20 maggio 2010

Tolkien e i critici. Letture e disletture del Signore degli Anelli

di Roberto Arduini

LA CRITICA E L’AUTORE
Nel terzo canto dell‘Eneide, Enea, approdato a Butroto, ritrova Andromaca, vedova di Ettore e ora moglie di Eleno, il quale ha ricostruito in quella terra un duplicato di Troia, un simulacro della città distrutta: con l’arca di Pergamo, la Porta Scea, perfino un altro fiume Xanto. Parvam Troiam simulataque magni Pergama: «Riconosco una piccola Troia, una Pergamo che imita la grande». Il passaggio, enigmaticamente suggestivo, un po’ nascosto nelle pieghe del poema, viene in mente se si pensa al rapporto che intercorre tra la critica e il suo oggetto – poesia, romanzo, racconto che sia. Sembra una specie di metafora, confusa forse, ma stimolante. La piccola Troia è il doppio di quella che non c’è più. Per i superstiti esuli, essa riproduce l’originale ma non lo ricalca perfettamente. Perché la città-simulacro nascesse, è stato necessario che qualcosa venisse ad aggiungersi: la caduta e la distruzione della grande Troia, la fuga, la memoria di ciò che è andato perduto, anche la dimenticanza. Insomma, tutta un’esperienza fondamentale, senza di cui l’una e l’altra Troia perderebbero di valore.
Anche la critica, in qualche modo, simula l’opera presa in esame quando la interpreta, dopo averla perlustrata a fondo e ricostruita attraverso la lettura e la susseguente scrittura; ma anche l’atto critico introduce un’esperienza originale: quella lettura e quella scrittura, il lavoro che è così prodotto e che si incorpora al testo. La critica, in sostanza, si definisce proprio rispetto a questo lavoro, a questa esperienza. Essa non è mero rispecchiamento servile, oggetto subordinato aggiunto a quello primario. È nella natura delle grandi opere letterarie attrarre critici di alto livello e studi di riferimento, non a caso chiamati nei Paesi anglosassoni “letteratura secondaria”, che divengono bagaglio imprescindibile per le opere stesse. Se è vero che James Joyce disse di aver scritto Finnegans Wake “per tenere impegnati i critici nei prossimi trecento anni”, è vero anche che il libro è rivolto, dirà ancora, a “un lettore ideale affetto da un’ideale insonnia”. Così le opere dello scrittore hanno trovato i suoi Richard Ellmann e Stuart Gilbert, come Fëdor Dostoevskij ha trovato il suo Joseph Frank, Vladimir Nabokov il suo Brian Boyd e J.R.R. Tolkien i suoi Tom Shippey e Verlyn Flieger.

