di Guido Tabellini
Accanto all'emergenza economica e all'urgenza di risanare la finanza pubblica, vi è oggi in Italia una terza gravissima emergenza: la diffusione di illegalità, corruzione, spregio per le leggi e le istituzioni pubbliche. Le vicende ormai quasi quotidiane che affliggono le cronache nazionali sono confermate dai confronti internazionali. Nella classifica sulla corruzione compilata nel 2009 da Transparency International, l'Italia è al 63° posto al mondo e al 27° in Europa, dietro a paesi come Turchia e Cuba, e in progressivo peggioramento nel corso del tempo.
Le tre emergenze sono collegate tra loro e si autoalimentano. La corruzione si accompagnia a sperperi del denaro pubblico verso usi improduttivi. L'abuso di potere da parte di chi ha responsabilità pubbliche alimenta il cinismo e la sfiducia verso le istituzioni, e ciò influisce sui comportamenti dei cittadini. L'illegalità diffusa scoraggia l'afflusso di capitali e, in certe zone del paese, impedisce qualunque forma di investimento che non sia nell'economia sommersa. L'evasione fiscale costringe ad alzare le aliquote su chi non evade, e rende più difficile il risanamento della finanza pubblica. Nel Mezzogiorno questi fenomeni hanno raggiunto livelli abnormi. Ma non è solo il Mezzogiorno. Anche in altre parti del paese, la politica e i rapporti con il settore pubblico sono contaminati dalla piaga della corruzione e del malcostume.
Naturalmente l'Italia non è tutta così. La grande maggioranza dei cittadini lavora, paga le tasse, ha senso civico e rispetto per la legge. Ma la parte sana del paese talvolta pare rassegnata ad accettare come inevitabile la diffusione di corruzione e illegalità, come se fosse un male atavico e inestirpabile del nostro paese, che non toccandoci da vicino non ci riguarda più di tanto.
L'esperienza di altri paesi, tuttavia, insegna che dalla corruzione si può uscire. La storia americana ne è un esempio. Nel 1800 e fino ai primi del '900 gli Stati Uniti erano un paese estremamente corrotto. Studi di storia economica hanno documentato che i governi locali strapagavano per l'acquisto di beni e servizi in cambio di bustarelle, gli scandali economici erano all'ordine del giorno, la criminalità organizzata si era sostanzialmente impadronita di alcune città. Eppure, tra la fine del 1800 e l'inizio del secolo scorso le cose gradualmente e lentamente cambiarono, e gli Stati Uniti ne uscirono trasformati. Ciò avvenne principalmente grazie a due leve. Da un lato, vi fu uno sforzo legislativo e giudiziario a combattere la corruzione con tutti gli strumenti possibili. Dall'altro, la stampa libera e indipendente ebbe un ruolo cruciale nel mobilitare l'opinione pubblica ed alzare il costo politico della corruzione. Tra il 1870 e il 1920 il settore dei giornali subì una profonda trasformazione. Nel 1870 i quotidiani indipendenti dal potere politico e diffusi nelle grandi città erano solo l'11% del totale. Nel 1920 la percentuale era salita al 62 per cento. A giudizio degli storici economici, questa evoluzione del settore dei media, resa possibile da innovazioni tecnologiche e da una maggiore concorrenza tra i giornali, ebbe un ruolo cruciale nella lotta alla corruzione politica.
Il Brasile offre un secondo esempio più recente di cosa si può fare per combattere la corruzione. Nel 2003 il presidente Lula da Silva ha avviato un programma di lotta alla corruzione nei governi locali. In ogni stato del Brasile sono periodicamente sorteggiati alcuni comuni e la loro contabilità è attentamente esaminata. Al programma è stata data una grande pubblicità, e gli esiti delle ispezioni (che spesso hanno trovato irregolarità) sono comunicati in tempi brevi e con grande enfasi sugli organi di informazione. Vari studi recenti hanno confermato che il programma ha dato esiti positivi. I sindaci che hanno commesso irregolarità sono stati puniti alle elezioni e, nota bene, l'effetto politico delle ispezioni è risultato più forte nelle regioni in cui è maggiore la diffusione delle radio locali. Inoltre, l'aspettativa della punizione elettorale ha scoraggiato la corruzione: le irregolarità scoperte nel corso del tempo dalle ispezioni sono meno frequenti nei comuni in cui il sindaco può ancora essere rieletto (in Brasile i sindaci non possono fare più di due mandati consecutivi) e, di nuovo, dove la diffusione dei media locali è più ampia.
