Incredibile: c’è ancora chi accusa le emittenti private (cioè Berlusconi) di aver plagiato gli italiani. Signorini e Ricci simboli del male. C’è anche una proposta: creare un contro-palinsesto illuminato. Abbiamo provato a immaginarlo
di Luigi Mascheroni
Che l’Einaudi non sia più quella di una volta si vede anche dalle piccole cose. Ad esempio, i refusi. Ma anche dal fatto che un tempo, quando i vertici di via Biancamano si davano appuntamento a Rhêmes per la programmazione estiva del catalogo, dall’Einaudi uscivano i saggi di sociologia di Erving Goffman. Oggi, che invece si incrociano nei corridoi di Che tempo che fa, il massimo che riescono a pubblicare sono pamphlettini come L’egemonia sottoculturale di Massimiliano Panarari. Collana di saggistica Trash.
L’autore è consulente di comunicazione pubblica, docente di Analisi del linguaggio politico e eminente firma di Repubblica. Noi siamo solo giornalisti e scribacchiamo per un foglio notoriamente berlusconiano e ur-fascista, il Giornale. Quindi siamo molto prevenuti. Ma non del tutto sprovveduti.
Quindici anni fa, quando studiavamo al master post-laurea in Comunicazioni sociali dell’Università Cattolica a Milano (e dopo aver passato i nostri vent’anni a guardare Drive In), ci sembrava già di essere terribilmente in ritardo leggendo Gli effetti sociali dei media di Mauro Wolf, o ascoltando le lezioni di Gianfranco Bettetini sulle nuove tecnologie della comunicazione, o seguendo i seminari sulla neo-televisione di Francesco Casetti. Ritrovarsi in mano oggi, per dovere professionale, il libretto di Panarari che vuole spiegarci come Berlusconi sia riuscito con le sue televisioni a distrarre gli italiani mentre lui si impossessava del potere, beh, è quanto meno avvilente. Siamo alla paleo-sociologia dei luoghi comuni.
Le pagine di cultura dei quotidiani ne stanno parlando da qualche giorno, ma vale la pena riassumere ad uso del lettore i termini della questione. In sostanza Panarari in un centinaio di paginette ci ripete, un ventennio fuori tempo massimo, che la vecchia egemonia culturale della Sinistra è stata velocemente e pesantemente sostituita da una «egemonia sottoculturale» (passando «Da Gramsci al gossip», come recita il sottotitolo del libro) che ha precipitato il Paese in un baratro di ignoranza, volgarità, analfabetismo di ritorno dove impera il cafonal-style, vige la legge del voyeurismo e domina l’ideologia del vippismo. E tutto questo a causa di Berlusconi (nominato raramente in realtà, preferendo definirlo «il Manovratore»), il quale per non essere disturbato, fin dai lontani e mai abbastanza vituperati anni Ottanta (il decennio infernale del Novecento) ha drive-inizzato l’Italia, plasmando una massa sempre più consistente di spettatori-elettori attraverso i programmi dei suoi network e i suoi mefistofelici spin doctor. Tra i primi: oltre alla trasmissione-madre di tutte le battaglie sottoculturali, ossia Drive In, la lolitesca Non è la Rai, prototipo di tutti gli show che premiano la mancanza di talento, Uomini e donne, tutti i reality show a partire dal Grande fratello, e poi Le iene, Striscia la notizia, i talk show «sessuopolitici» come Porta a Porta (non come L’infedele, che invece è «lodevole») e soprattutto - il più pericoloso di tutti - Amici. Tra i secondi, ossia i maestri del non-pensiero, Simona Ventura (la Grande Sacerdotessa dell’irrealtà), Bruno Vespa (il Gran Ciambellano della info-motion, l’informazione emotiva), Maria De Filippi (Arbitra elegantiarum del coattume neo-italico), il potentissimo Alfonso Signorini (Predicatore unico del Verbo nazional-gossipparo, Vangelo dell’egemonia sotto-culturale postmoderna) e soprattutto - il più pericoloso di tutti - Antonio Ricci il quale, cresciuto alla scuola comunista-situazionista e poi travestitosi da Gabibbo, è oggi il peggiore degli anti-intellettuali berlusconiani, il braccio armato della dottrina ultra-liberale, mega-egoistica, maxi-spettacolare del Gran Manovratore.
