Tamim Ansary - storico americano, ma nato a Kabul - mette a confronto Occidente e islam raccontandoci come gli integralisti hanno distrutto un Paese
di Matteo Sacchi
Tamim Ansary è nato a Kabul nel 1948 da padre afghano e madre americana. A 16 anni si è stabilito negli Stati Uniti, dove si è dedicato molto presto alla divulgazione storica. È diventato famoso dopo l’11 settembre per una mail pubblica dove spiegava il punto di vista di un afghano-statunitense sull’attentato. Nel testo descriveva i talebani e Bin Laden alla stregua dei nazisti, ma faceva anche notare che la maggior parte degli afghani erano loro «prigionieri», sconsigliando l’uso massiccio delle bombe e un’invasione non mirata. Da allora ha scritto molti libri per approfondire il rapporto fra Oriente e Occidente, fra cui West of Kabul, East of New York e l’ultimo, appena pubblicato da Fazi, Un destino parallelo (pagg. 534, euro 22). Ansary lo presenterà al festival «èStoria» di Gorizia.
Professor Ansary, dopo l’11 settembre lei, come afghano-statunitense, mandò un’appassionata mail discutendo l’attacco dalla sua particolare prospettiva. A dieci anni di distanza quali sono le sue valutazioni?
«Io allora dissi che bisognava distinguere fra talebani e afghani. Dopo una settimana di bombardamenti massicci persino Rumsfeld finalmente ammise che le cose non funzionavano... “Non ci sono veri bersagli da colpire”, disse. Allora gli Stati Uniti passarono a una politica più sfumata, aiutando sul campo l’Alleanza del Nord. E io credo abbiano fatto bene. Si dica quel che si vuole a proposito di quella collettanea di signori della guerra, strangolatori, patrioti e ladri: alla fin fine erano afghani e sapevano che cosa fare in Afghanistan. Ancor più importante il fatto che gli Usa siano riusciti a convincere i servizi segreti pakistani a sganciarsi dai talebani di Kabul... Insomma, si stava aprendo una finestra di buone possibilità di successo. Avrebbe potuto funzionare se gli Usa avessero sostenuto subito una ricostruzione della società civile...».
E invece?
«Invece si sono lanciati nel conflitto iracheno e l’Afghanistan è passato in seconda fila, precipitando di nuovo nel caos... Anche perché se il Pakistan ufficialmente collabora con l’Occidente, ciò che fanno alcuni pakistani è tutta un’altra storia...».
Chi sono esattamente i talebani contro cui combattiamo?
«All’origine il movimento degli “studenti religiosi” è nato durante la guerra con i russi. Sono stati rapidamente cooptati da un’alleanza di potere tra jihadisti e servizi segreti pakistani che volevano usare il movimento come cavallo di Troia per occupare l’Afghanistan. I quadri sono stati quasi tutti reclutati nei campi di esuli afghani che si trovavano sul territorio pakistano. Reclutavano soprattutto ragazzini poveri plagiandoli sin dalla gioventù... Però col passare degli anni il movimento si è frammentato e ha assunto caratteri xenofobi e localistici. Usano la bandiera dell’Islam per scatenare l’odio contro tutto ciò che viene da fuori, sia che siano gli occidentali sia che si tratti del governo di Kabul».
In Occidente si tendono a identificare afghani e talebani?
«Purtroppo la distinzione sta sparendo anche tra gli afghani. Gli islamisti che sono venuti in Afghanistan hanno sfruttato così bene le tensioni tribali e le fratture che qualsiasi membro delle tribù che si oppongono al governo può venir etichettato come talebano».
Si parla spesso della necessità di trattare con i talebani e di trovare un modo di reintegrarli nella società afghana...
«La questione: è reintegrare chi in che cosa? È vero che molti di quelli coinvolti nella rivolta talebana sono solo contadini che lottano per sopravvivere. Se gli si dessero delle possibilità probabilmente le coglierebbero... Solo che non esiste una società civile afghana che per queste persone rappresenti qualcosa. E non è solo una questione di soldi, non basta dargli qualcosa più di quello che gli danno i talebani».
Ma allora come difenderci dai terroristi e dai talebani? Due soldati italiani sono stati appena uccisi...
