Dalla raccolta dei suoi articoli emerge la vera natura dello scrittore: fiero anti-nichilista, contro il consumismo, a favore della famiglia tradizionale e del ripristino del principio di autorità di padri e insegnanti. Molto Law&Order
di Luigi Mascheroni
Antonio Scurati, uno di noi. Si stupirà, forse addirittura si offenderà nel sentirselo dire. Ma glielo diciamo per il suo bene, e perché gli vogliamo bene: non aver paura, libera il conservatore che c’è in te.
Perché Antonio Scurati - docente alla Iulm di Milano, editorialista emerito della Stampa, romanziere che ha già vinto un «Campiello» e perso lo «Strega» per un soffio - è uno dei tanti reazionari «in sonno», intellettuali di destra senza sapere di esserlo che, solo per distrazione o opportunità, militano svogliatamente a sinistra. Si presenta dichiarandosi progressista laico. Ma scrive pensando come un conservatore - se non religioso - con un forte senso del sacro, come si dice in questi casi.
Quello di uno Scurati più right che left oriented era un sospetto che avevamo da tempo, ma che è diventata certezza leggendo uno di seguito all’altro i pezzi «di cronaca» firmati dal professore-scrittore sui giornali con i quali collabora (e ora raccolti nel volume Gli anni che non stiamo vivendo, (Bompiani) lungo un arco cronologico abbastanza ampio, prima e dopo la sua esplosione mediatica, quando diventò «noto» non tanto per aver vinto il «Campiello» con il romanzo Il sopravvissuto nel 2005, quanto per aver detto a Bruno Vespa, in diretta veneziana e in differita televisiva: «Se stasera dovessi uccidere qualcuno, questo sarebbe lei», riferendosi a Porta a porta come la sublimazione dell’infotainment che mischia pericolosamente, confondendole, realtà e finzione, autenticità e artificiosità. Gesto che non era un attacco personale al conduttore, ma la sintesi televisiva di tutto ciò che da docente di Teorie e tecniche del linguaggio televisivo Scurati aveva studiato e insegnato per anni. A suo modo un eroico guerriero, e quindi abbastanza di destra.
Comunque, al netto di qualche inevitabile scivolata sul crinale del buonismo vetero-veltronista abbondantemente fuori tempo massimo (come la proposta feministically correct di poter destinare l’8 per mille alle madri, a sostegno delle lavoratrici non protette) e di qualche ingenuità tardo-antiberlusconiana ormai abbondantemente fuori luogo (come la convinzione che «Berlusconi ha preparato la presa del potere plasmando a propria immagine, con le sue televisioni, la cultura popolare italiana a partire dai primi anni Ottanta»), Scurati si rivela un perfetto conservatore, law&order tutto d’un pezzo, fieramente anti-nichilista, nostalgico della famiglia tradizionale, deciso nell’affermare il principio di autorità dei padri e degli insegnati di fronte ai figli e agli studenti, inflessibile nel denunciare lo sfascio della scuola italiana (provocato più dal Sessantotto che dal berlusconismo), fiero di un anti-consumismo che sembra affondare le radici più in una certa destra sociale e neocomunitarista che in una sinistra populista e anti-capitalista. Addirittura «romantico» e quasi mitomodernista. A suo modo, un alfiere della rivoluzione conservatrice.
Scurati, che da laico e progressista non può non volere i Pacs, poi però confessa di sentirne sotto la lingua il retrogusto amaro, amarissimo: «Mentre pretendo il riconoscimento dei diritti personali all’interno delle coppie di fatto, m’immalinconisco per il tramonto dell’amore romantico che quest’ennesimo lume del progresso porta inevitabilmente con sé», riconoscendo che «Vogliamo il contatto, il congiungimento e l’unione, ma senza vincolo. Pretendiamo di poterci unire e disunire (sessualmente, affettivamente, socialmente), e in pieno diritto, a un altro essere umano con la facile immediatezza con cui ci si connette o disconnette da Internet», facendoci venire in mente quelle straordinarie pagine in cui Pier Paolo Pasolini (altro intellettuale conservatore e anti-moderno impropriamente prestato alla Sinistra) condannava l’aborto per ragioni non religiose, ma prettamente «consumistiche»: così l’atto sessuale, diceva, diventa facile e comodo, come consumare una merce qualsiasi. Noi forse saremo prevenuti, ma non è un caso che l’intervento di Scurati In difesa dell’aborto sia uno dei più deboli e meno convinti dell’intera raccolta di articoli (peraltro molto bella).
Scurati, da laico materialista, è terrorizzato dalla deriva iper-consumista della società italiana - si leggano le splendide pagine su L’estasi dell’outlet - che stigmatizza con una lucidità che non può non trovare d’accordo il vero «uomo di destra» (non la destra liberista e liberale certo, ma la destra anti-utilitarista certamente). Poi sferra un pugno alle coscienze dei buonisti-egualitaristi in servizio permanente effettivo, quando lamenta la perdita del senso di autorità da parte dei padri e degli educatori: «Dopo millenni, stiamo smettendo di credere che l’adulto possa e debba educare il giovane, che il giovane gli sia sottoposto quanto ad autorità e inferiore quanto a conoscenza», arrivando a riconoscere che «di fronte a tutto ciò, la tentazione del demone reazionario è fortissima» (Per una severità progressista). Addirittura spazza via in una pagina di fuoco l’egualitarismo applicato alla professione e al «valore» sociale della conoscenza in un Paese dove «i giovani scienziati da cui ci aspettiamo la cura del cancro, la scoperta di energie rinnovabili o anche - perché no? - la nuova cultura che ci consenta di capire il nostro tempo, guadagnano meno dell’idraulico che ci ripara il lavandino», lamentando i tagli alla ricerca e all’università decisi indistintamente dai governi di destra e di sinistra, dal decreto Bersani alla riforma Gelmini (Contro i tagli alla ricerca e L’università senza carta igienica).