Emittenze grigie di un regime egemonico in grado di controllare le coscienze delle classi inferiori, narcotizzate da un micidiale mix di tette&culi&Tg4, attraverso il condizionamento delle credenze e della visione del mondo delle masse, Signorini&soci - mette in guardia Panarari - hanno ricostruito a uso e consumo di Berlusconi l’immaginario contemporaneo. Per portare a casa (loro) soldi e voti, e lasciare nella Casa (nostra) illusioni e speranze.
Saremo ingenui. Ma, chissà perché, abbiamo la vaga sensazione che per realizzare il controllo delle coscienze di orwelliana memoria serva qualcosina in più di un paio di servizi su Chi, due tronisti, quattro veline e un editoriale di Fede. Ma forse è solo perché lavoriamo al Giornale.
Ma perché - ci chiediamo - ricondurre lo sfascio sociale e culturale del Paese sempre e solo ai «terribili» anni Ottanta, a Berlusconi, alle tv commerciali e alla politica di plastica di Forza Italia? Perché la Sinistra, ex o post che sia, non si interroga mai sui danni micidiali inferti all’Italia dal Sessantotto che ha distrutto la scuola e la famiglia, dagli schifosi anni Settanta, dalla politica del piombo dei «compagni che sbagliano», dallo snobismo radical chic e dalle feste «cafonaligenti» all’Ultima spiaggia di Capalbio?
Ma Panarari è davvero convinto che l’Italia sia conciata così per colpa della neo-lingua inventata dalla tv di Antonio Ricci e non invece - ad esempio - del linguaggio dell’odio «comunicato» da Lotta continua e tanti altri fogli consanguinei?
A proposito di televisione. Panarari, alla fine del libro, dà un consiglio alla Sinistra: non accettare più di esser «usati» dai mezzi di comunicazione di Berlusconi (magari iniziando con lo smettere di pubblicare per Einaudi, aggiungiamo noi) e creare invece delle nuove narrazioni capaci di riconquistare gli spettatori-(e)lettori. Magari, dice lui, con un bel canale tv.
Immaginando il palinstesto, diciamo noi, dubitiamo che lo share superi la percentuale di voti del Pd alle ultime elezioni.
L’autore è consulente di comunicazione pubblica, docente di Analisi del linguaggio politico e eminente firma di Repubblica. Noi siamo solo giornalisti e scribacchiamo per un foglio notoriamente berlusconiano e ur-fascista, il Giornale. Quindi siamo molto prevenuti. Ma non del tutto sprovveduti.
Quindici anni fa, quando studiavamo al master post-laurea in Comunicazioni sociali dell’Università Cattolica a Milano (e dopo aver passato i nostri vent’anni a guardare Drive In), ci sembrava già di essere terribilmente in ritardo leggendo Gli effetti sociali dei media di Mauro Wolf, o ascoltando le lezioni di Gianfranco Bettetini sulle nuove tecnologie della comunicazione, o seguendo i seminari sulla neo-televisione di Francesco Casetti. Ritrovarsi in mano oggi, per dovere professionale, il libretto di Panarari che vuole spiegarci come Berlusconi sia riuscito con le sue televisioni a distrarre gli italiani mentre lui si impossessava del potere, beh, è quanto meno avvilente. Siamo alla paleo-sociologia dei luoghi comuni.
