di Paola Binetti *
Caro direttore,
qualche mese fa Avvenire ha ospitato nella rubrica delle lettere al direttore un carteggio tra me e il collega Bachelet. Allora eravamo entrambi nel Pd e si discuteva se e come i cattolici del Pd potessero esprimere in libertà le loro idee e difenderle anche sul piano politico organizzato. Io avevo i miei dubbi, le mie difficoltà, c’erano davvero tante perplessità e tante contraddizioni che non riuscivo ad accettare. La candidatura della Bonino alla guida della Regione Lazio rappresentò la classica goccia che fa traboccare il vaso: impossibile restare in un partito che consegna la sua leadership a chi è l’incarnazione storica del pensiero e della tradizione radicale. Oggi sono nell’Udc, perché ritengo che in questo partito ci siano condizioni migliori per difendere valori e posizioni che esprimono anche attraverso le scelte politiche il senso delle radici cristiane.
Questa premessa direttore per dirle che ho letto con sorpresa la lettera del collega Bachelet sulla vicenda del Crocifisso e mi permetto di esprimere una volta di più, nell’affetto e nel rispetto verso Giovanni Bachelet, il mio dissenso. Non credo che né la Costituzione né il Concilio possano essere usati per chiedere alla Chiesa un passo indietro sulla vicenda del Crocifisso. Il Crocifisso non è un simbolo qualsiasi, è per antonomasia il segno e il simbolo della nostra fede. Lo si trova non solo nella intimità delle nostre case e nelle aule delle nostre scuole, ma anche nei nostri tribunali e nelle chiese e, cosa che non manca di sorprendere tanta gente, la croce è anche sul punto più alto di Montecitorio.
La croce, come tutti i simboli, significa quello che ognuno di noi può e vuole leggere nel gesto di un uomo che ama gli altri fino a dare la vita per loro. Se poi quest’uomo è anche Dio, come tutti i cristiani credono, quella croce ci mostra gesti di misericordia e di perdono che non possono che riempire il nostro cuore di pace e di speranza. Possono questi sentimenti offendere la sensibilità di qualcuno? In una cultura in cui le immagini pubblicitarie ci aggrediscono con cartelloni 6x6 da tanti angoli delle strade con la loro violenza o con la loro sensualità ostentata, ci perseguitano con modelli letteralmente bestiali, come accade con una recente reclame, è davvero possibile che qualcuno chieda ai cristiani di rinunciare ai loro simboli, segregandoli nella intimità dei loro cuori e delle loro case?
Bachelet chiede alla Chiesa di adoperarsi per depotenziare i conflitti rinunciando a diritti legittimi, nel caso in cui presentassero un profilo di problematicità. Io invece vorrei chiedere alla Chiesa di esercitare il suo magistero con sempre maggiore chiarezza per aiutarci a capire meglio il senso e il valore dei nostri simboli. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente ad amarli, per difenderli laicamente, ma in modo appassionato. La problematicità maggiore oggi a mio avviso sta nella tiepidezza della nostra fede, nell’impigrimento della nostra intelligenza, che fatica ad argomentare con chiarezza e fermezza le proprie ragioni, nell’imborghesimento dei nostri comportamenti, che si stancano subito davanti alle difficoltà e rinunciano perché non vogliono entrare in conflitto con la cultura del tempo.
La croce ci parla anche del coraggio di cui abbiamo bisogno per essere cristiani che, giorno per giorno, cercano di amare gli altri senza rinunciare ai propri valori e alle proprie convinzioni. È proprio la croce che ci aiuta a rinunciare a quelle difese che ci spingono ad alzare steccati nei confronti dei diversi da noi. Ecco perché non capisco come si possa chiedere alla Chiesa di fare un passo indietro, mentre a me sembra che dovremmo fare un passo in avanti… Non c’è nulla di cui ci si debba vergognare, nulla di cui ci si debba scusare quando è in gioco la croce. Il mondo, oggi come da duemila anni a questa parte, ha bisogno di contemplare la croce di Cristo per dare un senso alle sue croci quotidiane. E credo che a noi cattolici impegnati in politica si chieda proprio questo tipo di testimonianza sul piano personale e sul piano politico.
Questa premessa direttore per dirle che ho letto con sorpresa la lettera del collega Bachelet sulla vicenda del Crocifisso e mi permetto di esprimere una volta di più, nell’affetto e nel rispetto verso Giovanni Bachelet, il mio dissenso. Non credo che né la Costituzione né il Concilio possano essere usati per chiedere alla Chiesa un passo indietro sulla vicenda del Crocifisso. Il Crocifisso non è un simbolo qualsiasi, è per antonomasia il segno e il simbolo della nostra fede. Lo si trova non solo nella intimità delle nostre case e nelle aule delle nostre scuole, ma anche nei nostri tribunali e nelle chiese e, cosa che non manca di sorprendere tanta gente, la croce è anche sul punto più alto di Montecitorio.
La croce, come tutti i simboli, significa quello che ognuno di noi può e vuole leggere nel gesto di un uomo che ama gli altri fino a dare la vita per loro. Se poi quest’uomo è anche Dio, come tutti i cristiani credono, quella croce ci mostra gesti di misericordia e di perdono che non possono che riempire il nostro cuore di pace e di speranza. Possono questi sentimenti offendere la sensibilità di qualcuno? In una cultura in cui le immagini pubblicitarie ci aggrediscono con cartelloni 6x6 da tanti angoli delle strade con la loro violenza o con la loro sensualità ostentata, ci perseguitano con modelli letteralmente bestiali, come accade con una recente reclame, è davvero possibile che qualcuno chieda ai cristiani di rinunciare ai loro simboli, segregandoli nella intimità dei loro cuori e delle loro case?
Bachelet chiede alla Chiesa di adoperarsi per depotenziare i conflitti rinunciando a diritti legittimi, nel caso in cui presentassero un profilo di problematicità. Io invece vorrei chiedere alla Chiesa di esercitare il suo magistero con sempre maggiore chiarezza per aiutarci a capire meglio il senso e il valore dei nostri simboli. Abbiamo bisogno di imparare nuovamente ad amarli, per difenderli laicamente, ma in modo appassionato. La problematicità maggiore oggi a mio avviso sta nella tiepidezza della nostra fede, nell’impigrimento della nostra intelligenza, che fatica ad argomentare con chiarezza e fermezza le proprie ragioni, nell’imborghesimento dei nostri comportamenti, che si stancano subito davanti alle difficoltà e rinunciano perché non vogliono entrare in conflitto con la cultura del tempo.
La croce ci parla anche del coraggio di cui abbiamo bisogno per essere cristiani che, giorno per giorno, cercano di amare gli altri senza rinunciare ai propri valori e alle proprie convinzioni. È proprio la croce che ci aiuta a rinunciare a quelle difese che ci spingono ad alzare steccati nei confronti dei diversi da noi. Ecco perché non capisco come si possa chiedere alla Chiesa di fare un passo indietro, mentre a me sembra che dovremmo fare un passo in avanti… Non c’è nulla di cui ci si debba vergognare, nulla di cui ci si debba scusare quando è in gioco la croce. Il mondo, oggi come da duemila anni a questa parte, ha bisogno di contemplare la croce di Cristo per dare un senso alle sue croci quotidiane. E credo che a noi cattolici impegnati in politica si chieda proprio questo tipo di testimonianza sul piano personale e sul piano politico.
* deputato dell’UdC
«Avvenire» dell'8 luglio 2010
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