di Tonino Bucci
Fin dalle prime apparizioni rudimentali hanno fatto paura. Gli ebook, ovvero libri da leggere non sulla carta ma sullo schermo, in versione rigorosamente digitale, evocano scenari apocalittici. Anche in Italia i lettori giovani si spostano su internet e preferiscono trovare in rete le informazioni che gli interessano. Ma anziché discutere su come le nuove abitudini di lettura incideranno sul modo di pensare, ci si è ingabbiati finora nel dibattito sulla morte del libro - vera o presunta. Nel frattempo, sempre più persone scorrono notizie d’agenzia sugli smartphone e leggono testi sui netbook. E se fino a poco tempo fa i dispositivi elettronici per la lettura di libri su schermo erano ancora poco pratici, l’esordio recentissimo dell’ipad - l’ultima creatura lanciata dall’Apple - è foriero di una nuova era nell’editoria. Volenti o nolenti il Salone del libro di Torino dovrà farci i conti. Non è un caso che il tema conduttore, quest’anno, è la memoria. Un’alluvione di eventi, in tutto millecento, per un totale di visitatori previsto pari a ottanta, novantamila persone. Sembrerà paradossale doversi occupare di memoria in un’epoca in cui le tecnologie mettono a nostra disposizione banche dati sterminate. Eppure quella nostra, è una società frettolosa, superficiale, che dimentica in fretta e non assimila. Ne parliamo con Ernesto Ferrero, direttore della Fiera internazionale del libro.
L’ipad, si dice, cambierà l’editoria. Come nel caso di itunes per la musica, anche per i libri sarà possibile acquistare testi online, anche singoli capitoli. Il libro come l’abbiamo conosciuto fino a oggi è destinato a morire?
C’è un’accelerazione. I primi dispositivi - mi riferisco a una decina d’anni fa - erano quasi rupestri. Adesso siamo tutti colpiti dall’ultima creazione di Apple che ha venduto quasi un milione di ipad in un mese, sui quali sono stati scaricati un milione e seicentocinquantamila titoli. I non più giovani vedono le innovazioni in termini di contrapposizione. Aut-aut, carta contro digitale. E’ un errore. Tutte queste potenzialità vanno considerate più freddamente. Gli strumenti non sono mai un problema, semmai lo è l’uso che ne fanno gli uomini. L’ipad funzionerà benissimo per l’editoria quotidiana e periodica. Andrà bene se voglio leggere o, meglio, scorrere il New York Times oppure se, per motivi professionali, ho bisogno di leggere molti manoscritti. Sarà un gran risparmio di carta e di peso scaricare tutto il materiale su un ipad. Ma se sono un lettore comune che vuole leggere Tolstoj, preferirò andare a letto col caro vecchio libro di carta, più maneggevole e senza problemi di pile che si scaricano.
Sì, ma gli editori italiani cosa fanno?
Si stanno attrezzando per vendere gli ebook sui portali online. Tra i vantaggi ci sarebbe quello di poter rimettere in circolazione i cataloghi dei libri di studio. Pensiamo, ad esempio, a quanti titoli destinati agli studenti universitari ha in catalogo una casa editrice come Einaudi e che non vengono attualmente ristampati per motivi di costo. I costi di stoccaggio e di magazzino sono cresciuti. I nuovi manager sono ferocissimi. La vendita online consentirebbe a un ricercatore di comprare anche singole parti di un libro che gli interessano, anche un solo capitolo. L’ebook potrebbe anche abbattere il fenomeno delle fotocopie. Tutti si scagliano contro gli studenti che fotocopiano i testi d’esame. Ma come potrebbero acquistare titoli ormai esauriti? Se avessero la possibilità di scaricarli tutto cambierebbe.
Google ha iniziato da tempo a recuperare libri esauriti per metterli online in versione digitale. Al momento si tratta in gran parte di libri dell’area anglosassone...
