di Eugenio Bruno
Il countdown è iniziato. Entro il 21 novembre regioni ed enti locali conosceranno i beni statali in odore di dismissione e nei quattro mesi successivi se li vedranno recapitare. A prevederlo è il primo decreto attuativo sul federalismo demaniale che il Consiglio dei ministri ha approvato ieri e che oggi sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Tra la soddisfazione della Lega e l'attendismo dei sindaci: «Vedremo se è una scatola vuota o no», ha commentato l'Anci.
Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha garantito che sarà un provvedimento «economicamente neutro». Spiagge, laghi, palazzi, caserme, fari usciranno sì dalla disponibilità dello stato per entrare («a titolo non oneroso», specifica il testo) in quello di regioni, province, comuni e città metropolitane. Ma gli assegnatari si vedranno tagliare in egual misura i trasferimenti e dovranno industriarsi alla ricerca della «valorizzazione funzionale» chiesta dal decreto.
L'ammontare della "torta" non si conosce ancora. L'unico dato noto riguarda il valore del patrimonio disponibile dello stato: 3,2 miliardi tra terreni e fabbricati a cui si aggiungono 97,8 milioni di canoni riscossi per le concessioni balneari. Per l'elenco degli immobili cedibili bisognerà attendere che le amministrazioni centrali indichino le sedi di cui non vogliono disfarsi e che, entro sei mesi, un decreto del presidente del consiglio elenchi i beni e i potenziali destinatari. In ogni caso resteranno statali le strade, gli aeroporti nazionali, le reti energetiche e ferroviarie, i giacimenti petroliferi, i siti di stoccaggio del gas, i parchi naturali, le dotazioni di Quirinale, Consulta, Camere e organi di rilevanza costituzionali.
Allo stesso modo già si sa che alle regioni andranno demanio marittimo e idrico. Sebbene una parte dei canoni derivanti da quest'ultimo verrà riservata alle province che avranno le miniere e i piccoli bacini chiusi. Un destino separato attende i fiumi e i laghi di ambito «sovraregionale»: i primi rimarranno statali; i secondi passeranno alle autonomie se ci sarà un'intesa tra i governatori interessati (e il veneto Luca Zaia ieri ha già detto di puntare al lago di Garda, ndr). Sugli altri cespiti saranno privilegiati i comuni. Ammesso che abbiano i mezzi per gestirli, altrimenti si busserà ai livelli di governo superiori.
Fermo restando che la "sdemanializzazione" potrà essere decisa dallo stato (e non per il demanio idrico, marittimo e aeroportuale), i beni ceduti finiranno nel patrimonio disponibile dei destinatari. Che, dopo aver approvato l'apposita variante urbanistica, potranno anche venderli. Destinando però i proventi all'abbattimento del debito (per il 75% locale e il 25% centrale). Eventualmente, per le alienazioni potranno utilizzare fondi immobiliari aperti alla Cassa depositi e prestiti. Ma c'è una "terza via": non accettare il bene e lasciare che finisca nel fondo gestito dall'Agenzia del demanio. A cui toccherà stipulare accordi di valorizzazione con comuni, province e regioni. Tale fondo, spiega il presidente della commissione tecnica per l'attuazione Luca Antonini, fungerà da «moralizzatore del mercato dei fondi immobiliari privati».
Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha garantito che sarà un provvedimento «economicamente neutro». Spiagge, laghi, palazzi, caserme, fari usciranno sì dalla disponibilità dello stato per entrare («a titolo non oneroso», specifica il testo) in quello di regioni, province, comuni e città metropolitane. Ma gli assegnatari si vedranno tagliare in egual misura i trasferimenti e dovranno industriarsi alla ricerca della «valorizzazione funzionale» chiesta dal decreto.
L'ammontare della "torta" non si conosce ancora. L'unico dato noto riguarda il valore del patrimonio disponibile dello stato: 3,2 miliardi tra terreni e fabbricati a cui si aggiungono 97,8 milioni di canoni riscossi per le concessioni balneari. Per l'elenco degli immobili cedibili bisognerà attendere che le amministrazioni centrali indichino le sedi di cui non vogliono disfarsi e che, entro sei mesi, un decreto del presidente del consiglio elenchi i beni e i potenziali destinatari. In ogni caso resteranno statali le strade, gli aeroporti nazionali, le reti energetiche e ferroviarie, i giacimenti petroliferi, i siti di stoccaggio del gas, i parchi naturali, le dotazioni di Quirinale, Consulta, Camere e organi di rilevanza costituzionali.
Allo stesso modo già si sa che alle regioni andranno demanio marittimo e idrico. Sebbene una parte dei canoni derivanti da quest'ultimo verrà riservata alle province che avranno le miniere e i piccoli bacini chiusi. Un destino separato attende i fiumi e i laghi di ambito «sovraregionale»: i primi rimarranno statali; i secondi passeranno alle autonomie se ci sarà un'intesa tra i governatori interessati (e il veneto Luca Zaia ieri ha già detto di puntare al lago di Garda, ndr). Sugli altri cespiti saranno privilegiati i comuni. Ammesso che abbiano i mezzi per gestirli, altrimenti si busserà ai livelli di governo superiori.
Fermo restando che la "sdemanializzazione" potrà essere decisa dallo stato (e non per il demanio idrico, marittimo e aeroportuale), i beni ceduti finiranno nel patrimonio disponibile dei destinatari. Che, dopo aver approvato l'apposita variante urbanistica, potranno anche venderli. Destinando però i proventi all'abbattimento del debito (per il 75% locale e il 25% centrale). Eventualmente, per le alienazioni potranno utilizzare fondi immobiliari aperti alla Cassa depositi e prestiti. Ma c'è una "terza via": non accettare il bene e lasciare che finisca nel fondo gestito dall'Agenzia del demanio. A cui toccherà stipulare accordi di valorizzazione con comuni, province e regioni. Tale fondo, spiega il presidente della commissione tecnica per l'attuazione Luca Antonini, fungerà da «moralizzatore del mercato dei fondi immobiliari privati».
«Il Sole 24 Ore» del 20 maggio 2010
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