La chiesa belga oggi affronta non solamente l’odio di moralisti improvvisati, poco probabili e molto interessati, ma anche la sua profonda crisi, le sue immense colpe
di Francesco Agnoli
Di fronte ai fatti del Belgio, sorge spontanea almeno una domanda. Perché un magistrato sequestra un’intera conferenza episcopale e fa crivellare le tombe di due cardinali morti e sepolti da tempo? Cerca delle prove, combatte veramente la pedofilia, o vuole altro? La domanda non può essere elusa, a meno di non apparire di una ingenuità sovraumana. Perché chi cerca prove, lo fa con intelligenza, discrezione, e, soprattutto, dove pensa sia possibile trovarle. Il magistrato belga riteneva davvero di entrare in possesso di documenti importanti profanando delle tombe? Se ci credessimo, dovremmo anche prestare fede alla mille barzellette francesi sull’intelligenza dei belgi! Più facile immaginare che la messinscena sia stata ritenuta la più adatta a creare un’immenso rumore mediatico. Come ovviamente è avvenuto.
Se dunque l’interesse era fare un gesto eclatante, affinché esplodesse la polemica, se ne desume che dietro l’ “Operazione Chiesa” (nome di per sé già indicativo) non manchi una buona dose di ideologia, e un fine non dichiarato: mettere di nuovo la Chiesa, tutta, anche i suoi morti, sul banco degli imputati, per farne la colpevole per eccellenza; per farne il luogo per antonomasia della pedofilia. E’ quello che vari poteri stanno da tempo cercando di fare. Eppure le cose sono un po’ più complesse, o, se si mettono da parte i pregiudizi, più semplici.
La questione della pedofilia, in Belgio come nel resto dell’Occidente, è una questione che interessa tutta la società in generale, e, in essa, purtroppo, anche uomini di Chiesa. In quanto uomini, non in quanto cattolici e neppure in quanto, almeno in teoria, celibi.
Basterebbe dare una occhiata a precedenti illustri per capirlo.
Alla fine degli anni Novanta scoppia in Belgio l’affare Marc Dutroux, prima condannato per abusi su minori, insieme alla moglie, poi stranamente rilasciato. Nella sua casa-prigione di Marcinelle vengono trovate due bambine, rinchiuse in una cisterna, ancora vive. Le vittime del mostro, uccise, risultano essere almeno altre quattro! Dutruoux non è un prete cattolico, come ormai si potrebbe pensare. E dietro di lui sembrano muoversi altri personaggi, molto altolocati. Le indagini lambiscono funzionari di polizia, politici e persino il re Alberto: ma tutto, guarda caso, si ferma. Nessuno crivella tombe, nessuno ordina irruzioni nella casa reale. Anche il Parlamento rimane inviolato. Molta cautela, insomma, e il minor rumore possibile…
Se qualche scandalo bisogna montarlo, si preferisce farlo con la vecchia regina vedova, molto cattolica, Fabiola. Viene accusata di ricevere troppi soldi dallo Stato e lei, la moglie del re Baldovino che aveva rifiutato di firmare la legge sull’aborto, dimostra come li spende: per creare una struttura per bambini malati e per i loro genitori!
Tornando alla questione pedofilia, il Belgio viene sconvolto nel 2004 da un nuovo orrore: la guardia forestale Miche Fourniret confessa l’omicidio e lo stupro di almeno sei bambine! Ci sono poi le perversioni pedofilo-omicide di un benzinaio di Ixelles, Patrick Derochette, e nel 2006 due bambine, Stacy e Nathalie, vengono assassinate e trovate in un tombino. Due le piste principali. La prima porta ad un cittadino belga che aveva già violentato la piccola nipotina di sei anni, e poi, presto liberato, aveva abusato di una ragazza di 14 anni, dopo averla tramortita con una pietra.
L’altra pista conduce alla “famiglia allargata” delle due bambine. Qualcosa che accade sempre più spesso. Perché tra le cose che non si vogliono dire, vi è anche questa: che una delle principali cause dell’aumento della pedofilia è da una parte la cosiddetta rivoluzione sessuale che dagli anni Sessanta in poi intristisce la vita di milioni di persone, che si ritengono “libere”; dall’altra la disgregazione della famiglia, che ha portato ad un enorme aumento dell’incesto padre, o patrigno, figlio/a o figliastro/a e a situazioni “confuse” in cui i bambini sono le prime vittime, in ogni senso.
