Inchieste, informazione, presunzione d'innocenza
di Francesco D'Agostino
Seguire i dibattiti politici e partitici in merito alla proposta di legge sulle intercettazioni si sta rivelando sempre più faticoso. La maggioranza stenta a esplicitare in modo convincente le sue ragioni e dà sempre più l’impressione che voglia legiferare solo per coprire interessi personali o di gruppo.
L’opposizione, a sua volta, si oppone alla legge esasperando indebitamente i toni del dibattito, quasi che ci sia da temere un ritorno al fascismo o lo strangolamento di ogni attività di indagine giudiziaria. Il risultato è che, ancora una volta, l’opinione pubblica rimane frastornata e non riesce a farsi un’idea chiara della sostanza della questione, che, pur essendo relativamente semplice, è vistosamente deformata dall’uso di troppi argomenti pretestuosi.
È vero che questa nuova legge sia una minaccia per la libertà (e per quella di stampa in particolare)? È indubbiamente vero che essa vuole introdurre nuovi divieti e quindi nuove forme di responsabilità penale. Ma questo non è un connotato esclusivo di leggi autoritarie o addirittura liberticide; è (ci piaccia o no) il connotato di qualsiasi legge che voglia tutelare le libertà civili. Se voglio che la mia sicurezza personale sia garantita, sarà necessaria una legge che proibisca ai cittadini di girare per strada con le armi in tasca. Se voglio garantire l’ecosistema, sarà necessario proibire o almeno limitare che alcuni cittadini pratichino caccia e pesca indiscriminate. Se voglio garantire l’eguaglianza e la dignità delle persone, devo severamente proibire a tutti di porre in essere pratiche discriminatorie, diffamatorie... Insomma, la vecchia idea che debba essere 'vietato vietare' o che possano esistere leggi esclusivamente permissive e non proibitive è infantile (o ipocrita): la legge può ben avere il dovere di limitare la libertà, purché lo faccia per ragioni adeguate e nel rispetto dei principi costituzionali. Questo è il cuore del problema.
Esistono motivazioni che possano giustificare in modo ovviamente adeguato un limite, anche drastico, alle intercettazioni e alla loro pubblicazione? Certamente sì: esse si riassumono nel principio costitutivo del diritto penale moderno (purché lo si voglia prendere sul serio) e di ogni libertà civile: la presunzione di innocenza di chi sia non solo sospettato, ma anche indiziato o addirittura formalmente imputato di reato. È intollerabile, perché segno di inaccettabile ipocrisia, continuare a rendere omaggio al garantismo penale e nello stesso tempo svuotarlo dal di dentro di ogni significato tollerando la divulgazione indiscriminata di notizie che violano la privacy individuale.
Che le intercettazioni siano utilissime ai fini delle indagini penali è evidente, così come è evidente che esse sono irrinunciabili. Ma è altrettanto evidente che l’uso soprattutto mediatico che ne viene fatto ormai da anni non sempre è finalizzato all’ accertamento della verità, ma è volto a produrre (intenzionalmente o meno, questo è irrilevante ai fini di questo discorso) una vera e propria distruzione dell’immagine del cittadino al cospetto dell’opinione pubblica. Se concordiamo col diritto penale moderno, quando sostiene che è meglio un colpevole impunito che un innocente sanzionato, dobbiamo ammettere che la sanzione mediatica cui continuano a essere sottoposti fin troppi cittadini è semplicemente intollerabile.
Quanto detto non implica naturalmente che si debbano proibire in modo ottuso tutte le intercettazioni (o introdurre modalità che le rendano inutili o quasi) e nemmeno che vada interdetta la loro pubblicazione.
Significa semplicemente che bisogna elaborare tecniche per difendere adeguatamente la privacy dei cittadini intercettati e inquisiti. È del tutto legittimo criticare il disegno di legge del governo, ma bisogna riconoscere che le sue istanze di principio sono fondate. Spiace vedere tanti politici e tanti giuristi impegnati eludere il cuore del problema, quello di individuare quali possano essere le tecniche ottimali per una concreta difesa della presunzione di innocenza.
Perché, la lotta contro la criminalità deve restare in primissimo piano, ma quantomeno allo stesso livello d’importanza deve essere posta la lotta per il diritto, cioè per la tutela degli innocenti contro ogni forma di diffamazione e umiliazione mediatica: è su questo punto, prima che su ogni altro, che si gioca oggi l’autenticità della democrazia.
