La difesa della vita
di Riccardo Cascioli
La mortalità materna nel mondo è in netto calo, ma qualcuno non vuole che si sappia. La prima affermazione viene da un nuovo studio condotto da ricercatori delle Università di Washington e di Brisbane, pubblicato recentemente dalla rivista medica britannica The Lancet, secondo cui le donne morte per complicazioni legate alla gravidanza e al parto sono scese a 342.900 nel 2008 dalle 526.300 del 1980.
Ancora un’enorme tragedia, per la gran parte evitabile, ma la situazione è per fortuna in miglioramento. Eppure, il direttore dello stesso Lancet, Richard Horton, ha denunciato forti pressioni per «ritardare la pubblicazione della ricerca». Horton non ha voluto fare nomi, ma ha detto che rappresentanti di organizzazioni "per la salute della donna" sono preoccupati che la pubblicità a questi "successi" possa disincentivare gli investimenti in tal senso.
In realtà, da anni statistiche non aggiornate sulla mortalità materna vengono usate in ambito delle Nazioni Unite per dimostrare la necessità di liberalizzare l’aborto come mezzo per la "maternità sicura". La ricerca pubblicata da The Lancet smentisce però questo approccio. I motivi del calo della mortalità materna vengono infatti attribuiti a diversi fattori: minori tassi di fertilità in alcuni Paesi; aumento del reddito, che si traduce in migliore nutrizione e accesso ai servizi sanitari; miglioramento nell’educazione delle donne; maggiore disponibilità di "assistenti specializzati" (persone con formazione sanitaria) per aiutare le donne durante il parto.
I ricercatori hanno analizzato la mortalità materna in 181 Paesi dal 1980 al 2008, utilizzando qualsiasi materiale disponibile per ricostruire la "storia" dei singoli Paesi. Globalmente il tasso di mortalità materna è sceso da 422 decessi (ogni 100mila parti sani) nel 1980 a 320 decessi nel 1990 fino a 251 nel 2008. Prendendo in esame il periodo 1990-2008 si vedono importanti diversità da regione a regione: al massimo miglioramento registratosi alle Maldive (un calo dell’8,8%) fa da contraltare il drastico peggioramento dello Zimbabwe (+5.5%). I tassi peggiori, non sorprendentemente, si registrano nell’Africa Sub-sahariana, ma nel 2008 oltre la metà delle donne morte per complicazioni legate alla gravidanza si è concentrata in sei Paesi: India, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo. In India e Cina comunque si sono avuti rilevanti miglioramenti, al punto che hanno contribuito in modo significativo al calo dei tassi di mortalità: in India, nel 1980 morivano 677 donne ogni 100mila parti sani; nel 2008, le morti si sono ridotte a 254. In Cina si è invece passati da 165 decessi a 40.
Un altro dato interessante messo in rilievo dalla ricerca è l’ampia porzione di decessi causati dall’Aids: almeno 60mila l’anno, il che spiega anche l’aumento dei tassi di mortalità materna in Africa orientale e meridionale. Al netto dell’infezione da Hiv, quindi, le donne morte per cause legate alla gravidanza e al parto nel 2008 sono state 281.500.
Nello studio pubblicato da The Lancet non si parla mai di aborto, ed è questo il motivo per cui la ricerca ha creato una controversia con Paesi e organizzazioni che sostengono la legalizzazione diffusa dell’aborto. La riduzione della mortalità materna di tre quarti tra il 1990 e il 2015 è infatti uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sottoscritti dai 191 Paesi delle Nazioni Unite. E finora le statistiche che davano una cifra stabile di oltre mezzo milione di donne morte ogni anno per la gravidanza sono state usate per dimostrare la necessità della legalizzazione dell’aborto all’interno del progetto "maternità sicura". I risultati della ricerca dimostrano invece quanto questo approccio sia ideologico e non supportato dai fatti. Anzi, a spulciare fra le tabelle si scopre che la liberalizzazione dell’aborto potrebbe essere un fattore aggravante della mortalità materna.
Si potrebbe ad esempio notare che Usa, Canada e Norvegia (che hanno visto un lieve aumento dei tassi) hanno tra le legislazioni più liberali in materia, ma spicca soprattutto il caso del Sud Africa. Nel 1980 il tasso di mortalità materna era di 208 decessi per 100mila parti sani: nel 1990, il tasso si è quasi dimezzato, scendendo a 121 decessi; dal 1996 il Sudafrica si è dotato di una delle legislazioni sull’aborto più permissive del Continente africano e il tasso di mortalità, che nel 2000 era già risalito a 155 morti, nel 2008 è schizzato a 237. Al contrario, i tassi di mortalità materna calano e si mantengono bassi nei Paesi dove l’aborto è fortemente limitato o proibito, come in America Latina. O come in Sri Lanka che, con una delle leggi più restrittive al mondo, ha un tasso di 30 morti per 100mila, il più basso di tutta l’Asia meridionale e del Sud Est; o come in Africa dove Mauritius tra il 1980 e il 2008 ha visto diminuire di 4 volte il tasso di mortalità, e resta 20 volte più basso di quello della pur poverissima Etiopia, il cui governo ha liberalizzato l’aborto su pressione internazionale.