Rimangono a mio parere due riflessioni da fare.
La prima: la tempesta mediatica che si sta abbattendo su uomini di Chiesa, non ha dunque altro obiettivo, molto spesso, che la Chiesa stessa come istituzione. Si vuol far passare l’idea che le colpe dei singoli siano colpe collettive. Che, mentre dietro un professore di ginnastica o un padre che abusa, non vi è ovviamente né la ginnastica né la paternità, dietro la violenza di un religioso vi sia la sua fede. Così la realtà è che la pedofilia in quanto abominevole crimine, in quanto malattia dello spirito da comprendere e prevenire, oltre che da punire, non sembra interessare quasi a nessuno. Come non interessava prima che la Chiesa ne venisse coinvolta, benché l’allarme degli esperti continuasse a crescere.
Questa triste verità è dimostrata da troppi discorsi a latere del dibattito, che si possono leggere o ascoltare sui media, soprattutto di sinistra. A tenere banco infatti sono affermazioni, più o meno esplicite, di tal genere: visto che uomini di Chiesa si sono macchiati di tali delitti, la Chiesa deve smettere di “mettersi su un piedistallo”, deve piantarla di “sentirsi la guardiana della morale”, deve, insomma, abbandonare la sua teologia e antropologia, perché il male di alcuni suoi membri ne mina alla radice qualsiasi affermazione. Questo discorso trova declinazioni ancora più rozze, sebbene meno ipocrite. In più occasioni, infatti, persino alla radio, ho sentito dire: “Ecco perché la Chiesa è contro l’aborto, perché i preti hanno così dei bambini da violentare!”. Lo ha scritto anche un assessore di un grosso paese, in Emilia, sul suo blog.
Si innesca così un meccanismo perverso: la colpa, il peccato, il crimine di qualcuno non sconvolge gli animi, non desta un sano desiderio di bene o di giustizia, di pentimento e di rinascita, ma diventa l’alibi per poter affermare l’ultimo dogma valido in una società nichilista: nessuno ha la Verità; è il Bene stesso che non esiste; nessuno può dire, a me, cosa è bene e cosa è male!
Il risultato, chiaramente, è disastroso: la pedofilia, in aumento in famiglia, nella società, persino nel clero, non è l’occasione per un esame di coscienza, per capire meglio l’origine del male, ma diviene, al contrario, la scusa per un’ auto-assoluzione di massa.
La cultura nichilista imperante, quella dell’aborto come ruotine, del figlio selezionato come diritto, del divorzio breve e banale, della sessualità sempre più precoce…, una volta identificato il nemico nell’unica voce fuori dal coro che faticosamente resiste e richiama, sebbene a ranghi sempre più ridotti, ne approfitta per metterla a tacere, cosicché la melodia vincente rimanga solamente quella, auto-consolante, del relativismo assoluto.
Se infatti la Chiesa cantasse col coro, tutta intera; se, come quella anglicana, cedesse alla modernità, su tutto, chi avrebbe interesse più ad attaccarla? Non è forse vero che degli analoghi scandali sulla pedofilia accaduti proprio tra il clero, non celibatario, anglicano, non si occupa nessun giornale e nessuna tv?