«Mi spiace molto per i vostri soldati, ma sul caso specifico non so abbastanza per non parlare a sproposito... In generale solo un governo afghano stabile e forte può creare una società che chiuda le porte del Paese al terrorismo. E questo non si può ottenere se non con le tecniche specifiche e i trucchi della politica afghana. Non basta la forza. Se mai accadrà, accadrà attraverso manipolazioni, pagamenti, matrimoni combinati, concessioni strategiche, appelli alla legislazione islamica, compravendite di cavalli, frodi... L’Occidente non ha idea di come maneggiare una cosa del genere...».
Non è comunque una soluzione semplice...
«Dio mi scampi dal dare l’impressione di avere soluzioni certe. Si sono fatti errori in passato e ora rimediare è difficilissimo. Se le forze occidentali si ritirassero milioni di afghani modernisti che vivono nelle città soffrirebbero orribilmente. Se invece non si ritirassero i talebani userebbero la loro presenza per rinforzare la “narrativa” sull’invasione straniera. Le limitazioni che le forze occidentali si impongono per non colpire i civili le rendono vulnerabili, ma se colpiscono i civili... E così via. Le buone notizie vengono dalle piccole cose. La questione è se sia possibile investire in un cambiamento lento mentre contemporaneamente si viene colpiti e sabotati».
In Un destino parallelo lei ha cercato di far percepire a un lettore occidentale che cosa significhi appartenere alla comunità islamica. La percezione degli eventi è davvero così diversa?
«Sì e no. Un pezzo del mondo islamico si è, come dire, occidentalizzato. Questo contatto con l’Occidente ha allargato i conflitti interni e i disagi psicologici. Soprattutto in società come quella pakistana in cui c’è una grossa divisione tra i modernisti che vivono nelle città e la realtà tribale dei villaggi... Quando poi i modernisti, come molti islamici che vivono in Europa, non riescono più a far convivere le due polarità, c’è chi ripiomba in maniera fortissima nel versante islamista».
Che cosa gli occidentali proprio non capiscono dell’Islam?
«Molti credono che l’Islam sia una religione che permea una società. Ma non è così. L’Islam è una società, è totalizzante. E molti musulmani che all’interno di questa società accettano e predicano valori come la fratellanza e la pace. Non riescono però a rendersi conto che vanno praticati anche al di fuori dei confini di questa comunità e delle sue regole. Questo gioca a tutto vantaggio di chi vuole fomentare lo scontro».
Per lei che vive sospeso tra questi due mondi facendo da ponte, non deve essere facile...
«Spero che niente di quanto le ho detto dia l’impressione che la questione sia facile. In caso contrario devo essermi spiegato male».
Professor Ansary, dopo l’11 settembre lei, come afghano-statunitense, mandò un’appassionata mail discutendo l’attacco dalla sua particolare prospettiva. A dieci anni di distanza quali sono le sue valutazioni?
«Io allora dissi che bisognava distinguere fra talebani e afghani. Dopo una settimana di bombardamenti massicci persino Rumsfeld finalmente ammise che le cose non funzionavano... “Non ci sono veri bersagli da colpire”, disse. Allora gli Stati Uniti passarono a una politica più sfumata, aiutando sul campo l’Alleanza del Nord. E io credo abbiano fatto bene. Si dica quel che si vuole a proposito di quella collettanea di signori della guerra, strangolatori, patrioti e ladri: alla fin fine erano afghani e sapevano che cosa fare in Afghanistan. Ancor più importante il fatto che gli Usa siano riusciti a convincere i servizi segreti pakistani a sganciarsi dai talebani di Kabul... Insomma, si stava aprendo una finestra di buone possibilità di successo. Avrebbe potuto funzionare se gli Usa avessero sostenuto subito una ricostruzione della società civile...».
E invece?
«Invece si sono lanciati nel conflitto iracheno e l’Afghanistan è passato in seconda fila, precipitando di nuovo nel caos... Anche perché se il Pakistan ufficialmente collabora con l’Occidente, ciò che fanno alcuni pakistani è tutta un’altra storia...».
Chi sono esattamente i talebani contro cui combattiamo?
