di Gianfranco Fabi
C'è un paradosso che accomuna il mercato e la democrazia: il fatto che l'individuo, elettore o consumatore, non sembra in apparenza avere alcuna possibilità di modificare le scelte politiche o economiche. Il singolo voto, così come la singola decisione di acquisto, non appaiono in grado di modificare la vittoria o la sconfitta di un partito politico o il successo commerciale di un prodotto. Eppure ogni voto è nello stesso tempo essenziale perché è solamente dalla somma di tanti singoli voti che le scelte elettorali acquistano la dimensione di legittimità nell'ottica pur complessa della democrazia.
E così nel mercato è solo l'insieme di tante decisioni d'acquisto che può decretare il successo o il fallimento di un'impresa.
L'individuo non si può annullare nella massa perché è solo riconoscendo a ogni persona una precisa partecipazione che la democrazia e il mercato possono essere reali e dare i propri frutti di libertà e di crescita.
La scienza politica, spesso collegata con la filosofia, ha indagato per secoli sui difficili equilibri tra rappresentanza ed efficacia di governo, tra scelte popolari condivise e necessità di una élite politica. In un percorso che non si può concludere mai perché coinvolge gli individui non nella loro entità astratta, ma nella dimensione concreta di una partecipazione politica che si evolve, di una educazione sempre più convinta, di una responsabilità crescente proprio legata al principio di fondo dell'interdipendenza di ogni azione umana. Perché, come sottolineava Karl Popper, ogni individuo viene prima dello stato, uno stato che, almeno nella visione della società aperta, potrà intervenire sulle strutture, sulla scuola, sulla giustizia, sull'assistenza, ma non potrà mai intervenire sull'individuo: perché la libertà viene prima della giustizia sociale.
Ecco allora l'utilità di un richiamo che percorre costantemente la storia del pensiero liberale: la libertà si può coniugare ed esprimere solo all'interno di una gerarchia di valori che alimentano il principio di responsabilità. Come afferma padre Gianpaolo Salvini nell'introduzione al libro L'era della consapevolezza, «ci si sente impotenti di fronte a un mondo tanto complesso, ma per questo occorre ripartire da principi comunemente accettati come la responsabilità sociale indiretta». Una strada di giustizia che riporta l'individuo al centro della società, non per caricarlo di doveri che non sono suoi, ma per dare valore a ogni scelta e quindi sollecitare condivisione e attenzione.
Nel libro (frutto di un lavoro di gruppo di esperti, giornalisti e religiosi) la responsabilità sociale indiretta è un po' enfaticamente definita «un nuovo principio per cambiare il mondo», un obiettivo indubbiamente ambizioso, ma che comunque si colloca in una dinamica del pensiero economico e politico che guarda con positività alle scelte personali e che non demonizza la realtà del mercato (come invece spesso fanno le ideologie che si autodefiniscono progressiste). Lo stesso mercato diventa anzi lo strumento più utile per trasformare anche in un progressivo cammino di giustizia le scelte economiche. Valorizzando ogni individuo come protagonista: capace quindi di scelte che comprendano anche le logiche della gratuità, del dono, della partecipazione.
E così nel mercato è solo l'insieme di tante decisioni d'acquisto che può decretare il successo o il fallimento di un'impresa.
L'individuo non si può annullare nella massa perché è solo riconoscendo a ogni persona una precisa partecipazione che la democrazia e il mercato possono essere reali e dare i propri frutti di libertà e di crescita.
La scienza politica, spesso collegata con la filosofia, ha indagato per secoli sui difficili equilibri tra rappresentanza ed efficacia di governo, tra scelte popolari condivise e necessità di una élite politica. In un percorso che non si può concludere mai perché coinvolge gli individui non nella loro entità astratta, ma nella dimensione concreta di una partecipazione politica che si evolve, di una educazione sempre più convinta, di una responsabilità crescente proprio legata al principio di fondo dell'interdipendenza di ogni azione umana. Perché, come sottolineava Karl Popper, ogni individuo viene prima dello stato, uno stato che, almeno nella visione della società aperta, potrà intervenire sulle strutture, sulla scuola, sulla giustizia, sull'assistenza, ma non potrà mai intervenire sull'individuo: perché la libertà viene prima della giustizia sociale.
Ecco allora l'utilità di un richiamo che percorre costantemente la storia del pensiero liberale: la libertà si può coniugare ed esprimere solo all'interno di una gerarchia di valori che alimentano il principio di responsabilità. Come afferma padre Gianpaolo Salvini nell'introduzione al libro L'era della consapevolezza, «ci si sente impotenti di fronte a un mondo tanto complesso, ma per questo occorre ripartire da principi comunemente accettati come la responsabilità sociale indiretta». Una strada di giustizia che riporta l'individuo al centro della società, non per caricarlo di doveri che non sono suoi, ma per dare valore a ogni scelta e quindi sollecitare condivisione e attenzione.
Nel libro (frutto di un lavoro di gruppo di esperti, giornalisti e religiosi) la responsabilità sociale indiretta è un po' enfaticamente definita «un nuovo principio per cambiare il mondo», un obiettivo indubbiamente ambizioso, ma che comunque si colloca in una dinamica del pensiero economico e politico che guarda con positività alle scelte personali e che non demonizza la realtà del mercato (come invece spesso fanno le ideologie che si autodefiniscono progressiste). Lo stesso mercato diventa anzi lo strumento più utile per trasformare anche in un progressivo cammino di giustizia le scelte economiche. Valorizzando ogni individuo come protagonista: capace quindi di scelte che comprendano anche le logiche della gratuità, del dono, della partecipazione.
«Il Sole 24 Ore» dell'8 luglio 2010
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