Entrambi gli esempi suggeriscono due aspetti centrali di qualunque programma efficace di lotta alla corruzione. Primo, occorre uno sforzo giudiziario e amministrativo per aumentare la probabilità che le infrazioni siano tempestivamente identificate e severamente punite. Secondo, occorre informare e mobilitare l'opinione pubblica attraverso media indipendenti e non schierati politicamente, per alzare il costo politico della corruzione. A questo si aggiunge che le istituzioni politiche, e in particolare la legge elettorale, devono consentire ai cittadini di punire i politici corrotti.
Purtroppo, su ognuno di questi fronti il nostro paese non solo non sta facendo progressi, ma rischia di fare gravi passi indietro. Il disegno di legge sulle intercettazioni e le possibilità concesse a chi ha incarichi di governo di rinviare i procedimenti giudiziari ne sono l'esempio più lampante. Anche la crisi economica in cui versano i quotidiani rischia di ridurre l'indipendenza degli organi di informazione dalla politica, in un paese in cui la televisione non brilla certo per la sua autonomia. Infine, la legge elettorale nazionale approvata alla fine della precedente legislatura non consente ai cittadini di esprimere un voto di preferenza sui singoli candidati ma li obbliga a scegliere tra liste preconfezionate.
Tutto questo non è inevitabile. In una democrazia, qualunque maggioranza politica è guidata, oltre che dalle proprie convinzioni ideologiche, anche dai sentimenti dell'opinione pubblica. Se oggi la lotta alla corruzione non è una priorità di chi ci governa, lo può diventare, se ciò gli è imposto dalla pubblica opinione e dall'atteggiamento dei cittadini. È ora che ciò avvenga. La corruzione e l'illegalità sono ormai un'emergenza nazionale, ancora più rilevante della stagnazione economica e della finanza pubblica.
Le tre emergenze sono collegate tra loro e si autoalimentano. La corruzione si accompagnia a sperperi del denaro pubblico verso usi improduttivi. L'abuso di potere da parte di chi ha responsabilità pubbliche alimenta il cinismo e la sfiducia verso le istituzioni, e ciò influisce sui comportamenti dei cittadini. L'illegalità diffusa scoraggia l'afflusso di capitali e, in certe zone del paese, impedisce qualunque forma di investimento che non sia nell'economia sommersa. L'evasione fiscale costringe ad alzare le aliquote su chi non evade, e rende più difficile il risanamento della finanza pubblica. Nel Mezzogiorno questi fenomeni hanno raggiunto livelli abnormi. Ma non è solo il Mezzogiorno. Anche in altre parti del paese, la politica e i rapporti con il settore pubblico sono contaminati dalla piaga della corruzione e del malcostume.
Naturalmente l'Italia non è tutta così. La grande maggioranza dei cittadini lavora, paga le tasse, ha senso civico e rispetto per la legge. Ma la parte sana del paese talvolta pare rassegnata ad accettare come inevitabile la diffusione di corruzione e illegalità, come se fosse un male atavico e inestirpabile del nostro paese, che non toccandoci da vicino non ci riguarda più di tanto.
