«Occorre trovare un equilibrio tra le esigenze dei campi del sapere, ugualmente legittime», dice il matematico Giandomenico Boffi, che lamenta: «La divisione tra le 'due culture' si instaura già alle superiori»
di Luigi Dell'Aglio
Giandomenico Boffi è, da parecchi anni, l’unico professore ordinario di Algebra in ruolo presso una facoltà di Economia in Italia (prima alla 'G. d’Annunzio' di Chieti e Pescara, attualmente alla Luspio di Roma). E già questo forse spiega la sua convinzione che il rapporto tra la cultura scientifica e la cultura umanistica non sia poi così squilibrato a favore della prima. Boffi contesta inoltre che esista «una cosiddetta cultura scientifica» contrapposta a «una cosiddetta cultura umanistica». Per essere più persuasivo, cita l’aneddoto che ha come protagonista Charles P. Snow, scienziato e scrittore inglese. Quando in una conversazione veniva fuori la questione dell’'ignoranza' degli scienziati nelle materie umanistiche, Snow faceva un piccolo esperimento.
Domandava ai suoi colleghi umanisti: quanti di voi conoscono la seconda legge della termodinamica? e che cosa sapete della massa o dell’accelerazione? Silenzio imbarazzato. Allora lui: «Sul versante umanistico, allo stesso livello di difficoltà, è come se io vi avessi chiesto: avete letto un’opera di Shakespeare? sapete leggere? ». E quelli restavano confusi. Boffi coordina da anni a livello nazionale un gruppo di scienziati, filosofi e teologi, nel quadro del progetto Sefir (Scienza e fede sull’interpretazione del reale) che persegue un approccio interdisciplinare alla realtà.
Professore, conoscenza scientifica e conoscenza umanistica dissotterrano l’ascia di guerra? «Scientismo» da un lato e «umanesimo » dall’altro sarebbero ai ferri corti. È una voce che gira.
«La dissociazione tra conoscenza scientifica e conoscenza umanistica è stata dannosa, come osservava Snow parlando delle cosiddette 'due culture'. E ancora non abbiamo valorizzato in modo equilibrato tutte le sfaccettature della cultura umana, che è unica. Ma non sono dell’idea che sia in corso una particolare ripresa delle ostilità. E comunque non identificherei i due contendenti con le parole scientismo e umanesimo, che tra l’altro richiedono una definizione accurata ».
L’umanesimo è una tendenza di pensiero che esalta il valore e la dignità dell’uomo e si propone la formazione completa, integrale, della persona umana, ponendo accanto alla scienza e alla tecnologia l’educazione di tipo filosofico, letterario e artistico, basata sui classici. Questa posizione sarebbe sotto attacco da parte di ideologie che propugnano l’egemonia della scienza in tutti i campi.
«Se si pensa all’umanesimo in termini così vasti, che comprendono sia la conoscenza umanistica che quella scientifica, dubito che ci sia oggi molta gente che lo voglia attaccare consapevolmente. I problemi possono nascere piuttosto dal significato che si attribuisce alle espressioni 'formazione integrale', 'persona umana'».
Esiste una pressione tendente a ridurre, nelle scuole, lo spazio dei classici, la cui funzione educativa è innegabile?
«Non direi che si eserciti una forte pressione di questo genere, ma che ci sia la rinnovata consapevolezza che il sapere umanistico non è l’unica componente dell’umanesimo ampio poco fa da lei tratteggiato. Personalmente riconosco volentieri la funzione educativa dei classici (tra i quali inserirei la Bibbia), ma attribuisco una forte valenza educativa anche alla matematica e alle scienze. Occorre trovare un delicato equilibrio tra esigenze altrettanto legittime. E si possono nutrire opinioni diverse sulle soluzioni concrete. Anche all’epoca di Giovanni Gentile si manifestarono dissensi importanti. Vito Volterra non approvava la penalizzazione inflitnalità ta agli insegnamenti di matematica e scienze, persino nel liceo scientifico ».
Molti sostengono che, nella formazione dello scienziato, l’insegnamento delle scienze umane (della filosofia, in particolare) abbia oggi scarso rilievo.
