di Vittorio Sabadin
Francis Crick, uno dei primi scienziati a lavorare con Craig Venter nelle ricerche sul Dna, rifiutò una cattedra a Cambridge perché nel college c’era una cappella.
Maneggiando provette nei laboratori, Crick voleva dimostrare che non c’è niente di così straordinario o di mistico nella vita: solo sostanze chimiche che interagiscono seguendo le leggi naturali del pianeta che le ospita. Nessun soffio divino che anima materia altrimenti inerte, ma atomi che interagiscono fra di loro con un linguaggio preciso. Basta saperlo comprendere ed ecco Synthia, la prima cellula artificiale, un nome che diventerà famoso non solo nelle aule universitarie.
Craig Venter ha impiegato 15 anni, spendendo circa 50 milioni di dollari del suo ingente patrimonio personale, per arrivare a dimostrare che anche i mortali possono creare la vita. Un lungo lavoro interamente dedicato a scoprire le informazioni che le cellule si scambiano, perché di questo essenzialmente di tratta. Informazioni non intese allo stesso modo delle cose che si dicono le persone, ma come le basi dell’organizzazione della natura. Più che di creazione, Venter e i suoi colleghi preferiscono infatti parlare di «tampering» un termine inglese che significa intrufolarsi, intromettersi, ficcare il naso.
Senza il grande progresso nella capacità di elaborazione dei computer il loro lavoro sarebbe stato impossibile. Nella mappatura dei genomi, quello che poco tempo fa richiedeva anni di ricerca e milioni di dollari ora si fa in pochi giorni, con una spesa marginale. La caduta del costo delle analisi di sequenze del Dna apre scenari appassionanti ed inquietanti allo stesso tempo. L’Economist notava ieri che questa scoperta testimonia una padronanza della natura superiore a quella dell’invenzione della bomba atomica. Gli ordigni che hanno fatto finire la Seconda guerra mondiale erano solo distruttivi, il batterio di Craig Venter promette di essere invece la nuova pietra filosofale, che consentirà all’uomo di trasformare la materia in ciò che desidera: avremo mari meno inquinati, cellule che diventano combustibile, medicinali migliori e chissà cos’altro: la vita artificiale può anche essere programmata per uccidere e distruggere.
Le cellule create in laboratorio saranno in grado di autoalimentarsi e riprodursi, ma in fondo anche i fucili e la polvere da sparo lo hanno fatto nel corso dei secoli: più si usavano e più era necessario averne ancora. Venter ha auspicato che la sua scoperta e le conseguenze che ne deriveranno siano aperte a tutti, e c’è da augurarsi che sia davvero così. Poiché i buoni sono per fortuna ancora più numerosi dei cattivi, terroristi e scienziati pazzi potranno essere tenuti a bada dalla trasparenza e dalla maggiore massa delle persone coinvolte nello sviluppo positivo del progetto, come accade per l’enciclopedia online Wikipedia. Ma, ammoniva il Guardian in un commento sui mortali che giocano a fare Dio, il problema con gli dei dell’antica Grecia non era che fossero moralmente superiori agli umani. Erano solo più potenti.
Maneggiando provette nei laboratori, Crick voleva dimostrare che non c’è niente di così straordinario o di mistico nella vita: solo sostanze chimiche che interagiscono seguendo le leggi naturali del pianeta che le ospita. Nessun soffio divino che anima materia altrimenti inerte, ma atomi che interagiscono fra di loro con un linguaggio preciso. Basta saperlo comprendere ed ecco Synthia, la prima cellula artificiale, un nome che diventerà famoso non solo nelle aule universitarie.
Craig Venter ha impiegato 15 anni, spendendo circa 50 milioni di dollari del suo ingente patrimonio personale, per arrivare a dimostrare che anche i mortali possono creare la vita. Un lungo lavoro interamente dedicato a scoprire le informazioni che le cellule si scambiano, perché di questo essenzialmente di tratta. Informazioni non intese allo stesso modo delle cose che si dicono le persone, ma come le basi dell’organizzazione della natura. Più che di creazione, Venter e i suoi colleghi preferiscono infatti parlare di «tampering» un termine inglese che significa intrufolarsi, intromettersi, ficcare il naso.
Senza il grande progresso nella capacità di elaborazione dei computer il loro lavoro sarebbe stato impossibile. Nella mappatura dei genomi, quello che poco tempo fa richiedeva anni di ricerca e milioni di dollari ora si fa in pochi giorni, con una spesa marginale. La caduta del costo delle analisi di sequenze del Dna apre scenari appassionanti ed inquietanti allo stesso tempo. L’Economist notava ieri che questa scoperta testimonia una padronanza della natura superiore a quella dell’invenzione della bomba atomica. Gli ordigni che hanno fatto finire la Seconda guerra mondiale erano solo distruttivi, il batterio di Craig Venter promette di essere invece la nuova pietra filosofale, che consentirà all’uomo di trasformare la materia in ciò che desidera: avremo mari meno inquinati, cellule che diventano combustibile, medicinali migliori e chissà cos’altro: la vita artificiale può anche essere programmata per uccidere e distruggere.
Le cellule create in laboratorio saranno in grado di autoalimentarsi e riprodursi, ma in fondo anche i fucili e la polvere da sparo lo hanno fatto nel corso dei secoli: più si usavano e più era necessario averne ancora. Venter ha auspicato che la sua scoperta e le conseguenze che ne deriveranno siano aperte a tutti, e c’è da augurarsi che sia davvero così. Poiché i buoni sono per fortuna ancora più numerosi dei cattivi, terroristi e scienziati pazzi potranno essere tenuti a bada dalla trasparenza e dalla maggiore massa delle persone coinvolte nello sviluppo positivo del progetto, come accade per l’enciclopedia online Wikipedia. Ma, ammoniva il Guardian in un commento sui mortali che giocano a fare Dio, il problema con gli dei dell’antica Grecia non era che fossero moralmente superiori agli umani. Erano solo più potenti.
«La Stampa» del 21 maggio 2010
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