Google digitalizza soprattutto i classici della letteratura. Io penso invece a cataloghi da university press, a libri di studio. Ma sono gli editori che ci devono pensare. Del resto, i libri nascono ormai già in digitale. Gli autori non mandano più il manoscritto come una volta. Ma il vero problema del fututo non è tanto la questione se staremo di più sul supporto cartaceo o su quello digitale. Una sana convivenza tra la carta e il digitale sarà, a mio parere, la via più percorribile. Quel che è più inquietante, invece, è ragionare su come tutti questi strumenti, dagli smartphone all’ipad fino ai netbook, cambieranno il modo di leggere. Ci stiamo abituando a gestire in maniera frenetica e superficiale una quantità sterminata di informazioni. Come sta cambiando il nostro modo di pensare, di scrivere e di leggere? Saremo ancora capaci di fare ricerca, approfondimenti, studi pazienti oppure dobbiamo rassegnarci a diventare maestri del taglia e incolla? La quantità di memoria che abbiamo a disposizione è praticamente infinita, come se fosse una mappa uno a uno. Ma sapremo orientarci e scegliere in questo mare di dati?
Nell’era dell’editoria elettronica pubblicare un libro sarà facilissimo. Ci sarà ancora la figura dell’editore? E che fine farà l’autore?
La loro funzione resterà comunque fondamentale. E’ l’autore che sceglie dei significanti in una magma di informazioni e li organizza in un discorso coerente. Anche l’editore fa delle scelte e certifica con la propria autorevolezza - quando ce l’ha - che i libri che propone raggiungono un certo standard qualitativo. Il suo lavoro assicura che il libro sia conforme alla propria linea editoriale. E’ vero anche, però, che il profilo degli editori negli ultimi anni si è un po’ annacquato. Non vorrei che finissimo come negli Stati Uniti, dove il nome dell’editore è addirittura sparito dal piatto della sovracoperta. Al massimo sta sul dorso, tanto per riconoscere il libro quando viene messo a scaffale. Tutti fanno le stesse cose e un editore vale l’altro. Qui da noi, almeno alcuni editori, mantengono ancora un’identità, come Einaudi, Adelphi, Laterza e Feltrinelli. La balena indistinta è Mondadori, anche se al suo interno ha delle linee riconoscibili, come i Meridiani.
C’è chi parla di passaggio epocale. Alla cultura dello scritto si sostituisce una cultura dell’audiovisivo. Cambierà il nostro modo di comunicare?
Si può persino ipotizzare un ritorno dell’oralità, messa in ombra fin dai tempi di Platone. Da un millennio e oltre la scrittura è stata lo strumento più autorevole. Adesso assistiamo a un ritorno dell’oralità, all’affermazione di forme di comunicazione stenografata, concitata, rapida, tipiche degli smartphone. E’ la stenografia del parlato, fatalmente imprecisa. Già Calvino diceva che la “parola parlata” era una cosa molle e persino un po’ schifosa. La cultura scritta è caratterizzata, al contrario, dalla persistenza di una tradizione, dai tempi lunghi della lettura, dall’assimilazione paziente. Adesso tutto è accelerato, tutto è zapping. Peschiamo qui e là e siamo costretti ad accozzare tutto assieme per poter dire la nostra su qualunque argomento in pochi minuti. Andiamo verso un processo di semplificazione, banalizzazione e superficializzazione. Questo è il vero pericolo.
Quest’anno tra gli ospiti ci sono Scott Turow, Amelie Nothomb... Come al solito è la letteratura a farla da padrona. E’ il solito espedienti degli scrittori di grido per attirare pubblico di massa?