La seconda riflessione è questa: la Chiesa belga (come quella americana o tedesca), oggi affronta non solamente l’odio di moralisti improvvisati, poco probabili e molto interessati, ma anche la sua profonda crisi, le sue immense colpe. Si tratta di una Chiesa iper-progressista, guidata per anni da figure come il cardinal Suenens e il cardinal Danneels che hanno contribuito alla dissoluzione della società belga attraverso l’idea che abbandonare la fede di sempre fosse ormai, di fronte all’incalzare dei tempi, inevitabile ed anzi produttivo. Suenens era il cardinale che si schierò per eliminare la messa prima delle riunioni conciliari: basterebbe questo per comprendere come a costui l’ideale sacerdotale fosse ormai estraneo nel suo vero significato. Il risultato è stato un calo costante nel numero dei sacerdoti e dei fedeli, e purtroppo anche nella loro qualità. Prodotto attraverso la ribellione costante, anche nel campo della morale, al magistero petrino: ricordo, per brevità, i gesuiti che nel post concilio hanno collaborato con le associazioni per la pianificazione familiare; la dura opposizione di buona parte dell’episcopato belga, olandese, americano e tedesco, all’Humanae vitae; la lotta portata avanti su riviste e rivistine cattoliche, in Belgio come in Germania o in Olanda, in nome del rinnovamento, per sdoganare l’autoerotismo, la separazione tra sessualità e procreazione, talora persino divorzio ed aborto …
So di dire qualcosa che suona ormai strano al sentire comune, eppure la crescita del fenomeno pedofilia mi pare legata proprio a tutto ciò: quando la sessualità diventa pura genitalità; quando il rispetto assoluto per la vita del figlio si perde; quando i rapporti affettivi diventano sempre più laschi, e sempre meno solidi; quando il sesso, anche da soli, diventa legittimo, perché ha perso qualsiasi fine più nobile, l’uomo è inevitabilmente preda più facile della sua innata bestialità, di un istinto sessuale che invece che collegato alla vita, diviene foriero di violenza e di morte.
La condizione dei bambini è sempre lo specchio migliore per comprendere una società: ed oggi più che mai, nel mondo senza Cristo, i bambini sono vittima dell’egoismo dei loro genitori, dei loro numerosissimi divorzi, dell’aborto, di una sessualità precoce di cui sono protagonisti e vittime ad un tempo, di abusi sessuali e quant’altro. Se solo, veramente impressionati dall’enorme tragedia della pedofilia, pensassimo a questo, invece che a regolare, “facilmente”, conti ideologici!
Ma, come dicevo, sembra che questo non avvenga, almeno a livello generale. Quanto alla Chiesa, invece, è dalle crisi, dal riconoscimento di esse e della propria infedeltà, oggi non più procrastinabile (quanto sembrano lontani i discorsi, solo di alcuni anni fa, sugli splendori del post Concilio!), che nascono le Controriforme: mentre il mondo si attorciglia sulle sue miserie, e gioisce di essere in buona compagnia (mal comune mezzo gaudio), la santità della Chiesa riemerge piano piano. Una santità che non consiste certo nel fatto che i suoi membri siano tutti santi, ma nel fatto che la Chiesa è e rimarrà sempre il luogo in cui la santità è possibile. Non foss’altro per il fatto che al Bene, ormai, nessuno più crede, se non qualche strano personaggio che, come Benedetto XVI, non dispera neppure di fronte ad una Male che sembra dilagante e ormai vittorioso. E mentre chiede perdono, da una parte, dall’altra non rinuncia ad annunciare Cristo, unica salvezza, ai carnefici, alle vittime, ai sepolcri imbiancati, a tutti...
Se dunque l’interesse era fare un gesto eclatante, affinché esplodesse la polemica, se ne desume che dietro l’ “Operazione Chiesa” (nome di per sé già indicativo) non manchi una buona dose di ideologia, e un fine non dichiarato: mettere di nuovo la Chiesa, tutta, anche i suoi morti, sul banco degli imputati, per farne la colpevole per eccellenza; per farne il luogo per antonomasia della pedofilia. E’ quello che vari poteri stanno da tempo cercando di fare. Eppure le cose sono un po’ più complesse, o, se si mettono da parte i pregiudizi, più semplici.
La questione della pedofilia, in Belgio come nel resto dell’Occidente, è una questione che interessa tutta la società in generale, e, in essa, purtroppo, anche uomini di Chiesa. In quanto uomini, non in quanto cattolici e neppure in quanto, almeno in teoria, celibi.
Basterebbe dare una occhiata a precedenti illustri per capirlo.
Alla fine degli anni Novanta scoppia in Belgio l’affare Marc Dutroux, prima condannato per abusi su minori, insieme alla moglie, poi stranamente rilasciato. Nella sua casa-prigione di Marcinelle vengono trovate due bambine, rinchiuse in una cisterna, ancora vive. Le vittime del mostro, uccise, risultano essere almeno altre quattro! Dutruoux non è un prete cattolico, come ormai si potrebbe pensare. E dietro di lui sembrano muoversi altri personaggi, molto altolocati. Le indagini lambiscono funzionari di polizia, politici e persino il re Alberto: ma tutto, guarda caso, si ferma. Nessuno crivella tombe, nessuno ordina irruzioni nella casa reale. Anche il Parlamento rimane inviolato. Molta cautela, insomma, e il minor rumore possibile…
Se qualche scandalo bisogna montarlo, si preferisce farlo con la vecchia regina vedova, molto cattolica, Fabiola. Viene accusata di ricevere troppi soldi dallo Stato e lei, la moglie del re Baldovino che aveva rifiutato di firmare la legge sull’aborto, dimostra come li spende: per creare una struttura per bambini malati e per i loro genitori!