LETTURE DI TOLKIEN
Proprio quest’ultimo caso può aiutare a spiegare come per ogni opera ci sia un periodo di riflessione, in cui si può dire che l’opera ha bisogno di essere “metabolizzata”. Tolkien è un autore scoperto relativamente tardi, a scoppio ritardato. Quando Il Signore degli Anelli fu pubblicato, ebbe degli estimatori della prima ora, come lo scrittore e amico C.S. Lewis e il poeta W.H. Auden, che scrisse lodi che misero in imbarazzo lo stesso Tolkien, ma in linea di massima fu poco compreso. In seguito, però, si è sviluppato un dibattito a livello internazionale. Sull’opera letteraria e accademica di Tolkien sono stati versati fiumi d’inchiostro da parte di studiosi, con testi divulgativi e specialistici, tanto che la letteratura secondaria ormai riempie decine di pagine di bibliografia. Dal 2004, in America, esiste perfino una rivista accademica di studi tolkieniani. Cos’altro serve per poter definire un’opera letteraria come questa, dopo quasi sessant’anni di vita sugli scaffali, un “classico”? Tolkien, a quanto sembra, è stato più che mai controverso e incompreso, capace di suscitare come autore lo stesso apprezzamento popolare e la stessa ostilità critica che accolsero la prima pubblicazione del Signore degli Anelli.
La letteratura accademica e critica su Tolkien può essere passata in rassegna utilizzando vari criteri. Seguendo un criterio cronologico, per esempio, si possono identificare quattro fasi, in parte coincidenti. La prima è caratterizzata dalle recensioni dei libri dell’autore, soprattutto quelle che riguardano Il Signore degli Anelli (1954-55). Sia che l’estensore fosse rapito o che fosse respinto dal libro, le recensioni, insieme alle reazioni e alle contestazioni che immediatamente suscitarono (in alcuni casi da parte dello stesso Tolkien), delinearono la struttura delle polemiche successive.
La seconda fase, che coincide con il “culto” di Tolkien degli anni Sessanta e la successiva reazione contro di esso, hanno dimostrato come la critica letteraria del Novecento, portando lentamente la sua attenzione su Tolkien, cercasse di valutare le sue pretese di artista: testi chiave furono pubblicati in questo periodo, dai saggi raccolti da Isaacs e Zimbardo nel 1968 a The Master of Middle-earth di Paul Kocher (1972).
Un evento chiave della terza fase fu la pubblicazione nel 1982 di The Road to Middle-Earth, di Tom Shippey, libro che ha decisamente rivoluzionato l’approccio critico a Tolkien, insistendo, in controtendenza rispetto alla teoria della “morte dell’autore” allora dominante nella critica letteraria, ad avvicinare gli scritti di Tolkien partendo dall’autore, attraverso la comprensione della sua formazione filologica e della sua riflessione su lingua e letteratura. Nel frattempo, le pubblicazioni di Humphrey Carpenter fornirono un quadro abbozzato della vita dell’autore, mentre vennero raccolte e pubblicate le sue lettere e i suoi principali saggi critici. Nell’anno del centenario della nascita di Tolkien (1992), erano state così gettate le basi per un’adeguata comprensione dell’opera del professore di Oxford.
La quarta e più recente fase (dal 1993 a oggi) è difficile da delineare, con l’enorme numero di volumi pubblicati, che in un solo anno superarono la quantità di tutto il decennio precedente. Soprattutto dall’inizio del nuovo millennio, la popolarità della trilogia dei film di Peter Jackson sul Signore degli Anelli è stata un potente stimolo per nuovi saggi critici, ma tra i fattori di lungo termine che hanno influito sulla produzione di letteratura secondaria sono da includere anche lo sfruttamento sistematico delle opere di Tolkien da parte della casa editrice Harper Collins (si parla di un libro “inedito” ogni due anni circa), e il ruolo svolto dalla Tolkien Society inglese e dalla Mythopoeic Society americana come riferimenti per convegni e riviste specializzate. Inoltre, ci sono segnali che sia giunta al termine l’esclusione silenziosa di Tolkien dall’accademia, forse perché la sua rilevanza culturale difficilmente può essere negata, anche se il suo valore letterario è ancora messo in discussione.
Un diverso criterio di classificazione della critica letteraria su Tolkien fa riferimento alla metodologia adottata. Alcuni studiosi, come già osservato nel caso di Shippey, hanno puntato su un approccio all’autore che prende le mosse dalla sua formazione accademica nel primo quarto del XX secolo: l’analisi delle sue opere letterarie rientra allora nelle letture caratteristiche della Storia letteraria (le opere di Tolkien sono state analizzate evidenziando come egli fosse un erede del Romanticismo, un membro degli “Inklings”, un cattolico, o uno scrittore della Grande Guerra); oppure il suo lavoro è stato trattato come fonte di saggezza morale, religiosa o politica.
Altri critici hanno seguito la dottrina modernista secondo la quale un’opera letteraria deve essere analizzata in modo indipendente dall’autore o dall’ambiente storico, preferendo invece una poetica che si basa principalmente sulla narrazione, sulle immagini e sulla retorica del testo. Se c’è un fondamento a un approccio essenzialmente estetico come questo è nel brusco rifiuto da parte di Tolkien di una critica biografica («Sono contrario alla tendenza attuale della critica, con il suo eccessivo interesse per i dettagli delle vite degli autori e degli artisti. Questi non fanno altro che distogliere l’attenzione dalle opere di un autore […] e finiscono, come si può spesso constatare, per costituire il motivo principale di interesse», Lettere n. 213), e nella sua insistenza sul fatto che nel suo lavoro non ci fosse l’intenzione di trasmettere un messaggio specifico ai lettori, ma «il motivo primo è stato il desiderio di un narratore di provare a cimentarsi con una storia veramente lunga che potesse attirare l’attenzione dei lettori, divertirli, deliziarli, ed a tratti anche eccitarli o commuoverli» (Prefazione, Il Signore degli Anelli). La predilezione per il dettaglio da parte di Tolkien, che lo portava a rivedere continuamente i suoi testi, è però ben lungi dall’ideale cristallizzato auspicato dal modernismo, e la tendenza di quest’ultimo verso un’ironia pervasiva deve essere accantonata per permettere di inquadrare bene lo scrittore.
Ancor più ostiche a Tolkien, che scrisse soprattutto letteratura fantastica, sono state le applicazioni sociali della narrativa realista, di orientamento marxista, che ha influenzato la critica letteraria negli anni successivi alla pubblicazione del Signore degli Anelli.
La teoria della critica letteraria post-anni Sessanta, post-modernista, post-marxista, è stata relativamente improduttiva per quanto riguarda Tolkien. Le uniche eccezioni sono state la teoria psicanalitica, che ha estratto dall’opera dello scrittore simboli e archetipi, e la critica femminista, che ha esplorato la presentazione dei personaggi femminili e degli stereotipi di genere. È ancora tutto da dimostrare il potenziale degli “studi culturali” di produrre un’analisi organica dei fenomeni culturali derivanti dal lavoro di Tolkien. Vi sono tuttavia recenti lavori promettenti in un certo numero di settori. L’analisi dello stile, o degli stili, di Tolkien è ancora poco sviluppata ed è probabile che essa sarà incrementata sensibilmente se si applicheranno le tecniche della linguistica contemporanea. Vi è anche un crescente riconoscimento del ruolo svolto da Tolkien nella storia intellettuale, più sottile di quanto possono suggerire qualsiasi etichetta o assegnazione a una “scuola letteraria”, e non limitabile solo al suo debito nei confronti delle fonti medievali. La rivista annuale Tolkien Studies, inaugurata nel 2004 da Verlyn Flieger e pubblicata dalla West Virginia University, si appresta probabilmente a ospitare i lavori in questi campi, così come il consolidamento delle altre aree di studio sullo scrittore inglese.
Seri studi su Tolkien ormai appaiono accanto a collane di critica letteraria, pubblicati da case editrici accademiche, come la Kent State University Press, la Oxford, la Cornell e la Routledge Press. E sono nate anche case editrici specializzate soltanto in letteratura secondaria su Tolkien, come la Walking Tree Publishers, che ogni anno promuove convegni internazionali sull’autore in collaborazione con l’università di Jena, in Germania.

