La scoperta del biologo americano Venter dimostra come anche la scienza sia diventata opinabile: dati sperimentali e test di laboratorio contano sempre meno. Così oggi ci si divide in fazioni per accaparrarsi i finanziamenti
di Nino Materi
La creazione da parte di Craig Venter della «cellula artificiale» dimostra clamorosamente che la scienza «non esiste più». Almeno «non esiste più» nell’accezione classica con cui la società l’ha sempre percepita (o ha creduto di percepirla): vale a dire come una disciplina certa, dove non c’è spazio per personali punti di vista; dove a dettare legge sono dati sicuri, inoppugnabili, frutto di sperimentazioni e test di laboratorio.
Invece dopo l’annuncio di Venter abbiamo scoperto che alla vecchia scienza fondata sul dogma del calcolo si è ormai sostituita una moderna scienza di «opinione». Come se fosse possibile una scienza vista da sinistra, una scienza vista da destra e una scienza vista da centro; l’assemblaggio batterico operato da Venter ha così inaugurato l’epopea del manuale Cencelli del Dna.
Il risultato è sconcertante. Da una parte gli scienziati pro-Venter in estasi per «l’inizio dell’era della biologia sintetica», dall’altra gli scienziati anti-Venter che denunciano il «grande bluff del genoma computerizzato». In mezzo ci sono i mezzi di comunicazione che, in mancanza di competenze specifiche, si fanno tirare per la giacchetta dalle opposte fazioni. Sì, opposte fazioni, perché la ricerca scientifica è ormai diventata una guerra per bande all’assalto della diligenza dei finanziamenti: fondi che, in tutto il mondo, sono sempre più ridotti e, proprio per questo, sempre più difficili da conquistare.
L’americano Craig Venter è la rappresentazione plastica di questa realtà: in lui si incarna infatti la nuova (e inquietante) figura di scienziato-imprenditore: centauro metà biologo, metà businessman. La sua Synthetic Genomics è una gallina dalle uova d’oro che si nutre di becchime altrettanto prezioso. Due numeri, tanto per capirci: per l’operazione Dna-biotech quel furbacchione di Venter ha già incassato 50 milioni di dollari e stipulato (con la multinazionale farmaceutica Exxon) commesse per 600 milioni di dollari. È ovvio che queste somme fanno andare fuori di testa gli scienziati concorrenti che quindi denigrano le ricerche di Venter, sperando di accaparrarsi una fetta della torta; chi invece con questa torta già pasteggia lautamente, ha tutto l’interesse a glorificare il «miracolo» di Venter. Opposti estremismi in chiave scientifica dove - più che l’interesse per il progresso dell’umanità - a interessare è l’orticello del proprio laboratorio.
Non si spiegherebbero altrimenti le dichiarazioni, piuttosto divergenti, fatte da illustri scienziati su un evento che - almeno da un punto di vista tecnico - dovrebbero essere concordi. Invece no. Ognuno legge la scoperta di Venter a modo suo. Per il biologo Angelo Vescovi, quella del suo collega americano, non sarebbe neppure una scoperta scientifica. Oibò, è adesso chi lo dice al genetista Giuseppe Novelli secondo il quale la scoperta di Venter rappresenta «un traguardo fondamentale dell’ingegneria genetica, non solo per possibili risvolti applicativi, ma anche perché segna la tappa iniziale dell’era post-genomica»?
Una stoccata a Venter viene pure dal Nobel per la Medicina nel 1975, Renato Dulbecco: «Non è chiaro come Venter abbia superato l’ostacolo di trasformare il Dna artificiale da conglomerato di sostanze chimiche a motore della vita di una cellula...». Ma allora se nell’operazione di Venter ci sono aspetti «non chiari», come mai il professor Paolo Vezzoni ha detto che quello fatto da Venter è «un passo importante, come dire è andato su Marte. Una pietra miliare...»?
Visioni contraddittorie anche tra il genetista Bruno Dalla Piccola («Si tratta di una creazione affascinante ma che è lontana dalla possibilità di produrre vita a tutti gli effetti, una persona insomma...») e il premio Nobel Rita Levi Montalcini («La scoperta di Venter è una grande conquista tecnologica che apre ampi orizzonti per altre funzioni e per la cura di gravi malattie...»).
Dovranno mettersi d’accordo pure il professor Edoardo Boncinelli («Il traguardo raggiunto da Venter nella creazione della prima cellula artificiale è importante, non solo perché apre le porte alla creazione di “batteri-operai” non esistenti in natura, ma anche perché dimostra in modo definitivo che la vita in sé non ha nulla di misterioso che vada oltre il Dna...») e il neurofisiologo Pietro Calissano («Ogni mio studente è in grado di introdurre una piccola modifica genetica in una cellula... Venter ha introdotto migliaia di geni tutti insieme e geni tali da influenzare il suo riprodursi...»).