Non è proprio così. Ci sono molti scrittori, ma anche molti saggisti, storici, politici. Anzi, devo dire che gli eventi più partecipati sono proprio quelli che toccano la società e la coscienza civile. C’è una domanda di politica che trova occasioni sporadiche di gratificazione solo al di fuori del circuito del politichese. A parte Travaglio che fa sempre pienoni e ci procura molti problemi di ordine pubblico, avremo dibattiti sulla mafia e sul federalismo fiscale. Ci saranno Scalfari e Zagrebelsky. Sono questi gli eventi molto partecipati, quelli che toccano la polis. Poi, certo, se arriva lo scrittore di successo, lo Scott Turow di turno, il pubblico va a sentirlo. Ricordo però un dibattito, un paio d’anni fa, su il tempo e la matematica, di lunedì mattina, seguito da duecento persone. Forse esiste un pubblico più competente e motivato di quanto gli editori non pensino. Bisognerebbe tenerlo a mente quando si scelgono i libri da pubblicare. L’informazione libraria, così com’è oggi, non va. I critici si occupano solo di beghe. Si va alla ricerca del documento pruriginoso sulla vita privata del grande scrittore. Si pensa alla rissa e al voyeurismo.
L’ipad, si dice, cambierà l’editoria. Come nel caso di itunes per la musica, anche per i libri sarà possibile acquistare testi online, anche singoli capitoli. Il libro come l’abbiamo conosciuto fino a oggi è destinato a morire?
C’è un’accelerazione. I primi dispositivi - mi riferisco a una decina d’anni fa - erano quasi rupestri. Adesso siamo tutti colpiti dall’ultima creazione di Apple che ha venduto quasi un milione di ipad in un mese, sui quali sono stati scaricati un milione e seicentocinquantamila titoli. I non più giovani vedono le innovazioni in termini di contrapposizione. Aut-aut, carta contro digitale. E’ un errore. Tutte queste potenzialità vanno considerate più freddamente. Gli strumenti non sono mai un problema, semmai lo è l’uso che ne fanno gli uomini. L’ipad funzionerà benissimo per l’editoria quotidiana e periodica. Andrà bene se voglio leggere o, meglio, scorrere il New York Times oppure se, per motivi professionali, ho bisogno di leggere molti manoscritti. Sarà un gran risparmio di carta e di peso scaricare tutto il materiale su un ipad. Ma se sono un lettore comune che vuole leggere Tolstoj, preferirò andare a letto col caro vecchio libro di carta, più maneggevole e senza problemi di pile che si scaricano.
Sì, ma gli editori italiani cosa fanno?
Si stanno attrezzando per vendere gli ebook sui portali online. Tra i vantaggi ci sarebbe quello di poter rimettere in circolazione i cataloghi dei libri di studio. Pensiamo, ad esempio, a quanti titoli destinati agli studenti universitari ha in catalogo una casa editrice come Einaudi e che non vengono attualmente ristampati per motivi di costo. I costi di stoccaggio e di magazzino sono cresciuti. I nuovi manager sono ferocissimi. La vendita online consentirebbe a un ricercatore di comprare anche singole parti di un libro che gli interessano, anche un solo capitolo. L’ebook potrebbe anche abbattere il fenomeno delle fotocopie. Tutti si scagliano contro gli studenti che fotocopiano i testi d’esame. Ma come potrebbero acquistare titoli ormai esauriti? Se avessero la possibilità di scaricarli tutto cambierebbe.
Google ha iniziato da tempo a recuperare libri esauriti per metterli online in versione digitale. Al momento si tratta in gran parte di libri dell’area anglosassone...
Google digitalizza soprattutto i classici della letteratura. Io penso invece a cataloghi da university press, a libri di studio. Ma sono gli editori che ci devono pensare. Del resto, i libri nascono ormai già in digitale. Gli autori non mandano più il manoscritto come una volta. Ma il vero problema del fututo non è tanto la questione se staremo di più sul supporto cartaceo o su quello digitale. Una sana convivenza tra la carta e il digitale sarà, a mio parere, la via più percorribile. Quel che è più inquietante, invece, è ragionare su come tutti questi strumenti, dagli smartphone all’ipad fino ai netbook, cambieranno il modo di leggere. Ci stiamo abituando a gestire in maniera frenetica e superficiale una quantità sterminata di informazioni. Come sta cambiando il nostro modo di pensare, di scrivere e di leggere? Saremo ancora capaci di fare ricerca, approfondimenti, studi pazienti oppure dobbiamo rassegnarci a diventare maestri del taglia e incolla? La quantità di memoria che abbiamo a disposizione è praticamente infinita, come se fosse una mappa uno a uno. Ma sapremo orientarci e scegliere in questo mare di dati?
