di Giuliano Ferrara
I grandi giornali di informazione conducono la battaglia contro la legge di regolamentazione delle intercettazioni, nel contesto di una generale chiamata alle armi in difesa della libertà di stampa, con questo slogan, che campeggia in particolare nelle pagine di Repubblica in testa a ogni pezzo di giudiziaria & scandalistica: “Non avremmo potuto scrivere questo articolo se fosse in vigore la legge bavaglio”. E chi vi dice, cari colleghi, che l’eliminazione di quegli articoli sia un danno alla libertà e al giornalismo libero? La cosa, infatti, va dimostrata. Non basta dire: Berlusconi, intercettato e messo in grave imbarazzo mille volte, si vendica e fa approvare una legge che ci impedisce di colpirlo in prima pagina con gli strumenti delle indagini preliminari. Non basta aggiungere: anche Fassino, D’Alema e molti altri esponenti della nomenclatura politica di sinistra sono stati travolti da scandalismi derivati dalle intercettazioni, e per questa ragione non fanno abbastanza per impedire l’approvazione della legge bavaglio che impedisce di origliare troppo facilmente e di pubblicare baldanzosamente i risultati delle spiate digitali, anche i più estranei all’interesse pubblico delle notizie. E’ encomiabile che ormai tutti siano scesi o stiano scendendo in campo, da Carlo De Benedetti al direttore di Repubblica Ezio Mauro; è interessante che l’establishment editoriale si dia da fare allestendo tribune, e magari potenziali patiboli, e trasformando in tricoteuses la gran massa dei lettori dei suoi giornali. Ma ci vorrebbe qualche argomento solido. L’unico che vedo è che, per quanto auspicabile l’eliminazione di quel giornalismo tarato, sarebbe meglio non avvenisse per legge dello stato.
Sarebbe gradita una risposta, per esempio, a un semplice quesito. Chiunque legga una decina di giornali quotidiani o di settimanali stranieri, in lingua francese, tedesca e inglese, non è mai, si dica mai, mai nella vita, incappato nelle lenzuolate delle intercettazioni di cui si parla, che sono l’oggetto della contesa, che sono il succo dei pezzi e delle paginate pubblicate in italiano dai nostri giornali, e poi sceneggiate con doppiatori, nel modo più suggestivo e drammatico possibile, nelle trasmissioni televisive più sporcificanti del mondo. Mai. E perché? Perché altrove non si intercetta? Perché altrove non si delinque o non si indaga? No. Semplicemente per questo: perché altrove, anche dove esistono mafie e criminalità organizzate, anche dove accadono fenomeni di lobbying e di corruzione politica, non si usa pubblicare lenzuolate di intercettazioni come materiale per l’intorbidimento delle acque, per la grande sputtanopoli che tutto confonde in un generico e demagogico disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche.
Un giorno Scalfari, Mauro, ma perfino i pistaroli e i cronisti in buona fede e i talk show host, si diranno allo specchio, presi da improvviso pentimento: ma abbiamo combattuto una battaglia postborbonica, ci siamo messi in girotondo per obiettivi pieni di malizia, indegni di una società civile adulta, credevamo di lottare per la verità e invece lottavamo per la più malsana delle curiosità, per il pettegolezzo calunnioso, per l’origliamento di stato, roba da piccola inquisizione spagnola.
Io sono scettico sul destino della legge che regola e limita le intercettazioni e il diritto di pubblicare testi appartenenti alla privacy personale dei cittadini, anche di quelli indagati. Non c’è in Italia una ovvia caratura culturale di rispetto dei diritti della persona, sbattiamo la gente in galera per farla confessare, abbiamo le prigioni piene di piccola gente in attesa di giudizio e ne siamo fieri, abbiamo liquidato in modo truffaldino una classe dirigente che aveva fatto la Costituzione e la Repubblica, e ora ci ritroviamo con il solito andazzo corruttivo e una pletora di magistrati politicizzati con la fregola del potere. Siamo un paese impazzito. E non è lontano il giorno in cui questa legge contro le inchieste-portineria e il giornalismo-origliatore sarà stravolta al punto da consentire che tutto prosegua come prima. Ma se avessi fiducia nella possibilità di ottenere che i giornali non pubblichino più quelle trascrizioni orrende, che le notizie di reato siano configurate, salvo casi eccezionali come il solito esemplare Watergate, come notizie serie e non come aggressioni e character assassination, bè, allora scenderei in piazza, firmerei appelli, farei la buona battaglia: ma dall’altra parte, cari colleghi di Repubblica.
Sarebbe gradita una risposta, per esempio, a un semplice quesito. Chiunque legga una decina di giornali quotidiani o di settimanali stranieri, in lingua francese, tedesca e inglese, non è mai, si dica mai, mai nella vita, incappato nelle lenzuolate delle intercettazioni di cui si parla, che sono l’oggetto della contesa, che sono il succo dei pezzi e delle paginate pubblicate in italiano dai nostri giornali, e poi sceneggiate con doppiatori, nel modo più suggestivo e drammatico possibile, nelle trasmissioni televisive più sporcificanti del mondo. Mai. E perché? Perché altrove non si intercetta? Perché altrove non si delinque o non si indaga? No. Semplicemente per questo: perché altrove, anche dove esistono mafie e criminalità organizzate, anche dove accadono fenomeni di lobbying e di corruzione politica, non si usa pubblicare lenzuolate di intercettazioni come materiale per l’intorbidimento delle acque, per la grande sputtanopoli che tutto confonde in un generico e demagogico disprezzo per la vita privata delle persone pubbliche.
Un giorno Scalfari, Mauro, ma perfino i pistaroli e i cronisti in buona fede e i talk show host, si diranno allo specchio, presi da improvviso pentimento: ma abbiamo combattuto una battaglia postborbonica, ci siamo messi in girotondo per obiettivi pieni di malizia, indegni di una società civile adulta, credevamo di lottare per la verità e invece lottavamo per la più malsana delle curiosità, per il pettegolezzo calunnioso, per l’origliamento di stato, roba da piccola inquisizione spagnola.
Io sono scettico sul destino della legge che regola e limita le intercettazioni e il diritto di pubblicare testi appartenenti alla privacy personale dei cittadini, anche di quelli indagati. Non c’è in Italia una ovvia caratura culturale di rispetto dei diritti della persona, sbattiamo la gente in galera per farla confessare, abbiamo le prigioni piene di piccola gente in attesa di giudizio e ne siamo fieri, abbiamo liquidato in modo truffaldino una classe dirigente che aveva fatto la Costituzione e la Repubblica, e ora ci ritroviamo con il solito andazzo corruttivo e una pletora di magistrati politicizzati con la fregola del potere. Siamo un paese impazzito. E non è lontano il giorno in cui questa legge contro le inchieste-portineria e il giornalismo-origliatore sarà stravolta al punto da consentire che tutto prosegua come prima. Ma se avessi fiducia nella possibilità di ottenere che i giornali non pubblichino più quelle trascrizioni orrende, che le notizie di reato siano configurate, salvo casi eccezionali come il solito esemplare Watergate, come notizie serie e non come aggressioni e character assassination, bè, allora scenderei in piazza, firmerei appelli, farei la buona battaglia: ma dall’altra parte, cari colleghi di Repubblica.
«Il Foglio» del 24 maggio 2010
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