L’ITALIA: TRA STASI E DISLETTURA
Di tutto questo si è mai sentito parlare in Italia? Purtroppo, no. Per oltre trent’anni il panorama è rimasto piatto e immobile, a causa del disinteresse di alcuni critici e della “dislettura” di altri, uniti nel proporre un’immagine “politically oriented” di Tolkien, dottrinaria, “tradizionale”, quasi esoterica: si sviluppa così una lettura in chiave simbolica del romanzo, con l’applicazione di categorie desunte da uno dei più influenti pensatori dell’estrema destra, Julius Evola. La cultura «alta», nel frattempo, considerava l’autore disimpegnato e marginale. Mancava completamente, in quegli anni, un lavoro critico che potesse illuminare l’universo creativo di Tolkien e le recensioni o le introduzioni ai suoi lavori erano fortemente fuorvianti (come l’introduzione di Elémire Zolla al Signore degli Anelli, smentita dalla stessa Prefazione dell’autore). Si è quindi creata una “distanza” sempre più palese, sempre più evidente, tra ciò che accadeva all’estero e quello che avveniva, anzi che non avveniva in Italia (con l’eccezione di pubblicazioni o studi estemporanei portati avanti da singoli). Una situazione che è durata fino all’uscita della trilogia cinematografica di Peter Jackson, dal 2001 in poi. Molto si è mosso da allora: le forze combinate di alcuni critici hanno fatto nascere prima le pubblicazioni coordinate da Franco Manni, poi un progetto culturale, la collana Tolkien e dintorni della Marietti 1820, che nasce con lo scopo di portare in Italia i migliori studi, le opere capitali della saggistica su Tolkien, di aggiornare il dibattito, di colmare quella distanza. Con l’uscita in questi giorni di Tolkien, l’uomo e il mito di Joseph Pearce, forse, si può dire che un apparato critico c’è: negli ultimi quattro anni sono state pubblicate, infatti, quasi dieci opere critiche, diverse per dimensioni, approccio, spunti, profondità, che nell’insieme restituiscono la ricchezza del panorama internazionale sull’autore del Signore degli Anelli.
In tal senso, è molto importante il convegno internazionale “Tolkien e la Filosofia”, che si terrà a Modena il 22 maggio, proprio perché chiama alcuni dei più grandi studiosi dell’opera di Tolkien che siano in circolazione al momento: stranieri come Shippey, Flieger e Christopher Garbowski, ma anche italiani come Manni, Monda e Wu Ming 4. Anche tra i moderatori ci sono molti esperti di Tolkien, scelti dagli organizzatori proprio per riflettere tutto il panorama critico italiano, dal filosofo Claudio Testi allo studioso di letteratura cattolico Saverio Simonelli, per giungere fino allo studioso del pensiero conservatore Marco Respinti. L’unica esclusione voluta è quella della “dislettura tradizionalista evoliana” che rappresenta un approccio obsoleto oltre che ideologico.