«Se ci riferiamo all’insegnamento impartito nelle facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, di ingegneria e simili (frequentate per lo più da giovani che non saranno scienziati) non credo che la marginella sia sorprendente. È marginale anche la matematica in tanti corsi di studio di scienze sociali e umane. Questa situazione riflette il modello tradizionale della nostra università (diverso da quello anglosassone). L’idea che lo ispira è che si acquisisce una cultura generale nella scuola secondaria e che all’università ci si concentra su discipline specialistiche».
Intravede uno spiraglio per garantire anche all’università un ruolo delle discipline umanistiche formazione dello scienziato?
«Un significativo spazio di dialogo fra scienze umane e scienze 'dure' è stato aperto con l’introduzione, dieci anni fa, di una quota di crediti universitari a scelta completamente libera dello studente. Forse questo spazio non è stato ancora ben sfruttato. La vita accademica, poi, si compone anche di tanti momenti formativi, istituzionali e non, che sono sganciati dall’insegnamento ufficiale, ma risultano ugualmente importanti. Non dobbiamo infine dimenticare che una formazione profondamente specialistica è oggi indispensabile per ogni studioso che voglia raggiungere livelli riconosciuti su scala internazionale ».
Secondo alcuni, c’è il rischio che il ricercatore, se nella sua formazione non si è arricchito e completato con il contributo delle discipline umanistiche, possa arrivare a praticare un tipo di scienza non solo anti-umanistica ma «antiumana ».
«Non ritengo che abbia molto senso parlare di una scienza che sia 'anti-qualcosa' di per sé. Credo tuttavia che, quando la formazione di uno studioso è troppo unilaterale (si tratti di uno scienziato carente sotto il profilo umanistico, o di un umanista carente sotto il profilo scientifico), ci sia effettivamente il pericolo di atteggiamenti non coerenti con l’ideale di umanesimo prima tratteggiato. Più precisamente, credo che ogni persona colta - accanto alla necessaria specializzazione professionale dovrebbe avere qualche dimestichezza con i classici, con la matematica e le scienze, con le arti, con la teologia. Ma attenzione: forse sono più numerosi gli umanisti carenti di formazione scientifica, che gli scienziati carenti sotto il profilo umanistico. E la diffusa ignoranza in merito ad aspetti anche elementari della scienza contribuisce non poco a propagare modi di pensiero scorretti in merito al significato della scienza stessa».
E infine: l’Europa non sembra interessata a riproporre i classici come modelli di conoscenza...
«Sempre tenendo presente che l’umanesimo va ben al di là del solo sapere umanistico, si nota soprattutto incertezza sulle caratteristiche dell’umanesimo europeo. Ad un umanesimo pieno non bastano infatti i classici, e neppure i saperi scientifici, le arti. Occorre una visione sinfonica di tutto questo, e che sia aperta a Dio».
Domandava ai suoi colleghi umanisti: quanti di voi conoscono la seconda legge della termodinamica? e che cosa sapete della massa o dell’accelerazione? Silenzio imbarazzato. Allora lui: «Sul versante umanistico, allo stesso livello di difficoltà, è come se io vi avessi chiesto: avete letto un’opera di Shakespeare? sapete leggere? ». E quelli restavano confusi. Boffi coordina da anni a livello nazionale un gruppo di scienziati, filosofi e teologi, nel quadro del progetto Sefir (Scienza e fede sull’interpretazione del reale) che persegue un approccio interdisciplinare alla realtà.
Professore, conoscenza scientifica e conoscenza umanistica dissotterrano l’ascia di guerra? «Scientismo» da un lato e «umanesimo » dall’altro sarebbero ai ferri corti. È una voce che gira.
«La dissociazione tra conoscenza scientifica e conoscenza umanistica è stata dannosa, come osservava Snow parlando delle cosiddette 'due culture'. E ancora non abbiamo valorizzato in modo equilibrato tutte le sfaccettature della cultura umana, che è unica. Ma non sono dell’idea che sia in corso una particolare ripresa delle ostilità. E comunque non identificherei i due contendenti con le parole scientismo e umanesimo, che tra l’altro richiedono una definizione accurata ».
L’umanesimo è una tendenza di pensiero che esalta il valore e la dignità dell’uomo e si propone la formazione completa, integrale, della persona umana, ponendo accanto alla scienza e alla tecnologia l’educazione di tipo filosofico, letterario e artistico, basata sui classici. Questa posizione sarebbe sotto attacco da parte di ideologie che propugnano l’egemonia della scienza in tutti i campi.
