«Non più conoscere e sfruttare la natura, ma il tentativo di costruirla. Ancora ignote le applicazioni e i possibili problemi di biosicurezza»
di Enrico Negrotti
«Siamo di fronte a un nuovo paradigma della biologia, che non si limita a conoscere o a sfruttare la natura, ma che passa alla logica della manipolazione totale per essere padrona di una vita costruita dall’uomo in modo artificiale». Don Roberto Colombo, docente di neurobiologie e genetica all’Università Cattolica e membro del Comitato nazionale per la bioetica, non fatica a riconoscere la singolarità dell’esperimento realizzato dall’équipe di Craig Venter, ma pone alcuni interrogativi sui possibili sviluppi di questa tecnologia: «Da un lato va ricordato che è ancora lunga la strada per produrre cellule più complesse di quella del batterio, dall’altro che i possibili utilizzi di questi nuovi organismi pongono nuovi problemi di biosicurezza».
In che misura la scoperta di Venter è «vita artificiale»?
I batteri sono organismi unicellulari che si formano per divisione di una cellula preesistente: si generano come cloni, non attraverso la riproduzione sessuata propria degli organismi più complessi, che possiedono una maggiore varietà per le combinazioni dei geni dei genitori.
Il gruppo di Venter ha sostituito il genoma originale di una cellula batterica con uno sintetico, costruito assemblando sequenze di cromosomi diversi. E la nuova «macchina» sembra funzionare, nel senso che si è mostrata in grado di dividersi e quindi di riprodursi. La «scatola » è la membrana del Mycoplasma (batterio parassita di minime dimensioni), in cui è stato sostituito completamente il «motore» molecolare.
Gli obiettivi di questa attività riguardano la ricerca di base o le applicazioni pratiche? E quali?
Da un punto di vista teorico può essere interessante creare modelli cellulari semplici per individuare le condizioni minime, indispensabili per la sussistenza della vita. Dal punto di vista applicativo, si parla di creare «macchine biologiche » che possono avere compiti particolari: per esempio, «cellule spazzine» in grado di trasformare agenti inquinanti in materiali biodegradabili. Oppure produrre materiali biologici con caratteristiche diverse da quelle naturali. Mentre l’ingegneria genetica fa produrre proteine composte solo dai venti amminoacidi noti, ora si può immaginare di dare forma a proteine con proprietà diverse e preordinate a funzioni particolari.
Con le cellule spazzine, per esempio, potrebbero sorgere problemi di biosicurezza analoghi a quelli che qualcuno paventa per gli Ogm?
Questo resta un interrogativo aperto. Non si tratta infatti di organismi modificati solo in una loro proprietà, come gli Ogm, ma del tutto nuovi. Non si può prevedere come si comporterebbero nell’ambiente, né se, fondendosi con batteri naturali, potrebbero causare danni ecologici e pericoli per la salute dell’uomo.
Sono stati già ipotizzati sviluppi più ambiziosi, su cellule di organismi superiori. È vicino questo traguardo?
Direi di no. Con la biologia sintetica si punta alla progettazione di «processi biosintetici» nuovi per una cellula per farle produrre quello che si vuole. Ma la strada è ancora lunga. E a maggior ragione è lontano il pensare di agire su una cellula eucariote (come quella dell’uomo, degli animali o dei vegetali), ben più complessa di quella di un batterio (cellula procariote).
Si è parlato spesso in questi anni del «giocare a fare Dio». Questa scoperta è un passo in questa direzione?
Sicuramente assistiamo a una sorta di scivolamento nella concezione della biologia.
Il paradigma culturale che è già passato da quello della conoscenza dei fenomeni della natura a quello dello sfruttamento della natura attraverso le biotecnologie che lavorano sulle proprietà degli organismi esistenti, si orienta ora verso una manipolazione totale, obiettivo della biologia sintetica. Si producono organismi viventi inediti, utilizzando patrimoni informazionali costruiti al computer, dando il via a forme di vita prima non esistenti. È un paradigma nuovo, un po’ inquietante. Quanto al significato che tutto questo ha per la comprensione del «fenomeno vita», è già noto da tempo che i processi biologici sono regolati dal Dna. Affermare invece che non esiste nulla oltre la chimica e la biologia, mi pare una affermazione presuntuosa e non scientifica.
In che misura la scoperta di Venter è «vita artificiale»?
I batteri sono organismi unicellulari che si formano per divisione di una cellula preesistente: si generano come cloni, non attraverso la riproduzione sessuata propria degli organismi più complessi, che possiedono una maggiore varietà per le combinazioni dei geni dei genitori.
Il gruppo di Venter ha sostituito il genoma originale di una cellula batterica con uno sintetico, costruito assemblando sequenze di cromosomi diversi. E la nuova «macchina» sembra funzionare, nel senso che si è mostrata in grado di dividersi e quindi di riprodursi. La «scatola » è la membrana del Mycoplasma (batterio parassita di minime dimensioni), in cui è stato sostituito completamente il «motore» molecolare.
Gli obiettivi di questa attività riguardano la ricerca di base o le applicazioni pratiche? E quali?
Da un punto di vista teorico può essere interessante creare modelli cellulari semplici per individuare le condizioni minime, indispensabili per la sussistenza della vita. Dal punto di vista applicativo, si parla di creare «macchine biologiche » che possono avere compiti particolari: per esempio, «cellule spazzine» in grado di trasformare agenti inquinanti in materiali biodegradabili. Oppure produrre materiali biologici con caratteristiche diverse da quelle naturali. Mentre l’ingegneria genetica fa produrre proteine composte solo dai venti amminoacidi noti, ora si può immaginare di dare forma a proteine con proprietà diverse e preordinate a funzioni particolari.
Con le cellule spazzine, per esempio, potrebbero sorgere problemi di biosicurezza analoghi a quelli che qualcuno paventa per gli Ogm?
Questo resta un interrogativo aperto. Non si tratta infatti di organismi modificati solo in una loro proprietà, come gli Ogm, ma del tutto nuovi. Non si può prevedere come si comporterebbero nell’ambiente, né se, fondendosi con batteri naturali, potrebbero causare danni ecologici e pericoli per la salute dell’uomo.
Sono stati già ipotizzati sviluppi più ambiziosi, su cellule di organismi superiori. È vicino questo traguardo?
Direi di no. Con la biologia sintetica si punta alla progettazione di «processi biosintetici» nuovi per una cellula per farle produrre quello che si vuole. Ma la strada è ancora lunga. E a maggior ragione è lontano il pensare di agire su una cellula eucariote (come quella dell’uomo, degli animali o dei vegetali), ben più complessa di quella di un batterio (cellula procariote).
Si è parlato spesso in questi anni del «giocare a fare Dio». Questa scoperta è un passo in questa direzione?
Sicuramente assistiamo a una sorta di scivolamento nella concezione della biologia.
Il paradigma culturale che è già passato da quello della conoscenza dei fenomeni della natura a quello dello sfruttamento della natura attraverso le biotecnologie che lavorano sulle proprietà degli organismi esistenti, si orienta ora verso una manipolazione totale, obiettivo della biologia sintetica. Si producono organismi viventi inediti, utilizzando patrimoni informazionali costruiti al computer, dando il via a forme di vita prima non esistenti. È un paradigma nuovo, un po’ inquietante. Quanto al significato che tutto questo ha per la comprensione del «fenomeno vita», è già noto da tempo che i processi biologici sono regolati dal Dna. Affermare invece che non esiste nulla oltre la chimica e la biologia, mi pare una affermazione presuntuosa e non scientifica.
«Avvenire» del 22 maggio 2010
Nessun commento:
Posta un commento