L'esperienza di altri paesi, tuttavia, insegna che dalla corruzione si può uscire. La storia americana ne è un esempio. Nel 1800 e fino ai primi del '900 gli Stati Uniti erano un paese estremamente corrotto. Studi di storia economica hanno documentato che i governi locali strapagavano per l'acquisto di beni e servizi in cambio di bustarelle, gli scandali economici erano all'ordine del giorno, la criminalità organizzata si era sostanzialmente impadronita di alcune città. Eppure, tra la fine del 1800 e l'inizio del secolo scorso le cose gradualmente e lentamente cambiarono, e gli Stati Uniti ne uscirono trasformati. Ciò avvenne principalmente grazie a due leve. Da un lato, vi fu uno sforzo legislativo e giudiziario a combattere la corruzione con tutti gli strumenti possibili. Dall'altro, la stampa libera e indipendente ebbe un ruolo cruciale nel mobilitare l'opinione pubblica ed alzare il costo politico della corruzione. Tra il 1870 e il 1920 il settore dei giornali subì una profonda trasformazione. Nel 1870 i quotidiani indipendenti dal potere politico e diffusi nelle grandi città erano solo l'11% del totale. Nel 1920 la percentuale era salita al 62 per cento. A giudizio degli storici economici, questa evoluzione del settore dei media, resa possibile da innovazioni tecnologiche e da una maggiore concorrenza tra i giornali, ebbe un ruolo cruciale nella lotta alla corruzione politica.
Il Brasile offre un secondo esempio più recente di cosa si può fare per combattere la corruzione. Nel 2003 il presidente Lula da Silva ha avviato un programma di lotta alla corruzione nei governi locali. In ogni stato del Brasile sono periodicamente sorteggiati alcuni comuni e la loro contabilità è attentamente esaminata. Al programma è stata data una grande pubblicità, e gli esiti delle ispezioni (che spesso hanno trovato irregolarità) sono comunicati in tempi brevi e con grande enfasi sugli organi di informazione. Vari studi recenti hanno confermato che il programma ha dato esiti positivi. I sindaci che hanno commesso irregolarità sono stati puniti alle elezioni e, nota bene, l'effetto politico delle ispezioni è risultato più forte nelle regioni in cui è maggiore la diffusione delle radio locali. Inoltre, l'aspettativa della punizione elettorale ha scoraggiato la corruzione: le irregolarità scoperte nel corso del tempo dalle ispezioni sono meno frequenti nei comuni in cui il sindaco può ancora essere rieletto (in Brasile i sindaci non possono fare più di due mandati consecutivi) e, di nuovo, dove la diffusione dei media locali è più ampia.
Entrambi gli esempi suggeriscono due aspetti centrali di qualunque programma efficace di lotta alla corruzione. Primo, occorre uno sforzo giudiziario e amministrativo per aumentare la probabilità che le infrazioni siano tempestivamente identificate e severamente punite. Secondo, occorre informare e mobilitare l'opinione pubblica attraverso media indipendenti e non schierati politicamente, per alzare il costo politico della corruzione. A questo si aggiunge che le istituzioni politiche, e in particolare la legge elettorale, devono consentire ai cittadini di punire i politici corrotti.
Purtroppo, su ognuno di questi fronti il nostro paese non solo non sta facendo progressi, ma rischia di fare gravi passi indietro. Il disegno di legge sulle intercettazioni e le possibilità concesse a chi ha incarichi di governo di rinviare i procedimenti giudiziari ne sono l'esempio più lampante. Anche la crisi economica in cui versano i quotidiani rischia di ridurre l'indipendenza degli organi di informazione dalla politica, in un paese in cui la televisione non brilla certo per la sua autonomia. Infine, la legge elettorale nazionale approvata alla fine della precedente legislatura non consente ai cittadini di esprimere un voto di preferenza sui singoli candidati ma li obbliga a scegliere tra liste preconfezionate.
Tutto questo non è inevitabile. In una democrazia, qualunque maggioranza politica è guidata, oltre che dalle proprie convinzioni ideologiche, anche dai sentimenti dell'opinione pubblica. Se oggi la lotta alla corruzione non è una priorità di chi ci governa, lo può diventare, se ciò gli è imposto dalla pubblica opinione e dall'atteggiamento dei cittadini. È ora che ciò avvenga. La corruzione e l'illegalità sono ormai un'emergenza nazionale, ancora più rilevante della stagnazione economica e della finanza pubblica.
«Il Sole 24 Ore» del 4 luglio 2010
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