Tornando alla questione pedofilia, il Belgio viene sconvolto nel 2004 da un nuovo orrore: la guardia forestale Miche Fourniret confessa l’omicidio e lo stupro di almeno sei bambine! Ci sono poi le perversioni pedofilo-omicide di un benzinaio di Ixelles, Patrick Derochette, e nel 2006 due bambine, Stacy e Nathalie, vengono assassinate e trovate in un tombino. Due le piste principali. La prima porta ad un cittadino belga che aveva già violentato la piccola nipotina di sei anni, e poi, presto liberato, aveva abusato di una ragazza di 14 anni, dopo averla tramortita con una pietra.
L’altra pista conduce alla “famiglia allargata” delle due bambine. Qualcosa che accade sempre più spesso. Perché tra le cose che non si vogliono dire, vi è anche questa: che una delle principali cause dell’aumento della pedofilia è da una parte la cosiddetta rivoluzione sessuale che dagli anni Sessanta in poi intristisce la vita di milioni di persone, che si ritengono “libere”; dall’altra la disgregazione della famiglia, che ha portato ad un enorme aumento dell’incesto padre, o patrigno, figlio/a o figliastro/a e a situazioni “confuse” in cui i bambini sono le prime vittime, in ogni senso.
Rimangono a mio parere due riflessioni da fare.
La prima: la tempesta mediatica che si sta abbattendo su uomini di Chiesa, non ha dunque altro obiettivo, molto spesso, che la Chiesa stessa come istituzione. Si vuol far passare l’idea che le colpe dei singoli siano colpe collettive. Che, mentre dietro un professore di ginnastica o un padre che abusa, non vi è ovviamente né la ginnastica né la paternità, dietro la violenza di un religioso vi sia la sua fede. Così la realtà è che la pedofilia in quanto abominevole crimine, in quanto malattia dello spirito da comprendere e prevenire, oltre che da punire, non sembra interessare quasi a nessuno. Come non interessava prima che la Chiesa ne venisse coinvolta, benché l’allarme degli esperti continuasse a crescere.
Questa triste verità è dimostrata da troppi discorsi a latere del dibattito, che si possono leggere o ascoltare sui media, soprattutto di sinistra. A tenere banco infatti sono affermazioni, più o meno esplicite, di tal genere: visto che uomini di Chiesa si sono macchiati di tali delitti, la Chiesa deve smettere di “mettersi su un piedistallo”, deve piantarla di “sentirsi la guardiana della morale”, deve, insomma, abbandonare la sua teologia e antropologia, perché il male di alcuni suoi membri ne mina alla radice qualsiasi affermazione. Questo discorso trova declinazioni ancora più rozze, sebbene meno ipocrite. In più occasioni, infatti, persino alla radio, ho sentito dire: “Ecco perché la Chiesa è contro l’aborto, perché i preti hanno così dei bambini da violentare!”. Lo ha scritto anche un assessore di un grosso paese, in Emilia, sul suo blog.
Si innesca così un meccanismo perverso: la colpa, il peccato, il crimine di qualcuno non sconvolge gli animi, non desta un sano desiderio di bene o di giustizia, di pentimento e di rinascita, ma diventa l’alibi per poter affermare l’ultimo dogma valido in una società nichilista: nessuno ha la Verità; è il Bene stesso che non esiste; nessuno può dire, a me, cosa è bene e cosa è male!
Il risultato, chiaramente, è disastroso: la pedofilia, in aumento in famiglia, nella società, persino nel clero, non è l’occasione per un esame di coscienza, per capire meglio l’origine del male, ma diviene, al contrario, la scusa per un’ auto-assoluzione di massa.
