Esce la biografia della cubana odiata dal regime. Dalla scuola di partito alla rivolta via internet. La sua laurea era uno studio sull’arte nei regimi dittatoriali latinoamericani
È una lunga piazza festaiola il Malecon, il lungomare dell’Avana, dopo le sei di sera. Mulinelli di ragazze e ragazzi, benvestiti e profumati nonostante le finanze quasi nulle. Risate, chiacchiere, chitarre, anche perché di televisione non ce n’è granché e internet è una specie di miraggio: si può accedere da qualche hall di grande albergo, ma è costoso, ed è terribilmente lento. Parecchi girano lo sguardo verso Miami a pochi chilometri di distanza, dall’altra parte del mare.
Chi scrive è stato all’Avana di recente e confessa tranquillamente di non averci capito molto. C’è stato il periodo in cui Cuba era un mito, l’ombelico del mondo, almeno per i fricchettoni occidentali con la maglietta del Che. Poi Cuba è diventata il male (quasi) assoluto, il regime liberticida che affossa il dissenso: la vicenda di Orlando Zapata, l’operaio morto in cella in seguito a tre mesi di digiuno anti regime, è l’ultimo fresco esempio. Di sicuro c'è una cosa. Tra i ragazzi cubani, trentenni, ventenni o giù di lì c’è una grande voglia di fare e inventare, e le difficoltà materiali e politiche non fermano, semmai esasperano, questa vitalità. Yoani Sánchez è un notevole esempio in questo senso. La Sánchez, nata nel 1975, con il suo blog Generacion Y è diventata il simbolo del dissenso al regime castrista. È conosciuta in tutta Europa, ha vinto il premio Ortega y Gasset nel 2008, tiene una rubrica su Internazionale in cui racconta di tutto, dalle difficoltà della vita quotidiana al risveglio religioso cubano, e infine offre una buona raccolta di materiale a chi voglia farsi un’idea della vita nell’isola. In questi giorni è in uscita un libro che racconta la vicenda della Sánchez: Gordiano Lupi, Per conoscere Yoani Sánchez (edizioni Il Foglio, pagg. 194, euro 15), Lupi è un innamorato di Cuba e un sostenitore della Sánchez sin dall’inizio. Traduceva il blog della Sánchez da quando nessuno la conosceva ancora, ed è tra le persone che hanno sostenuto la pubblicazione dei suoi scritti in Italia (il libro della Sánchez, Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana, è stato pubblicato da Rizzoli l’anno scorso).
Il libro di Lupi, fatto di una parte biografica sulla Sánchez, di alcune sue interviste, di polemiche e altri materiali, è anche uno straordinario manuale sull’arte di arrangiarsi. La Sánchez, nata nella Cuba filosovietica, ha passato stazione per stazione l’intera trafila della giovane comunista: scuola di partito, campo scuola preuniversitario nelle piantagioni di banane, eccetera: prima dei quindici anni sapeva già come usare un AK 47 Kalashnikov. È diventata adulta in mezzo alle ristrettezze del «Periodo speciale», gli anni Novanta in cui, venuto meno l’appoggio sovietico, Cuba soffriva una crisi economica spaventosa il cui simbolo erano gli arpagones, i black out che a volte proseguivano per giornate intere. In quel periodo tra l’altro fu fondamentale l’apporto di valuta pregiata proveniente dalle jineteras, le prostitute locali, al punto che qualcuno di recente ha suggerito, senza ironia, che a loro fosse dedicato un monumento in una piazza della città. Laureata in filologia ispanica con una tesi provocatoria intitolata Parole sotto pressione, uno studio sulla letteratura nei regimi dittatoriali latinoamericani, la Sánchez si è procurata il primo computer portatile da un fuggiasco bisognoso di soldi per comprare un motore Chevrolet da montare sulla zattera. Yoani è legata dalla metà degli anni Novanta con il giornalista Reinaldo Escobar, e i due hanno un figlio, Teo. L’unione non è mai stata ufficializzata: «Non si tratta soltanto di un’irriverente moda postmoderna, quanto del fatto che non ha più senso contrarre matrimonio» dice la Sánchez, e spiega: «Quale differenza ci può essere tra un figlio che abbia genitori legalmente uniti oppure no, se questi ultimi non possiedono beni da trasmettere in eredità e possedimenti bisognosi di nullaosta legale?». Nel 2002 la Sánchez emigrò in Svizzera, a Zurigo per problemi economici, ma nel 2004, dato che il marito non poteva lasciare l’isola e Yoani voleva mantenere la famiglia unita, decise per il ritorno.
La storia di come Yoani Sánchez sia riuscita a mettere su un blog e a fare giornalismo on line raccontando la sua terra, il dissenso verso il governo castrista, ma anche la quotidianità e le opinioni contro l’embargo, anzi il bloqueo, a Cuba (che ad oggi non può ricevere praticamente niente dall’esterno), insomma le fette di vita e di cronaca da un posto poco conosciuto causa sovraesposizione ed eccesso di stereotipi, valgono da sole il prezzo del libro. Se la caratteristica della cosiddetta Generazione X italiana è stata il disimpegno, quella della loro Generazione Y (il blog della Sánchez si chiama così perché molte ragazze cubane nate negli anni Settanta hanno un nome che contiene la lettera Y) sembra essere quella di riuscire a superare gli steccati ideologici e politici attraverso una gran voglia di fare. E questo, atterrando all’Avana, si vede già con una passeggiata sul Malecon.