L’OPINIONE DI TOLKIEN
Data la popolarità di Tolkien, non sorprendono i tentativi compiuti anche all’estero da alcuni sinceri appassionati (come la lettura “hippie” o ecologista delle sue opere) di appropriarsi dell’autore per attribuirgli ora questa, ora quella posizione ideologica. Il suo cattolicesimo e la sua ostilità “ruskiniana” nei confronti della ”Macchina” difficilmente possono essere contestate, ma le loro espressioni negli scritti sono state tradotte da alcuni commentatori in un discorso didattico che lui stesso avrebbe rifiutato. Più volte Tolkien si è visto costretto a rifiutare queste “disletture”: «[Il Signore degli Anelli] Non tratta di niente se non di se stesso. Di sicuro non ho intenzioni allegoriche, generali, particolari, o morali, religiose o politiche. … Io sono comunque un cristiano; ma la Terza Era non era un mondo cristiano» (Lettera 165); «Non ho intenzioni didattiche, né scopi allegorici» (Lettera 215); «Detesto cordialmente l’allegoria in tutte le sue manifestazioni, e l’ho sempre detestata […] Penso che molti confondano “applicabilità” con “allegoria”; l’una però risiede nella libertà del lettore, e l’altra nell’intenzionale dominazione dello scrittore» (Prefazione, Il Signore degli Anelli). Si potrebbe continuare a lungo seguendo le parole di Tolkien contro la critica “orientata”. Tolkien confidava che i lettori trovassero la corretta “applicabilità” nelle sue opere e sembra confermarlo il loro notevole successo in tutto il mondo, anche in paesi culturalmente lontanissimi come il Giappone.

I TEMI
Le tematiche che affronta Tolkien nella sua opera sono “universali” (ci riferiamo al senso letterale, etimologico dell’aggettivo katholikòs), come spesso sono le tematiche dell’epica. È ovvio, dunque, che nelle sue storie sia possibile cogliere in trasparenza giudizi e riflessioni sulla sua epoca, la prima metà del Novecento, che non hanno niente da invidiare a quelle degli autori suoi contemporanei appartenenti al filone modernista o dei cosiddetti War Poets. La differenza forse con questi ultimi è che Tolkien credeva che i miti potessero contenere un nocciolo di verità sulla natura e la storia umana (e divina, essendo lui cristiano). Credeva cioè nella forza dell’epica e della narrativa non solo come interpretazione o lettura del mondo, ma anche come affermazione. Così recuperò e mise i miti nordici in contraddizione creativa con il cristianesimo. «Perché, ho capito», disse Tolkien in un’intervista a Philip Norman nel 1967, «che la vita reale dell’uomo è fatta di questa qualità mistica ed eroica… Gli esseri immaginati mostrano il proprio carattere interno attraverso il loro aspetto; sono anime visibili. E l’uomo nella sua interezza, l’uomo che si misura con l’universo, lo abbiamo compreso fino in fondo finché non vediamo che è come un eroe in una favola?».
«L'unità» del 20 maggio 2010

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