Miracolo o bluff? Né l’uno né l’altro. Ma sui giornali - questo - non sarebbe certo un gran titolo.
Invece dopo l’annuncio di Venter abbiamo scoperto che alla vecchia scienza fondata sul dogma del calcolo si è ormai sostituita una moderna scienza di «opinione». Come se fosse possibile una scienza vista da sinistra, una scienza vista da destra e una scienza vista da centro; l’assemblaggio batterico operato da Venter ha così inaugurato l’epopea del manuale Cencelli del Dna.
Il risultato è sconcertante. Da una parte gli scienziati pro-Venter in estasi per «l’inizio dell’era della biologia sintetica», dall’altra gli scienziati anti-Venter che denunciano il «grande bluff del genoma computerizzato». In mezzo ci sono i mezzi di comunicazione che, in mancanza di competenze specifiche, si fanno tirare per la giacchetta dalle opposte fazioni. Sì, opposte fazioni, perché la ricerca scientifica è ormai diventata una guerra per bande all’assalto della diligenza dei finanziamenti: fondi che, in tutto il mondo, sono sempre più ridotti e, proprio per questo, sempre più difficili da conquistare.
L’americano Craig Venter è la rappresentazione plastica di questa realtà: in lui si incarna infatti la nuova (e inquietante) figura di scienziato-imprenditore: centauro metà biologo, metà businessman. La sua Synthetic Genomics è una gallina dalle uova d’oro che si nutre di becchime altrettanto prezioso. Due numeri, tanto per capirci: per l’operazione Dna-biotech quel furbacchione di Venter ha già incassato 50 milioni di dollari e stipulato (con la multinazionale farmaceutica Exxon) commesse per 600 milioni di dollari. È ovvio che queste somme fanno andare fuori di testa gli scienziati concorrenti che quindi denigrano le ricerche di Venter, sperando di accaparrarsi una fetta della torta; chi invece con questa torta già pasteggia lautamente, ha tutto l’interesse a glorificare il «miracolo» di Venter. Opposti estremismi in chiave scientifica dove - più che l’interesse per il progresso dell’umanità - a interessare è l’orticello del proprio laboratorio.
Non si spiegherebbero altrimenti le dichiarazioni, piuttosto divergenti, fatte da illustri scienziati su un evento che - almeno da un punto di vista tecnico - dovrebbero essere concordi. Invece no. Ognuno legge la scoperta di Venter a modo suo. Per il biologo Angelo Vescovi, quella del suo collega americano, non sarebbe neppure una scoperta scientifica. Oibò, è adesso chi lo dice al genetista Giuseppe Novelli secondo il quale la scoperta di Venter rappresenta «un traguardo fondamentale dell’ingegneria genetica, non solo per possibili risvolti applicativi, ma anche perché segna la tappa iniziale dell’era post-genomica»?
Una stoccata a Venter viene pure dal Nobel per la Medicina nel 1975, Renato Dulbecco: «Non è chiaro come Venter abbia superato l’ostacolo di trasformare il Dna artificiale da conglomerato di sostanze chimiche a motore della vita di una cellula...». Ma allora se nell’operazione di Venter ci sono aspetti «non chiari», come mai il professor Paolo Vezzoni ha detto che quello fatto da Venter è «un passo importante, come dire è andato su Marte. Una pietra miliare...»?
Visioni contraddittorie anche tra il genetista Bruno Dalla Piccola («Si tratta di una creazione affascinante ma che è lontana dalla possibilità di produrre vita a tutti gli effetti, una persona insomma...») e il premio Nobel Rita Levi Montalcini («La scoperta di Venter è una grande conquista tecnologica che apre ampi orizzonti per altre funzioni e per la cura di gravi malattie...»).
Dovranno mettersi d’accordo pure il professor Edoardo Boncinelli («Il traguardo raggiunto da Venter nella creazione della prima cellula artificiale è importante, non solo perché apre le porte alla creazione di “batteri-operai” non esistenti in natura, ma anche perché dimostra in modo definitivo che la vita in sé non ha nulla di misterioso che vada oltre il Dna...») e il neurofisiologo Pietro Calissano («Ogni mio studente è in grado di introdurre una piccola modifica genetica in una cellula... Venter ha introdotto migliaia di geni tutti insieme e geni tali da influenzare il suo riprodursi...»).
Miracolo o bluff? Né l’uno né l’altro. Ma sui giornali - questo - non sarebbe certo un gran titolo.
«Il Giornale» del 23 maggio 2010
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