26 maggio 2010

Come un puzzle qui si gioca con i resti di Galilei

di Franco Gàbici
Tutto si poteva pensare di Galileo tranne che si sarebbe trasformato, dopo morto, in una sorta di macabro puzzle. È quanto verrebbe da pensare leggendo l’annuncio che oggi, alle ore 11, alcune reliquie del grande scienziato saranno presentate al Museo di Storia della scienza di Firenze che dopo due anni di restauri verrà riaperto al pubblico nel prossimo giugno con il nuovo nome di Museo Galileo. La notizia ha suscitato scalpore perché si riteneva che di quelle preziose reliquie si fossero perdute per sempre le tracce. E invece nel novembre scorso si venne a sapere che erano state fortunosamente ritrovate da un collezionista e oggi, dopo un accurato restauro delle teche, potranno essere esposte alla curiosità dei visitatori. I cimeli ritrovati, due dita della mano destra (il pollice e il medio) e un dente, andranno così ad aggiungersi al dito 'medio' conservato nel Museo di storia della scienza e alla vertebra (la 'quinta') custodita dall’Università di Padova dove Galileo aveva insegnato per diciotto anni. E a questo punto il discorso sui resti di Galileo sembra chiudersi definitivamente e il fatto acquista un particolare significato perché si verifica a conclusione dell’anno internazionale dell’astronomia e di Galileo che è stato celebrato lo scorso 2009.
Quella dei resti di Galileo è una storia antica che risale alla sera del 12 marzo 1737 quando, per iniziativa di Gian Gastone dei Medici, la salma di Galileo fu trasferita, insieme a quella del suo affezionato discepolo Vincenzo Viviani, nel sontuoso sepolcro all’interno di Santa Croce in Firenze proprio davanti a quello di Michelangelo. Per quasi un secolo, infatti, Galileo era stato relegato in un angusto deposito sotto il campanile di Santa Croce e gli erano stati negati i funerali perché, come scrisse il cardinale Francesco Barberini, «non è bene fabbricare mausolei al cadavero di colui che è stato penitenziato nel Tribunale della Santa Inquisizione». In quell’occasione fu aperta la bara per un’ultima ricognizione dei resti e prima della traslazione il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti riuscì a prelevare con un temperino tre dita della mano destra, una vertebra e un dente anche se, come avrebbe confessato più tardi, dovette resistere non poco alla tentazione di portar via anche quel cranio che aveva racchiuso un cervello così originale! Due delle cinque reliquie, come abbiamo ricordato, finirono a Firenze e a Padova mentre delle altre tre a poco a poco si persero le tracce tant’è che si pensò che fossero andate irrimediabilmente perdute. Ma nel novembre scorso un collezionista, attratto da una teca di legno sormontata da un busto ligneo di Galileo, acquistò il cimelio che recava all’interno una ampolla di vetro con dentro due dita e un dente. Il collezionista si rese subito conto che si trattava di cimeli importantissimi e dopo essersi accertato che i resti appartenevano realmente al grande scienziato li ha consegnati al Museo di Firenze. Va sottolineato, infine, che il collezionista ha chiesto l’anonimato e in un mondo in cui la gente è disposta a tutto pur di apparire, la notizia è forse più clamorosa del ritrovamento delle reliquie.
«Avvenire» del 26 maggio 2010

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