Le pagine di cultura dei quotidiani ne stanno parlando da qualche giorno, ma vale la pena riassumere ad uso del lettore i termini della questione. In sostanza Panarari in un centinaio di paginette ci ripete, un ventennio fuori tempo massimo, che la vecchia egemonia culturale della Sinistra è stata velocemente e pesantemente sostituita da una «egemonia sottoculturale» (passando «Da Gramsci al gossip», come recita il sottotitolo del libro) che ha precipitato il Paese in un baratro di ignoranza, volgarità, analfabetismo di ritorno dove impera il cafonal-style, vige la legge del voyeurismo e domina l’ideologia del vippismo. E tutto questo a causa di Berlusconi (nominato raramente in realtà, preferendo definirlo «il Manovratore»), il quale per non essere disturbato, fin dai lontani e mai abbastanza vituperati anni Ottanta (il decennio infernale del Novecento) ha drive-inizzato l’Italia, plasmando una massa sempre più consistente di spettatori-elettori attraverso i programmi dei suoi network e i suoi mefistofelici spin doctor. Tra i primi: oltre alla trasmissione-madre di tutte le battaglie sottoculturali, ossia Drive In, la lolitesca Non è la Rai, prototipo di tutti gli show che premiano la mancanza di talento, Uomini e donne, tutti i reality show a partire dal Grande fratello, e poi Le iene, Striscia la notizia, i talk show «sessuopolitici» come Porta a Porta (non come L’infedele, che invece è «lodevole») e soprattutto - il più pericoloso di tutti - Amici. Tra i secondi, ossia i maestri del non-pensiero, Simona Ventura (la Grande Sacerdotessa dell’irrealtà), Bruno Vespa (il Gran Ciambellano della info-motion, l’informazione emotiva), Maria De Filippi (Arbitra elegantiarum del coattume neo-italico), il potentissimo Alfonso Signorini (Predicatore unico del Verbo nazional-gossipparo, Vangelo dell’egemonia sotto-culturale postmoderna) e soprattutto - il più pericoloso di tutti - Antonio Ricci il quale, cresciuto alla scuola comunista-situazionista e poi travestitosi da Gabibbo, è oggi il peggiore degli anti-intellettuali berlusconiani, il braccio armato della dottrina ultra-liberale, mega-egoistica, maxi-spettacolare del Gran Manovratore.
Emittenze grigie di un regime egemonico in grado di controllare le coscienze delle classi inferiori, narcotizzate da un micidiale mix di tette&culi&Tg4, attraverso il condizionamento delle credenze e della visione del mondo delle masse, Signorini&soci - mette in guardia Panarari - hanno ricostruito a uso e consumo di Berlusconi l’immaginario contemporaneo. Per portare a casa (loro) soldi e voti, e lasciare nella Casa (nostra) illusioni e speranze.
Saremo ingenui. Ma, chissà perché, abbiamo la vaga sensazione che per realizzare il controllo delle coscienze di orwelliana memoria serva qualcosina in più di un paio di servizi su Chi, due tronisti, quattro veline e un editoriale di Fede. Ma forse è solo perché lavoriamo al Giornale.
Ma perché - ci chiediamo - ricondurre lo sfascio sociale e culturale del Paese sempre e solo ai «terribili» anni Ottanta, a Berlusconi, alle tv commerciali e alla politica di plastica di Forza Italia? Perché la Sinistra, ex o post che sia, non si interroga mai sui danni micidiali inferti all’Italia dal Sessantotto che ha distrutto la scuola e la famiglia, dagli schifosi anni Settanta, dalla politica del piombo dei «compagni che sbagliano», dallo snobismo radical chic e dalle feste «cafonaligenti» all’Ultima spiaggia di Capalbio?
Ma Panarari è davvero convinto che l’Italia sia conciata così per colpa della neo-lingua inventata dalla tv di Antonio Ricci e non invece - ad esempio - del linguaggio dell’odio «comunicato» da Lotta continua e tanti altri fogli consanguinei?
A proposito di televisione. Panarari, alla fine del libro, dà un consiglio alla Sinistra: non accettare più di esser «usati» dai mezzi di comunicazione di Berlusconi (magari iniziando con lo smettere di pubblicare per Einaudi, aggiungiamo noi) e creare invece delle nuove narrazioni capaci di riconquistare gli spettatori-(e)lettori. Magari, dice lui, con un bel canale tv.
Immaginando il palinstesto, diciamo noi, dubitiamo che lo share superi la percentuale di voti del Pd alle ultime elezioni.
«Il Giornale» dell'11 luglio 2010
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