La Grande Sorella
di Annalena Benini
Il Parlamento ha approvato l’emendamento per l’istituzione di un osservatorio sulla rappresentazione femminile nel servizio pubblico radiotelevisivo, “finalizzato anche al superamento di stucchevoli stereotipi che ormai ingolfano i media italiani”, ha scritto Giovanna Melandri, deputato del Pd in commissione di Vigilanza. Un posto dove si controllano gli spacchi delle gonne e i balletti Rai delle ragazze, una stanza dove giorno e notte osservatori monitorano le labbra a canotto, determinano la quantità massima di tette esponibili e la grandezza minima dei costumi indossati dalle concorrenti dell’Isola dei famosi.
Secondo Giovanna Melandri “è iniziata una rivoluzione”, una battaglia di civiltà e di libertà, in nome di una rinascita culturale ed educativa. Le intenzioni sono salvifiche: liberare le donne dall’inzoccolimento estetico, rispondere agli appelli delle filosofe contro la mercificazione del corpo femminile, la riduzione a oggetto desiderabile, la discriminazione ideale fra pupe e secchioni. A parte che nessuna Alba Parietti, per citare il capo carismatico (il più pudico) del genere televisivo protagonista dei documentari sul corpo delle donne, vorrebbe essere salvata, anzi sarebbe pronta a uccidere appena le venisse spiegato che l’evanescenza di quelle mutande arresta il cammino della dignità femminile. Ma un osservatorio cosa fa, osserva e basta e redige schede con bocciature morali o infligge punizioni, multe, maglioni a collo alto?
Come nel 1959, quando Jula de Palma cantò a Sanremo: “Tua, tra le braccia tue solamente tua, così tua, finalmente tua”, e la censurarono, dissero che quel vestito sembrava una camicia da notte, che lei cantava come se fosse in camera da letto e che tutto l’insieme era scandaloso. O come quando Ettore Bernabei levò le gonne alle gemelle Kessler ma le coprì con calze spesse otto centimetri per non turbare troppo i mariti a casa. Molta strada è stata fatta da allora, in nome della libertà, tanto che adesso Michela Marzano e le altre pensatrici incitano alla rivolta reazionaria. L’osservatorio dovrebbe vietare i film di Totò, avanspettacolo puro, dovrebbe chiedere a Monica Setta di coprirsi prima di andare in onda, dovrebbe infilarsi nell’opinionismo e nei décolleté della domenica pomeriggio, dovrebbe proibire il botulino oltre certe drammatiche soglie che omologano le donne e le rendono indistinguibili le une dalle altre, dovrebbe entrare anche nel salotto di Bruno Vespa e chiedere alle signore di sottrarsi a “certi stucchevoli stereotipi”, tipo parlare di silicone.
Dovrebbe insomma impedire alle donne di fare come vogliono, anche di copiare dalle incredibili Pupe della televisione commerciale (a una Pupa seminuda è stata mostrata una foto di Massimo D’Alema: “Chi è?”, “Veltroni”, e una di Antonio Di Pietro: “Chi è?”, “Ha fatto i Cesaroni?”`, “Come si chiama il maschio della pecora?”, “Pecorino!”). Un osservatorio così potrebbe ottenere grandi risultati e ottime censure, ma tutte le Pupe del paese sono già pronte ad appellarsi al primo emendamento.
Secondo Giovanna Melandri “è iniziata una rivoluzione”, una battaglia di civiltà e di libertà, in nome di una rinascita culturale ed educativa. Le intenzioni sono salvifiche: liberare le donne dall’inzoccolimento estetico, rispondere agli appelli delle filosofe contro la mercificazione del corpo femminile, la riduzione a oggetto desiderabile, la discriminazione ideale fra pupe e secchioni. A parte che nessuna Alba Parietti, per citare il capo carismatico (il più pudico) del genere televisivo protagonista dei documentari sul corpo delle donne, vorrebbe essere salvata, anzi sarebbe pronta a uccidere appena le venisse spiegato che l’evanescenza di quelle mutande arresta il cammino della dignità femminile. Ma un osservatorio cosa fa, osserva e basta e redige schede con bocciature morali o infligge punizioni, multe, maglioni a collo alto?
Come nel 1959, quando Jula de Palma cantò a Sanremo: “Tua, tra le braccia tue solamente tua, così tua, finalmente tua”, e la censurarono, dissero che quel vestito sembrava una camicia da notte, che lei cantava come se fosse in camera da letto e che tutto l’insieme era scandaloso. O come quando Ettore Bernabei levò le gonne alle gemelle Kessler ma le coprì con calze spesse otto centimetri per non turbare troppo i mariti a casa. Molta strada è stata fatta da allora, in nome della libertà, tanto che adesso Michela Marzano e le altre pensatrici incitano alla rivolta reazionaria. L’osservatorio dovrebbe vietare i film di Totò, avanspettacolo puro, dovrebbe chiedere a Monica Setta di coprirsi prima di andare in onda, dovrebbe infilarsi nell’opinionismo e nei décolleté della domenica pomeriggio, dovrebbe proibire il botulino oltre certe drammatiche soglie che omologano le donne e le rendono indistinguibili le une dalle altre, dovrebbe entrare anche nel salotto di Bruno Vespa e chiedere alle signore di sottrarsi a “certi stucchevoli stereotipi”, tipo parlare di silicone.
Dovrebbe insomma impedire alle donne di fare come vogliono, anche di copiare dalle incredibili Pupe della televisione commerciale (a una Pupa seminuda è stata mostrata una foto di Massimo D’Alema: “Chi è?”, “Veltroni”, e una di Antonio Di Pietro: “Chi è?”, “Ha fatto i Cesaroni?”`, “Come si chiama il maschio della pecora?”, “Pecorino!”). Un osservatorio così potrebbe ottenere grandi risultati e ottime censure, ma tutte le Pupe del paese sono già pronte ad appellarsi al primo emendamento.
«Il Foglio» del 30 maggio 2010
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