L’opposizione, a sua volta, si oppone alla legge esasperando indebitamente i toni del dibattito, quasi che ci sia da temere un ritorno al fascismo o lo strangolamento di ogni attività di indagine giudiziaria. Il risultato è che, ancora una volta, l’opinione pubblica rimane frastornata e non riesce a farsi un’idea chiara della sostanza della questione, che, pur essendo relativamente semplice, è vistosamente deformata dall’uso di troppi argomenti pretestuosi.
È vero che questa nuova legge sia una minaccia per la libertà (e per quella di stampa in particolare)? È indubbiamente vero che essa vuole introdurre nuovi divieti e quindi nuove forme di responsabilità penale. Ma questo non è un connotato esclusivo di leggi autoritarie o addirittura liberticide; è (ci piaccia o no) il connotato di qualsiasi legge che voglia tutelare le libertà civili. Se voglio che la mia sicurezza personale sia garantita, sarà necessaria una legge che proibisca ai cittadini di girare per strada con le armi in tasca. Se voglio garantire l’ecosistema, sarà necessario proibire o almeno limitare che alcuni cittadini pratichino caccia e pesca indiscriminate. Se voglio garantire l’eguaglianza e la dignità delle persone, devo severamente proibire a tutti di porre in essere pratiche discriminatorie, diffamatorie... Insomma, la vecchia idea che debba essere 'vietato vietare' o che possano esistere leggi esclusivamente permissive e non proibitive è infantile (o ipocrita): la legge può ben avere il dovere di limitare la libertà, purché lo faccia per ragioni adeguate e nel rispetto dei principi costituzionali. Questo è il cuore del problema.
Esistono motivazioni che possano giustificare in modo ovviamente adeguato un limite, anche drastico, alle intercettazioni e alla loro pubblicazione? Certamente sì: esse si riassumono nel principio costitutivo del diritto penale moderno (purché lo si voglia prendere sul serio) e di ogni libertà civile: la presunzione di innocenza di chi sia non solo sospettato, ma anche indiziato o addirittura formalmente imputato di reato. È intollerabile, perché segno di inaccettabile ipocrisia, continuare a rendere omaggio al garantismo penale e nello stesso tempo svuotarlo dal di dentro di ogni significato tollerando la divulgazione indiscriminata di notizie che violano la privacy individuale.
Che le intercettazioni siano utilissime ai fini delle indagini penali è evidente, così come è evidente che esse sono irrinunciabili. Ma è altrettanto evidente che l’uso soprattutto mediatico che ne viene fatto ormai da anni non sempre è finalizzato all’ accertamento della verità, ma è volto a produrre (intenzionalmente o meno, questo è irrilevante ai fini di questo discorso) una vera e propria distruzione dell’immagine del cittadino al cospetto dell’opinione pubblica. Se concordiamo col diritto penale moderno, quando sostiene che è meglio un colpevole impunito che un innocente sanzionato, dobbiamo ammettere che la sanzione mediatica cui continuano a essere sottoposti fin troppi cittadini è semplicemente intollerabile.
Quanto detto non implica naturalmente che si debbano proibire in modo ottuso tutte le intercettazioni (o introdurre modalità che le rendano inutili o quasi) e nemmeno che vada interdetta la loro pubblicazione.
Significa semplicemente che bisogna elaborare tecniche per difendere adeguatamente la privacy dei cittadini intercettati e inquisiti. È del tutto legittimo criticare il disegno di legge del governo, ma bisogna riconoscere che le sue istanze di principio sono fondate. Spiace vedere tanti politici e tanti giuristi impegnati eludere il cuore del problema, quello di individuare quali possano essere le tecniche ottimali per una concreta difesa della presunzione di innocenza.
Perché, la lotta contro la criminalità deve restare in primissimo piano, ma quantomeno allo stesso livello d’importanza deve essere posta la lotta per il diritto, cioè per la tutela degli innocenti contro ogni forma di diffamazione e umiliazione mediatica: è su questo punto, prima che su ogni altro, che si gioca oggi l’autenticità della democrazia.
«Avvenire» del 23 maggio 2010
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