistono allo stesso grado degli Iperborei, dei Lillipuziani e dei Giganti danteschi. Sono, cioè, spiritose invenzioni di poeti e d’altri sapienti fantasiosi: così almeno pensava il loro... inventore». È l’attacco di un articolo pubblicato nel settimanale vaticano L’Osservatore Romano della Domenica il 16 ottobre 1938. Una dissacrante sconfessione delle teorie della razza che il fascismo aveva importato dai nazisti. Sono da rileggere molte delle pagine pubblicate dal giornale della Santa Sede in quel periodo cruciale, quando si verificò lo scontro tra Chiesa e regime, a motivo dell’introduzione in Italia delle vergognose leggi razziali. È questo l’argomento del libro Vaticano, fascismo e questione razziale (Guerini, pagg. 284, euro 23,50), scritto da Valerio De Cesaris, ricercatore di Storia contemporanea all’Università per stranieri Perugia.
Dal volume emerge la complessità della vicenda: da una parte la contrapposizione prolungata tra Mussolini e Pio XI: Papa Ratti, al crepuscolo della sua vita, non voleva cedere su questioni di principio quale l’unità di tutto il genere umano (e per questo aveva incaricato un gesuita americano, padre John La Farge, di preparare una bozza di enciclica contro il razzismo); mentre il duce era sempre più infastidito da quelle che considerava indebite ingerenze della Chiesa. Dalle pagine del volume, che raccoglie molte testimonianze e documenti, si comprende quante furono le reazioni del mondo cattolico italiano alla campagna antisemita. Il Papa, che era arrivato a dire commuovendosi «Noi, spiritualmente, siamo semiti», aveva dichiarato il 6 settembre 1938 che «l’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare... l’antisemitismo è inammissibile», provocando la sdegnata reazione di Mussolini. Si è sempre scritto che questo discorso, tenuto a braccio incontrando un gruppo di pellegrini belgi, sarebbe stato censurato da L’Osservatore Romano su ordine della Segreteria di Stato, allora guidata dal cardinale Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, preoccupato che le parole papali risultassero troppo indigeste al regime. De Cesaris ricostruisce bene, invece, come non vi fu alcuna censura. Il discorso a braccio avvenne infatti nel corso di un’udienza privata e fu lo stesso Papa Ratti a chiedere a uno dei presenti, il prelato Louis Picard, di renderlo noto, come puntualmente avvenne su La libre Belgique.
Il libro ripercorre, con interessanti retroscena e dettagli documentali, le trattative condotte dalla Santa Sede per bloccare le leggi razziali prima della loro promulgazione. Tentativo del tutto vano, dato che Mussolini non accettò modifiche. Rimane ben documentata l’opposizione di Pio XI, che definì il «Manifesto degli scienziati razzisti» come «una forma di vera apostasia».
Dal volume emerge la complessità della vicenda: da una parte la contrapposizione prolungata tra Mussolini e Pio XI: Papa Ratti, al crepuscolo della sua vita, non voleva cedere su questioni di principio quale l’unità di tutto il genere umano (e per questo aveva incaricato un gesuita americano, padre John La Farge, di preparare una bozza di enciclica contro il razzismo); mentre il duce era sempre più infastidito da quelle che considerava indebite ingerenze della Chiesa. Dalle pagine del volume, che raccoglie molte testimonianze e documenti, si comprende quante furono le reazioni del mondo cattolico italiano alla campagna antisemita. Il Papa, che era arrivato a dire commuovendosi «Noi, spiritualmente, siamo semiti», aveva dichiarato il 6 settembre 1938 che «l’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare... l’antisemitismo è inammissibile», provocando la sdegnata reazione di Mussolini. Si è sempre scritto che questo discorso, tenuto a braccio incontrando un gruppo di pellegrini belgi, sarebbe stato censurato da L’Osservatore Romano su ordine della Segreteria di Stato, allora guidata dal cardinale Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII, preoccupato che le parole papali risultassero troppo indigeste al regime. De Cesaris ricostruisce bene, invece, come non vi fu alcuna censura. Il discorso a braccio avvenne infatti nel corso di un’udienza privata e fu lo stesso Papa Ratti a chiedere a uno dei presenti, il prelato Louis Picard, di renderlo noto, come puntualmente avvenne su La libre Belgique.
Il libro ripercorre, con interessanti retroscena e dettagli documentali, le trattative condotte dalla Santa Sede per bloccare le leggi razziali prima della loro promulgazione. Tentativo del tutto vano, dato che Mussolini non accettò modifiche. Rimane ben documentata l’opposizione di Pio XI, che definì il «Manifesto degli scienziati razzisti» come «una forma di vera apostasia».
«Il Giornale» del 4 luglio 2010
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