Quanto al film, ricoperto come da una glassa e intinto nel celeberrimo tema di Lara, è da chiedersi se sarebbe piaciuto a Pasternak. Probabilmente sì perché, da uomo mite, gli avrebbe perdonato le varie, spettacolari infedeltà nei confronti della sua Russia perduta
di Giorgio De Simone
È stata una lunga tenebra quella che, giunta in Europa con la rivoluzione russa del 1917, fu poco dopo ancor più oscurata da gigantesche nuvole nazifasciste. Per Boris Pasternak, il grande poeta e scrittore moscovita di cui ricorre domani (30 maggio) il cinquantesimo della morte, comunismo e nazifascismo diventarono allora «le due ali della stessa notte materialistica». Lo scrisse ai genitori nel 1933, quando, con 'Mia sorella la vita' (ma non solo), aveva già pubblicato versi fulgidi, di misura classica, lontani dai modelli futuristi imperanti. Dal regime veniva guardato con diffidenza sebbene il marxismo-leninismo non fosse stato da lui respinto, nella convinzione che, se la Storia aveva scelto quel passo, era inutile tentare di sgambettarla. E addirittura si era illuso, Pasternak, che nell’alveo della rivoluzione potesse nascere un nuovo «homo sovieticus». Perciò era rimasto in patria, leale verso un regime di cui però cominciava a intravedere i crimini e, con quelli, «il rischio di scivolare nel bestialismo». Nel ’36 iniziarono i «terribili processi e tutto si spezzò entro di me» scriverà vent’anni dopo, quando, cominciato nel ’46, bussava all’uscio Il dottor Zivago. Che però giudicato, come c’era da aspettarsi, «libello antisovietico», trovò chiuse tutte le porte russe. Prese allora, grazie soprattutto all’intraprendenza del critico Valerio Riva, le vie dell’Italia e (dopo essere stato rifiutato da Calvino per Einaudi) uscì da Feltrinelli. Si alzò così il sipario su un suggestivo e articolato affresco della storia russosovietica dal 1905 alla fine della seconda guerra mondiale: un affresco dove spiccava la rivolta dell’uomo contro la materialità del vivere nel nome di una prospettiva ideale, spiritualistica, pervasa di sensibilità cristiana.
Agiva nel profondo di Pasternak «una resistenza radicata nella grande cultura russa ed europea cristiana» ha scritto Vittorio Strada. Era il suo un cristianesimo di fondo che nasceva dalla religione ortodossa di cui si sentiva figlio, addirittura dolendosi della propria ebraicità. Nel carteggio con Marina Cvetaeva cui partecipò anche Rainer Maria Rilke, lo scrittore boemo-austriaco per il quale la Russia era «terra confinante con Dio», la «bontà» di Pasternak fu giudicata da questa sua grande amica intrinseca debolezza.
Intellettuale raffinata, donna e poetessa infuocata capace di appassionati amori epistolari, la Cvetaeva amò per lettera anche Pasternak restando peraltro sempre legata al marito Sergej Efron fino a scegliere disperata, nel precipitare degli eventi dopo la sua fucilazione, la strada del suicidio. Da qualcuno paragonato a un 'Via col vento' russo, Il dottor Zivago fu, in quel 1957, un trionfo di pubblico e non solo se l’anno dopo arrivò (ritirato dal figlio 31 anni dopo!) il premio Nobel. Trionfale fu anche l’accoglienza al film che dal romanzo fu tratto nel 1965 dal regista inglese David Lean con Omar Sharif nella parte di Zivago e Julie Christie in quella di Lara. Oggi il romanzo resta.
Agiva nel profondo di Pasternak «una resistenza radicata nella grande cultura russa ed europea cristiana» ha scritto Vittorio Strada. Era il suo un cristianesimo di fondo che nasceva dalla religione ortodossa di cui si sentiva figlio, addirittura dolendosi della propria ebraicità. Nel carteggio con Marina Cvetaeva cui partecipò anche Rainer Maria Rilke, lo scrittore boemo-austriaco per il quale la Russia era «terra confinante con Dio», la «bontà» di Pasternak fu giudicata da questa sua grande amica intrinseca debolezza.
Intellettuale raffinata, donna e poetessa infuocata capace di appassionati amori epistolari, la Cvetaeva amò per lettera anche Pasternak restando peraltro sempre legata al marito Sergej Efron fino a scegliere disperata, nel precipitare degli eventi dopo la sua fucilazione, la strada del suicidio. Da qualcuno paragonato a un 'Via col vento' russo, Il dottor Zivago fu, in quel 1957, un trionfo di pubblico e non solo se l’anno dopo arrivò (ritirato dal figlio 31 anni dopo!) il premio Nobel. Trionfale fu anche l’accoglienza al film che dal romanzo fu tratto nel 1965 dal regista inglese David Lean con Omar Sharif nella parte di Zivago e Julie Christie in quella di Lara. Oggi il romanzo resta.
«Avvenire» del 29 maggio 2010
Nessun commento:
Posta un commento