Nell’era dell’editoria elettronica pubblicare un libro sarà facilissimo. Ci sarà ancora la figura dell’editore? E che fine farà l’autore?
La loro funzione resterà comunque fondamentale. E’ l’autore che sceglie dei significanti in una magma di informazioni e li organizza in un discorso coerente. Anche l’editore fa delle scelte e certifica con la propria autorevolezza - quando ce l’ha - che i libri che propone raggiungono un certo standard qualitativo. Il suo lavoro assicura che il libro sia conforme alla propria linea editoriale. E’ vero anche, però, che il profilo degli editori negli ultimi anni si è un po’ annacquato. Non vorrei che finissimo come negli Stati Uniti, dove il nome dell’editore è addirittura sparito dal piatto della sovracoperta. Al massimo sta sul dorso, tanto per riconoscere il libro quando viene messo a scaffale. Tutti fanno le stesse cose e un editore vale l’altro. Qui da noi, almeno alcuni editori, mantengono ancora un’identità, come Einaudi, Adelphi, Laterza e Feltrinelli. La balena indistinta è Mondadori, anche se al suo interno ha delle linee riconoscibili, come i Meridiani.
C’è chi parla di passaggio epocale. Alla cultura dello scritto si sostituisce una cultura dell’audiovisivo. Cambierà il nostro modo di comunicare?
Si può persino ipotizzare un ritorno dell’oralità, messa in ombra fin dai tempi di Platone. Da un millennio e oltre la scrittura è stata lo strumento più autorevole. Adesso assistiamo a un ritorno dell’oralità, all’affermazione di forme di comunicazione stenografata, concitata, rapida, tipiche degli smartphone. E’ la stenografia del parlato, fatalmente imprecisa. Già Calvino diceva che la “parola parlata” era una cosa molle e persino un po’ schifosa. La cultura scritta è caratterizzata, al contrario, dalla persistenza di una tradizione, dai tempi lunghi della lettura, dall’assimilazione paziente. Adesso tutto è accelerato, tutto è zapping. Peschiamo qui e là e siamo costretti ad accozzare tutto assieme per poter dire la nostra su qualunque argomento in pochi minuti. Andiamo verso un processo di semplificazione, banalizzazione e superficializzazione. Questo è il vero pericolo.
Quest’anno tra gli ospiti ci sono Scott Turow, Amelie Nothomb... Come al solito è la letteratura a farla da padrona. E’ il solito espedienti degli scrittori di grido per attirare pubblico di massa?
Non è proprio così. Ci sono molti scrittori, ma anche molti saggisti, storici, politici. Anzi, devo dire che gli eventi più partecipati sono proprio quelli che toccano la società e la coscienza civile. C’è una domanda di politica che trova occasioni sporadiche di gratificazione solo al di fuori del circuito del politichese. A parte Travaglio che fa sempre pienoni e ci procura molti problemi di ordine pubblico, avremo dibattiti sulla mafia e sul federalismo fiscale. Ci saranno Scalfari e Zagrebelsky. Sono questi gli eventi molto partecipati, quelli che toccano la polis. Poi, certo, se arriva lo scrittore di successo, lo Scott Turow di turno, il pubblico va a sentirlo. Ricordo però un dibattito, un paio d’anni fa, su il tempo e la matematica, di lunedì mattina, seguito da duecento persone. Forse esiste un pubblico più competente e motivato di quanto gli editori non pensino. Bisognerebbe tenerlo a mente quando si scelgono i libri da pubblicare. L’informazione libraria, così com’è oggi, non va. I critici si occupano solo di beghe. Si va alla ricerca del documento pruriginoso sulla vita privata del grande scrittore. Si pensa alla rissa e al voyeurismo.
«Liberazione» del 12 maggio 2010
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