Ancora un’enorme tragedia, per la gran parte evitabile, ma la situazione è per fortuna in miglioramento. Eppure, il direttore dello stesso Lancet, Richard Horton, ha denunciato forti pressioni per «ritardare la pubblicazione della ricerca». Horton non ha voluto fare nomi, ma ha detto che rappresentanti di organizzazioni "per la salute della donna" sono preoccupati che la pubblicità a questi "successi" possa disincentivare gli investimenti in tal senso.
In realtà, da anni statistiche non aggiornate sulla mortalità materna vengono usate in ambito delle Nazioni Unite per dimostrare la necessità di liberalizzare l’aborto come mezzo per la "maternità sicura". La ricerca pubblicata da The Lancet smentisce però questo approccio. I motivi del calo della mortalità materna vengono infatti attribuiti a diversi fattori: minori tassi di fertilità in alcuni Paesi; aumento del reddito, che si traduce in migliore nutrizione e accesso ai servizi sanitari; miglioramento nell’educazione delle donne; maggiore disponibilità di "assistenti specializzati" (persone con formazione sanitaria) per aiutare le donne durante il parto.
I ricercatori hanno analizzato la mortalità materna in 181 Paesi dal 1980 al 2008, utilizzando qualsiasi materiale disponibile per ricostruire la "storia" dei singoli Paesi. Globalmente il tasso di mortalità materna è sceso da 422 decessi (ogni 100mila parti sani) nel 1980 a 320 decessi nel 1990 fino a 251 nel 2008. Prendendo in esame il periodo 1990-2008 si vedono importanti diversità da regione a regione: al massimo miglioramento registratosi alle Maldive (un calo dell’8,8%) fa da contraltare il drastico peggioramento dello Zimbabwe (+5.5%). I tassi peggiori, non sorprendentemente, si registrano nell’Africa Sub-sahariana, ma nel 2008 oltre la metà delle donne morte per complicazioni legate alla gravidanza si è concentrata in sei Paesi: India, Nigeria, Pakistan, Afghanistan, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo. In India e Cina comunque si sono avuti rilevanti miglioramenti, al punto che hanno contribuito in modo significativo al calo dei tassi di mortalità: in India, nel 1980 morivano 677 donne ogni 100mila parti sani; nel 2008, le morti si sono ridotte a 254. In Cina si è invece passati da 165 decessi a 40.
Un altro dato interessante messo in rilievo dalla ricerca è l’ampia porzione di decessi causati dall’Aids: almeno 60mila l’anno, il che spiega anche l’aumento dei tassi di mortalità materna in Africa orientale e meridionale. Al netto dell’infezione da Hiv, quindi, le donne morte per cause legate alla gravidanza e al parto nel 2008 sono state 281.500.
Nello studio pubblicato da The Lancet non si parla mai di aborto, ed è questo il motivo per cui la ricerca ha creato una controversia con Paesi e organizzazioni che sostengono la legalizzazione diffusa dell’aborto. La riduzione della mortalità materna di tre quarti tra il 1990 e il 2015 è infatti uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sottoscritti dai 191 Paesi delle Nazioni Unite. E finora le statistiche che davano una cifra stabile di oltre mezzo milione di donne morte ogni anno per la gravidanza sono state usate per dimostrare la necessità della legalizzazione dell’aborto all’interno del progetto "maternità sicura". I risultati della ricerca dimostrano invece quanto questo approccio sia ideologico e non supportato dai fatti. Anzi, a spulciare fra le tabelle si scopre che la liberalizzazione dell’aborto potrebbe essere un fattore aggravante della mortalità materna.
Si potrebbe ad esempio notare che Usa, Canada e Norvegia (che hanno visto un lieve aumento dei tassi) hanno tra le legislazioni più liberali in materia, ma spicca soprattutto il caso del Sud Africa. Nel 1980 il tasso di mortalità materna era di 208 decessi per 100mila parti sani: nel 1990, il tasso si è quasi dimezzato, scendendo a 121 decessi; dal 1996 il Sudafrica si è dotato di una delle legislazioni sull’aborto più permissive del Continente africano e il tasso di mortalità, che nel 2000 era già risalito a 155 morti, nel 2008 è schizzato a 237. Al contrario, i tassi di mortalità materna calano e si mantengono bassi nei Paesi dove l’aborto è fortemente limitato o proibito, come in America Latina. O come in Sri Lanka che, con una delle leggi più restrittive al mondo, ha un tasso di 30 morti per 100mila, il più basso di tutta l’Asia meridionale e del Sud Est; o come in Africa dove Mauritius tra il 1980 e il 2008 ha visto diminuire di 4 volte il tasso di mortalità, e resta 20 volte più basso di quello della pur poverissima Etiopia, il cui governo ha liberalizzato l’aborto su pressione internazionale.
«Avvenire» del 25 maggio 2010
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