Martedì a Viareggio, invitati dal Vieusseux, studiosi a confronto su uno dei personaggi più rappresentativi del secondo Novecento
di Paolo Di Stefano
Scoperti cinque taccuini inediti: il laboratorio dell’autore di «Per le antiche scale»
C’era una volta Mario Tobino, medico, scrittore e poeta nato a Viareggio nel 1910. Tra il ‘40 e il ‘41 combatté sul fronte libico e partecipò alla Resistenza in Versilia prima di diventare medico e poi primario nell’ospedale psichiatrico provinciale di Magliano, presso Lucca. Morì a 81 anni. E’ improbabile che il suo nome riesca a evocare qualcosa alle nuove generazioni. Eppure, nonostante il declino editoriale (i suoi libri sono pressoché introvabili), qualche pagina gli viene ancora dedicata nelle storie letterarie e nelle antologie scolastiche (la storia resistenziale è ben più viva nella narrativa che nei manuali: e chissà se Storace andrà a guardarsi anche le antologie...).
Il nome di Tobino figura sotto la voce «realismo toscano», accanto a quelli di Cassola, Benedetti e Petroni. Tutti, in qualche modo, parenti di Tozzi e Bilenchi. Ora però, per iniziativa del Gabinetto Vieusseux, lo psichiatra versiliano torna per qualche giorno alla ribalta, grazie a un convegno in programma il 21 novembre nella sua città natale (vi parteciperanno, tra gli altri, Enzo Siciliano, Cesare Garboli, Eraldo Affinati. Nessuna ricorrenza, ma qualcosa di più. L’archivio dello scrittore (circa 2500 documenti), conservato dal ‘96 nel centro di studi fiorentino, verrà finalmente riordinato (è stato disposto, per l’occasione, il bando di una borsa di studio). Non è un caso che l’esordio di Tobino avvenga sotto il segno della poesia, perché tutta la sua prosa successiva sarà orientata verso una sorta di lirismo testimoniale se non autobiografico. Un lirismo ben temperato dalla precisione «scientifica» del racconto: «Il fatto di non essere umanista di mestiere - scrisse Contini - ha probabilmente agevolato a Tobino il compito di essere "primitivo" nell’esattezza del referto». Questa esattezza, unita a uno spirito vitale e a tratti tumultuoso, gli servirà per narrare le condizioni di vita dei soldati nella guerra di Libia (Il deserto della Libia, una sorta di diario apparso nel 1952), l’ambiente medico ai tempi del fascismo (Bandiera nera, 1950), la sofferenza dei folli e dei «diversi» (Le libere donne di Magliano, 1953 e Per le antiche scale, 1972), l’abbandono istituzionale in cui giacciono i malati di mente (Gli ultimi giorni di Magliano, 1982), i luoghi materni (La brace dei Biassoli, 1956). E soprattutto per rievocare la Resistenza versiliana (Il clandestino, 1962).
Libri sempre diversi l’uno dall’altro, perché la libertà rispetto ai canoni costituiti svincola Tobino dalle solide e solite strutture romanzesche, imponendogli forme più duttili, reinventate volta per volta. Le pagine che pubblichiamo a fianco sono tratte da un bloc notes che Tobino era solito portare con sé per annotare episodi di vita quotidiana e tratteggiare fulminei ritratti di persone incontrate nei suoi viaggi in treno o al porto di Viareggio, dove spesso amava passeggiare (forse la dote migliore di Tobino è proprio nella potente capacità di ritrarre personaggi e comunità umane: le «matte» di Magliano, i medici corrotti, i partigiani, eccetera). I bloc notes, cinque in totale, sono tra le carte conservate nell’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Vieusseux.
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«Il genio può dialogare anche con l’animo del pazzo»
di Mario Tobino
di Mario Tobino
I brani che pubblichiamo sono tratti dai bloc notes che Mario Tobino era solito portare con sé per annotare episodi di vita quotidiana o tratteggiare brevi ritratti di persone per lo più incontrate nei viaggi in treno o al porto di Viareggio, dove si recava abitualmente. Vi si trovano anche pensieri e riflessioni o abbozzi di poesie. I bloc notes, in totale cinque, appartengono oggi al Fondo Tobino conservato a Firenze, presso l’archivio «Alessandro Bonsanti» del gabinetto Vieusseux.
In treno metto fuori un giornale e uno studente mi guarda meravigliato, ci conosciamo appena, mi dice dopo aver indagato con due occhi divenuti vivissimi sul mio volto, - È tanto che ti occupi di queste cose? - e si mette a parlare a interrogare, mi confessa poi che non credeva, non mi stimava - chissà, vedi, avevo un pregiudizio: che chi si occupa di queste cose debba essere pallido e la disgrazia gli si legga nel volto - e sorridendo mostra le gengive bianche come fossero bagnate dal latte invece che dal sangue. Salgo a Pisa sul diretto Roma Torino mentre scorro il corridoio da uno scompartimento mi chiama allegro un mio vecchio amico che traffica a Roma e cento ne guadagna duegento ne spende, un ragazzone che di tutto si meraviglia e cammina senza pensare. Nello scompartimento c’è anche una bella donna e ci mettiamo a parlare: la signora ha gli occhi neri, la bocca morbida e vogliosa, la carne mora, l’espressione franca e una bellissima voce, infatti poi dice che è una cantante e viene da Malta. Malta! e mentre parla di questa isola le brillano gli occhi e diventa più bella: - quegli isolani sono bambini come una volta alla stazione con i fiori ... e poi feste, sempre primavera, dovevo starci due settimane e sono rimasta quattro mesi, il tempo è passato in un baleno, che bellezza! - e inghiotte la saliva e sorride come per comunicarci la gioia di vivere; sembra una ragazzona che torna da una gita in campagna durante la quale ha dato sfogo a quella che gli insipidi chiamano mattia correndo per i prati, lungo i solchi, si è sdraiata al sole, ha mangiato la frutta avidamente affondando i denti nella polpa. Io non avevo idee sulle cantanti eppure mai avrei immaginato di trovarne una franca e allegrona come questa. Il genio conosce di ogni uomo miserie e allegrie e se l’animo è rachitico o con ali di pappagallo, o grigiamente mediocre, o se tende al divino, oppure se pratico cioè tutto fermo alle cose della terra; conoscendo ogni uomo il genio, se vuole, con tutti può trattare abbassandosi fino a parlare con l’animo del rachitico ed anche può parlare con l’animo del pazzo, uscendo cioè fuori dalle leggi, come mente non esistesse creando un’altra armonia, per così dire, un’armonia infernale. Si camminava oggi sulla sponda di un fiume e ogni tanto ci si fermava per gareggiare nel tiro della piastrella, gioco innocente che consiste nel far saltare sul filo dell’acqua una ghiaia ciatta e levigata; e uno si ricordò della giovinezza e disse che era allegria. Allora un altro disse: - La giovinezza è data dal non aver preoccupazioni. Ci fu anche uno che disse la giovinezza essere il corpo e la mente sani e dunque gioiosa armonia - e un altro che la giovinezza non esisteva ma la vera giovinezza cominciava dalla morte. Ci fu poi anche uno che disse: - La giovinezza è il desiderio di eroismo e l’eroismo stesso - Questa considerazione creò il silenzio e riprendemmo a gareggiare nel tiro della piastrella.
«Corriere della Sera» del 18 novembre 2000
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