La cultura nichilista imperante, quella dell’aborto come ruotine, del figlio selezionato come diritto, del divorzio breve e banale, della sessualità sempre più precoce…, una volta identificato il nemico nell’unica voce fuori dal coro che faticosamente resiste e richiama, sebbene a ranghi sempre più ridotti, ne approfitta per metterla a tacere, cosicché la melodia vincente rimanga solamente quella, auto-consolante, del relativismo assoluto.
Se infatti la Chiesa cantasse col coro, tutta intera; se, come quella anglicana, cedesse alla modernità, su tutto, chi avrebbe interesse più ad attaccarla? Non è forse vero che degli analoghi scandali sulla pedofilia accaduti proprio tra il clero, non celibatario, anglicano, non si occupa nessun giornale e nessuna tv?
La seconda riflessione è questa: la Chiesa belga (come quella americana o tedesca), oggi affronta non solamente l’odio di moralisti improvvisati, poco probabili e molto interessati, ma anche la sua profonda crisi, le sue immense colpe. Si tratta di una Chiesa iper-progressista, guidata per anni da figure come il cardinal Suenens e il cardinal Danneels che hanno contribuito alla dissoluzione della società belga attraverso l’idea che abbandonare la fede di sempre fosse ormai, di fronte all’incalzare dei tempi, inevitabile ed anzi produttivo. Suenens era il cardinale che si schierò per eliminare la messa prima delle riunioni conciliari: basterebbe questo per comprendere come a costui l’ideale sacerdotale fosse ormai estraneo nel suo vero significato. Il risultato è stato un calo costante nel numero dei sacerdoti e dei fedeli, e purtroppo anche nella loro qualità. Prodotto attraverso la ribellione costante, anche nel campo della morale, al magistero petrino: ricordo, per brevità, i gesuiti che nel post concilio hanno collaborato con le associazioni per la pianificazione familiare; la dura opposizione di buona parte dell’episcopato belga, olandese, americano e tedesco, all’Humanae vitae; la lotta portata avanti su riviste e rivistine cattoliche, in Belgio come in Germania o in Olanda, in nome del rinnovamento, per sdoganare l’autoerotismo, la separazione tra sessualità e procreazione, talora persino divorzio ed aborto …
So di dire qualcosa che suona ormai strano al sentire comune, eppure la crescita del fenomeno pedofilia mi pare legata proprio a tutto ciò: quando la sessualità diventa pura genitalità; quando il rispetto assoluto per la vita del figlio si perde; quando i rapporti affettivi diventano sempre più laschi, e sempre meno solidi; quando il sesso, anche da soli, diventa legittimo, perché ha perso qualsiasi fine più nobile, l’uomo è inevitabilmente preda più facile della sua innata bestialità, di un istinto sessuale che invece che collegato alla vita, diviene foriero di violenza e di morte.
La condizione dei bambini è sempre lo specchio migliore per comprendere una società: ed oggi più che mai, nel mondo senza Cristo, i bambini sono vittima dell’egoismo dei loro genitori, dei loro numerosissimi divorzi, dell’aborto, di una sessualità precoce di cui sono protagonisti e vittime ad un tempo, di abusi sessuali e quant’altro. Se solo, veramente impressionati dall’enorme tragedia della pedofilia, pensassimo a questo, invece che a regolare, “facilmente”, conti ideologici!
Ma, come dicevo, sembra che questo non avvenga, almeno a livello generale. Quanto alla Chiesa, invece, è dalle crisi, dal riconoscimento di esse e della propria infedeltà, oggi non più procrastinabile (quanto sembrano lontani i discorsi, solo di alcuni anni fa, sugli splendori del post Concilio!), che nascono le Controriforme: mentre il mondo si attorciglia sulle sue miserie, e gioisce di essere in buona compagnia (mal comune mezzo gaudio), la santità della Chiesa riemerge piano piano. Una santità che non consiste certo nel fatto che i suoi membri siano tutti santi, ma nel fatto che la Chiesa è e rimarrà sempre il luogo in cui la santità è possibile. Non foss’altro per il fatto che al Bene, ormai, nessuno più crede, se non qualche strano personaggio che, come Benedetto XVI, non dispera neppure di fronte ad una Male che sembra dilagante e ormai vittorioso. E mentre chiede perdono, da una parte, dall’altra non rinuncia ad annunciare Cristo, unica salvezza, ai carnefici, alle vittime, ai sepolcri imbiancati, a tutti...
«Il Foglio» del 7 luglio 2010
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