Quello che manca adesso è solo costruire artificialmente anche la cellula che ospita il Dna
di Edoardo Boncinelli
Passando direttamente dal computer alla cellula, il Dna può creare una nuova identità cellulare in una cellula che ne aveva già una. La specificità della vita sta nella sequenza nucleotidica della corrispondente molecola di Dna, molecola che può essere sintetizzata chimicamente partendo dalla sua struttura conservata in un computer. Questo in sintesi è il messaggio limpido e lineare dell’ultimo esperimento di Craig Venter, che ha in verità più un’importanza teorica che pratica. Il Dna dirige in prima persona tutte le operazioni dell’organismo, unicellulare o pluricellulare, compresa quella di assegnargli un’identità.
Questa è storia vecchia e abbastanza evidente per i biologi di oggi, ma ancora dura a penetrare nell’immaginario dell’uomo della strada, anche colto. Perché la vita sembra possedere sempre qualcosa di magico o di mistico, qualcosa di non riducibile a semplici giochi di molecole. Ogni annuncio di una creazione artificiale di una vita riceve in genere commenti ironici e si accusa lo sperimentatore di fare affermazioni avventate. Fra questi sperimentatori arditi ma non avventati figura certamente Craig Venter che ama gli annunci clamorosi, e anche un po' il paradosso, ma che conosce di sicuro il fatto suo e che dirige un'équipe di ricercatori di tutto rispetto. Costoro erano già riusciti a far cambiare specie a un batterio inserendoci il Dna di un altro batterio. Ciò significa che, anche se all'inizio il nuovo Dna si trova in un ambiente non suo, cioè in una cellula batterica di una specie diversa, dopo pochi minuti questo Dna ha saputo dirigere la sintesi ex novo di tutte le sostanze, in primo luogo proteine, che costituiscono la nuova cellula.
Questa operazione è stata compiuta per gradi negli ultimi due o tre anni, vincendo enormi difficoltà tecniche e grandi resistenze psicologiche. In particolare, l'ultimo passo è stato, molto di recente, il trasferimento di un Dna da un batterio a un altro, ma dopo essere passato per la cellula di un fungo. L’idea era quindi quella di essere sicuri che il Dna si fosse «ripulito» di ogni possibile contaminante prima di essere trasferito. Ci si voleva accertare cioè che fosse quasi «nudo». Ma forse non nudo del tutto, avrebbe commentato qualcuno. Ecco allora l’ultimo esperimento, quello che stiamo commentando. Il Dna non viene estratto da nessuna parte, ma viene sintetizzato chimicamente, nucleotide per nucleotide, a partire da una sequenza immagazzinata in un computer e lunga più di un milione di nucleotidi. In questa maniera il Dna è veramente nudo e puro, e ciononostante sa fare il suo compito partendo da zero.
È vita questa? È nuova vita? Per quanto concerne la specificità e l’identità certamente sì: si passa da una sequenza digitalizzata in un computer alla cellula direttamente. È certamente vita programmata e realizzata. Quello che manca adesso è solo costruire artificialmente anche la cellula che ospita il Dna; poi non ci saranno più obiezioni, si spera. Certo non è un’impresa da poco, ma non ci sono ragioni serie per dubitarne. In seguito si potranno costruire batteri «su misura» perché sappiano compiere specifiche funzioni e poi, chissà, anche qualche cellula superiore. Il fatto è che l’uomo sa sempre di più e non sa trattenersi dal fare.
Questa è storia vecchia e abbastanza evidente per i biologi di oggi, ma ancora dura a penetrare nell’immaginario dell’uomo della strada, anche colto. Perché la vita sembra possedere sempre qualcosa di magico o di mistico, qualcosa di non riducibile a semplici giochi di molecole. Ogni annuncio di una creazione artificiale di una vita riceve in genere commenti ironici e si accusa lo sperimentatore di fare affermazioni avventate. Fra questi sperimentatori arditi ma non avventati figura certamente Craig Venter che ama gli annunci clamorosi, e anche un po' il paradosso, ma che conosce di sicuro il fatto suo e che dirige un'équipe di ricercatori di tutto rispetto. Costoro erano già riusciti a far cambiare specie a un batterio inserendoci il Dna di un altro batterio. Ciò significa che, anche se all'inizio il nuovo Dna si trova in un ambiente non suo, cioè in una cellula batterica di una specie diversa, dopo pochi minuti questo Dna ha saputo dirigere la sintesi ex novo di tutte le sostanze, in primo luogo proteine, che costituiscono la nuova cellula.
Questa operazione è stata compiuta per gradi negli ultimi due o tre anni, vincendo enormi difficoltà tecniche e grandi resistenze psicologiche. In particolare, l'ultimo passo è stato, molto di recente, il trasferimento di un Dna da un batterio a un altro, ma dopo essere passato per la cellula di un fungo. L’idea era quindi quella di essere sicuri che il Dna si fosse «ripulito» di ogni possibile contaminante prima di essere trasferito. Ci si voleva accertare cioè che fosse quasi «nudo». Ma forse non nudo del tutto, avrebbe commentato qualcuno. Ecco allora l’ultimo esperimento, quello che stiamo commentando. Il Dna non viene estratto da nessuna parte, ma viene sintetizzato chimicamente, nucleotide per nucleotide, a partire da una sequenza immagazzinata in un computer e lunga più di un milione di nucleotidi. In questa maniera il Dna è veramente nudo e puro, e ciononostante sa fare il suo compito partendo da zero.
È vita questa? È nuova vita? Per quanto concerne la specificità e l’identità certamente sì: si passa da una sequenza digitalizzata in un computer alla cellula direttamente. È certamente vita programmata e realizzata. Quello che manca adesso è solo costruire artificialmente anche la cellula che ospita il Dna; poi non ci saranno più obiezioni, si spera. Certo non è un’impresa da poco, ma non ci sono ragioni serie per dubitarne. In seguito si potranno costruire batteri «su misura» perché sappiano compiere specifiche funzioni e poi, chissà, anche qualche cellula superiore. Il fatto è che l’uomo sa sempre di più e non sa trattenersi dal fare.
«Il Corriere della Sera» del 20 maggio 2010
Nessun commento:
Posta un commento