«Se si pensa all’umanesimo in termini così vasti, che comprendono sia la conoscenza umanistica che quella scientifica, dubito che ci sia oggi molta gente che lo voglia attaccare consapevolmente. I problemi possono nascere piuttosto dal significato che si attribuisce alle espressioni 'formazione integrale', 'persona umana'».
Esiste una pressione tendente a ridurre, nelle scuole, lo spazio dei classici, la cui funzione educativa è innegabile?
«Non direi che si eserciti una forte pressione di questo genere, ma che ci sia la rinnovata consapevolezza che il sapere umanistico non è l’unica componente dell’umanesimo ampio poco fa da lei tratteggiato. Personalmente riconosco volentieri la funzione educativa dei classici (tra i quali inserirei la Bibbia), ma attribuisco una forte valenza educativa anche alla matematica e alle scienze. Occorre trovare un delicato equilibrio tra esigenze altrettanto legittime. E si possono nutrire opinioni diverse sulle soluzioni concrete. Anche all’epoca di Giovanni Gentile si manifestarono dissensi importanti. Vito Volterra non approvava la penalizzazione inflitnalità ta agli insegnamenti di matematica e scienze, persino nel liceo scientifico ».
Molti sostengono che, nella formazione dello scienziato, l’insegnamento delle scienze umane (della filosofia, in particolare) abbia oggi scarso rilievo.
«Se ci riferiamo all’insegnamento impartito nelle facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, di ingegneria e simili (frequentate per lo più da giovani che non saranno scienziati) non credo che la marginella sia sorprendente. È marginale anche la matematica in tanti corsi di studio di scienze sociali e umane. Questa situazione riflette il modello tradizionale della nostra università (diverso da quello anglosassone). L’idea che lo ispira è che si acquisisce una cultura generale nella scuola secondaria e che all’università ci si concentra su discipline specialistiche».
Intravede uno spiraglio per garantire anche all’università un ruolo delle discipline umanistiche formazione dello scienziato?
«Un significativo spazio di dialogo fra scienze umane e scienze 'dure' è stato aperto con l’introduzione, dieci anni fa, di una quota di crediti universitari a scelta completamente libera dello studente. Forse questo spazio non è stato ancora ben sfruttato. La vita accademica, poi, si compone anche di tanti momenti formativi, istituzionali e non, che sono sganciati dall’insegnamento ufficiale, ma risultano ugualmente importanti. Non dobbiamo infine dimenticare che una formazione profondamente specialistica è oggi indispensabile per ogni studioso che voglia raggiungere livelli riconosciuti su scala internazionale ».
Secondo alcuni, c’è il rischio che il ricercatore, se nella sua formazione non si è arricchito e completato con il contributo delle discipline umanistiche, possa arrivare a praticare un tipo di scienza non solo anti-umanistica ma «antiumana ».
«Non ritengo che abbia molto senso parlare di una scienza che sia 'anti-qualcosa' di per sé. Credo tuttavia che, quando la formazione di uno studioso è troppo unilaterale (si tratti di uno scienziato carente sotto il profilo umanistico, o di un umanista carente sotto il profilo scientifico), ci sia effettivamente il pericolo di atteggiamenti non coerenti con l’ideale di umanesimo prima tratteggiato. Più precisamente, credo che ogni persona colta - accanto alla necessaria specializzazione professionale dovrebbe avere qualche dimestichezza con i classici, con la matematica e le scienze, con le arti, con la teologia. Ma attenzione: forse sono più numerosi gli umanisti carenti di formazione scientifica, che gli scienziati carenti sotto il profilo umanistico. E la diffusa ignoranza in merito ad aspetti anche elementari della scienza contribuisce non poco a propagare modi di pensiero scorretti in merito al significato della scienza stessa».
E infine: l’Europa non sembra interessata a riproporre i classici come modelli di conoscenza...
«Sempre tenendo presente che l’umanesimo va ben al di là del solo sapere umanistico, si nota soprattutto incertezza sulle caratteristiche dell’umanesimo europeo. Ad un umanesimo pieno non bastano infatti i classici, e neppure i saperi scientifici, le arti. Occorre una visione sinfonica di tutto questo, e che sia aperta a Dio».
«Avvenire» del 19 maggio 2010
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