«All’origine il movimento degli “studenti religiosi” è nato durante la guerra con i russi. Sono stati rapidamente cooptati da un’alleanza di potere tra jihadisti e servizi segreti pakistani che volevano usare il movimento come cavallo di Troia per occupare l’Afghanistan. I quadri sono stati quasi tutti reclutati nei campi di esuli afghani che si trovavano sul territorio pakistano. Reclutavano soprattutto ragazzini poveri plagiandoli sin dalla gioventù... Però col passare degli anni il movimento si è frammentato e ha assunto caratteri xenofobi e localistici. Usano la bandiera dell’Islam per scatenare l’odio contro tutto ciò che viene da fuori, sia che siano gli occidentali sia che si tratti del governo di Kabul».
In Occidente si tendono a identificare afghani e talebani?
«Purtroppo la distinzione sta sparendo anche tra gli afghani. Gli islamisti che sono venuti in Afghanistan hanno sfruttato così bene le tensioni tribali e le fratture che qualsiasi membro delle tribù che si oppongono al governo può venir etichettato come talebano».
Si parla spesso della necessità di trattare con i talebani e di trovare un modo di reintegrarli nella società afghana...
«La questione: è reintegrare chi in che cosa? È vero che molti di quelli coinvolti nella rivolta talebana sono solo contadini che lottano per sopravvivere. Se gli si dessero delle possibilità probabilmente le coglierebbero... Solo che non esiste una società civile afghana che per queste persone rappresenti qualcosa. E non è solo una questione di soldi, non basta dargli qualcosa più di quello che gli danno i talebani».
Ma allora come difenderci dai terroristi e dai talebani? Due soldati italiani sono stati appena uccisi...
«Mi spiace molto per i vostri soldati, ma sul caso specifico non so abbastanza per non parlare a sproposito... In generale solo un governo afghano stabile e forte può creare una società che chiuda le porte del Paese al terrorismo. E questo non si può ottenere se non con le tecniche specifiche e i trucchi della politica afghana. Non basta la forza. Se mai accadrà, accadrà attraverso manipolazioni, pagamenti, matrimoni combinati, concessioni strategiche, appelli alla legislazione islamica, compravendite di cavalli, frodi... L’Occidente non ha idea di come maneggiare una cosa del genere...».
Non è comunque una soluzione semplice...
«Dio mi scampi dal dare l’impressione di avere soluzioni certe. Si sono fatti errori in passato e ora rimediare è difficilissimo. Se le forze occidentali si ritirassero milioni di afghani modernisti che vivono nelle città soffrirebbero orribilmente. Se invece non si ritirassero i talebani userebbero la loro presenza per rinforzare la “narrativa” sull’invasione straniera. Le limitazioni che le forze occidentali si impongono per non colpire i civili le rendono vulnerabili, ma se colpiscono i civili... E così via. Le buone notizie vengono dalle piccole cose. La questione è se sia possibile investire in un cambiamento lento mentre contemporaneamente si viene colpiti e sabotati».
In Un destino parallelo lei ha cercato di far percepire a un lettore occidentale che cosa significhi appartenere alla comunità islamica. La percezione degli eventi è davvero così diversa?
«Sì e no. Un pezzo del mondo islamico si è, come dire, occidentalizzato. Questo contatto con l’Occidente ha allargato i conflitti interni e i disagi psicologici. Soprattutto in società come quella pakistana in cui c’è una grossa divisione tra i modernisti che vivono nelle città e la realtà tribale dei villaggi... Quando poi i modernisti, come molti islamici che vivono in Europa, non riescono più a far convivere le due polarità, c’è chi ripiomba in maniera fortissima nel versante islamista».
Che cosa gli occidentali proprio non capiscono dell’Islam?
«Molti credono che l’Islam sia una religione che permea una società. Ma non è così. L’Islam è una società, è totalizzante. E molti musulmani che all’interno di questa società accettano e predicano valori come la fratellanza e la pace. Non riescono però a rendersi conto che vanno praticati anche al di fuori dei confini di questa comunità e delle sue regole. Questo gioca a tutto vantaggio di chi vuole fomentare lo scontro».
Per lei che vive sospeso tra questi due mondi facendo da ponte, non deve essere facile...
«Spero che niente di quanto le ho detto dia l’impressione che la questione sia facile. In caso contrario devo essermi spiegato male».
«Il Giornale» del 20 maggio 2010
Nessun commento:
Posta un commento