Chi scrive è stato all’Avana di recente e confessa tranquillamente di non averci capito molto. C’è stato il periodo in cui Cuba era un mito, l’ombelico del mondo, almeno per i fricchettoni occidentali con la maglietta del Che. Poi Cuba è diventata il male (quasi) assoluto, il regime liberticida che affossa il dissenso: la vicenda di Orlando Zapata, l’operaio morto in cella in seguito a tre mesi di digiuno anti regime, è l’ultimo fresco esempio. Di sicuro c'è una cosa. Tra i ragazzi cubani, trentenni, ventenni o giù di lì c’è una grande voglia di fare e inventare, e le difficoltà materiali e politiche non fermano, semmai esasperano, questa vitalità. Yoani Sánchez è un notevole esempio in questo senso. La Sánchez, nata nel 1975, con il suo blog Generacion Y è diventata il simbolo del dissenso al regime castrista. È conosciuta in tutta Europa, ha vinto il premio Ortega y Gasset nel 2008, tiene una rubrica su Internazionale in cui racconta di tutto, dalle difficoltà della vita quotidiana al risveglio religioso cubano, e infine offre una buona raccolta di materiale a chi voglia farsi un’idea della vita nell’isola. In questi giorni è in uscita un libro che racconta la vicenda della Sánchez: Gordiano Lupi, Per conoscere Yoani Sánchez (edizioni Il Foglio, pagg. 194, euro 15), Lupi è un innamorato di Cuba e un sostenitore della Sánchez sin dall’inizio. Traduceva il blog della Sánchez da quando nessuno la conosceva ancora, ed è tra le persone che hanno sostenuto la pubblicazione dei suoi scritti in Italia (il libro della Sánchez, Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana, è stato pubblicato da Rizzoli l’anno scorso).
Il libro di Lupi, fatto di una parte biografica sulla Sánchez, di alcune sue interviste, di polemiche e altri materiali, è anche uno straordinario manuale sull’arte di arrangiarsi. La Sánchez, nata nella Cuba filosovietica, ha passato stazione per stazione l’intera trafila della giovane comunista: scuola di partito, campo scuola preuniversitario nelle piantagioni di banane, eccetera: prima dei quindici anni sapeva già come usare un AK 47 Kalashnikov. È diventata adulta in mezzo alle ristrettezze del «Periodo speciale», gli anni Novanta in cui, venuto meno l’appoggio sovietico, Cuba soffriva una crisi economica spaventosa il cui simbolo erano gli arpagones, i black out che a volte proseguivano per giornate intere. In quel periodo tra l’altro fu fondamentale l’apporto di valuta pregiata proveniente dalle jineteras, le prostitute locali, al punto che qualcuno di recente ha suggerito, senza ironia, che a loro fosse dedicato un monumento in una piazza della città. Laureata in filologia ispanica con una tesi provocatoria intitolata Parole sotto pressione, uno studio sulla letteratura nei regimi dittatoriali latinoamericani, la Sánchez si è procurata il primo computer portatile da un fuggiasco bisognoso di soldi per comprare un motore Chevrolet da montare sulla zattera. Yoani è legata dalla metà degli anni Novanta con il giornalista Reinaldo Escobar, e i due hanno un figlio, Teo. L’unione non è mai stata ufficializzata: «Non si tratta soltanto di un’irriverente moda postmoderna, quanto del fatto che non ha più senso contrarre matrimonio» dice la Sánchez, e spiega: «Quale differenza ci può essere tra un figlio che abbia genitori legalmente uniti oppure no, se questi ultimi non possiedono beni da trasmettere in eredità e possedimenti bisognosi di nullaosta legale?». Nel 2002 la Sánchez emigrò in Svizzera, a Zurigo per problemi economici, ma nel 2004, dato che il marito non poteva lasciare l’isola e Yoani voleva mantenere la famiglia unita, decise per il ritorno.
La storia di come Yoani Sánchez sia riuscita a mettere su un blog e a fare giornalismo on line raccontando la sua terra, il dissenso verso il governo castrista, ma anche la quotidianità e le opinioni contro l’embargo, anzi il bloqueo, a Cuba (che ad oggi non può ricevere praticamente niente dall’esterno), insomma le fette di vita e di cronaca da un posto poco conosciuto causa sovraesposizione ed eccesso di stereotipi, valgono da sole il prezzo del libro. Se la caratteristica della cosiddetta Generazione X italiana è stata il disimpegno, quella della loro Generazione Y (il blog della Sánchez si chiama così perché molte ragazze cubane nate negli anni Settanta hanno un nome che contiene la lettera Y) sembra essere quella di riuscire a superare gli steccati ideologici e politici attraverso una gran voglia di fare. E questo, atterrando all’Avana, si vede già con una passeggiata sul Malecon.
«Il Giornale» del 18 maggio 2010
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