E si potrebbe continuare, citando lo Scurati romantico, quello disilluso di fronte al «progressivo intorpidirsi del sentimento tragico della nostra vita», quello dubbioso del fatto che il benessere «materiale» basti a renderci felici (Il Mulino Bianco e l’infelicità). In fondo, per fare di Scurati un vero intellettuale di destra, antisalutista e anti radical-chic, è sufficiente la sfrontatezza con la quale incenerisce Il sublime da centro benessere con «uno scorrettissimo desiderio impellente di sigaretta cancerosa».
Bentornato a destra, fratello.
Perché Antonio Scurati - docente alla Iulm di Milano, editorialista emerito della Stampa, romanziere che ha già vinto un «Campiello» e perso lo «Strega» per un soffio - è uno dei tanti reazionari «in sonno», intellettuali di destra senza sapere di esserlo che, solo per distrazione o opportunità, militano svogliatamente a sinistra. Si presenta dichiarandosi progressista laico. Ma scrive pensando come un conservatore - se non religioso - con un forte senso del sacro, come si dice in questi casi.
Quello di uno Scurati più right che left oriented era un sospetto che avevamo da tempo, ma che è diventata certezza leggendo uno di seguito all’altro i pezzi «di cronaca» firmati dal professore-scrittore sui giornali con i quali collabora (e ora raccolti nel volume Gli anni che non stiamo vivendo, (Bompiani) lungo un arco cronologico abbastanza ampio, prima e dopo la sua esplosione mediatica, quando diventò «noto» non tanto per aver vinto il «Campiello» con il romanzo Il sopravvissuto nel 2005, quanto per aver detto a Bruno Vespa, in diretta veneziana e in differita televisiva: «Se stasera dovessi uccidere qualcuno, questo sarebbe lei», riferendosi a Porta a porta come la sublimazione dell’infotainment che mischia pericolosamente, confondendole, realtà e finzione, autenticità e artificiosità. Gesto che non era un attacco personale al conduttore, ma la sintesi televisiva di tutto ciò che da docente di Teorie e tecniche del linguaggio televisivo Scurati aveva studiato e insegnato per anni. A suo modo un eroico guerriero, e quindi abbastanza di destra.
Comunque, al netto di qualche inevitabile scivolata sul crinale del buonismo vetero-veltronista abbondantemente fuori tempo massimo (come la proposta feministically correct di poter destinare l’8 per mille alle madri, a sostegno delle lavoratrici non protette) e di qualche ingenuità tardo-antiberlusconiana ormai abbondantemente fuori luogo (come la convinzione che «Berlusconi ha preparato la presa del potere plasmando a propria immagine, con le sue televisioni, la cultura popolare italiana a partire dai primi anni Ottanta»), Scurati si rivela un perfetto conservatore, law&order tutto d’un pezzo, fieramente anti-nichilista, nostalgico della famiglia tradizionale, deciso nell’affermare il principio di autorità dei padri e degli insegnati di fronte ai figli e agli studenti, inflessibile nel denunciare lo sfascio della scuola italiana (provocato più dal Sessantotto che dal berlusconismo), fiero di un anti-consumismo che sembra affondare le radici più in una certa destra sociale e neocomunitarista che in una sinistra populista e anti-capitalista. Addirittura «romantico» e quasi mitomodernista. A suo modo, un alfiere della rivoluzione conservatrice.
Scurati, che da laico e progressista non può non volere i Pacs, poi però confessa di sentirne sotto la lingua il retrogusto amaro, amarissimo: «Mentre pretendo il riconoscimento dei diritti personali all’interno delle coppie di fatto, m’immalinconisco per il tramonto dell’amore romantico che quest’ennesimo lume del progresso porta inevitabilmente con sé», riconoscendo che «Vogliamo il contatto, il congiungimento e l’unione, ma senza vincolo. Pretendiamo di poterci unire e disunire (sessualmente, affettivamente, socialmente), e in pieno diritto, a un altro essere umano con la facile immediatezza con cui ci si connette o disconnette da Internet», facendoci venire in mente quelle straordinarie pagine in cui Pier Paolo Pasolini (altro intellettuale conservatore e anti-moderno impropriamente prestato alla Sinistra) condannava l’aborto per ragioni non religiose, ma prettamente «consumistiche»: così l’atto sessuale, diceva, diventa facile e comodo, come consumare una merce qualsiasi. Noi forse saremo prevenuti, ma non è un caso che l’intervento di Scurati In difesa dell’aborto sia uno dei più deboli e meno convinti dell’intera raccolta di articoli (peraltro molto bella).
Scurati, da laico materialista, è terrorizzato dalla deriva iper-consumista della società italiana - si leggano le splendide pagine su L’estasi dell’outlet - che stigmatizza con una lucidità che non può non trovare d’accordo il vero «uomo di destra» (non la destra liberista e liberale certo, ma la destra anti-utilitarista certamente). Poi sferra un pugno alle coscienze dei buonisti-egualitaristi in servizio permanente effettivo, quando lamenta la perdita del senso di autorità da parte dei padri e degli educatori: «Dopo millenni, stiamo smettendo di credere che l’adulto possa e debba educare il giovane, che il giovane gli sia sottoposto quanto ad autorità e inferiore quanto a conoscenza», arrivando a riconoscere che «di fronte a tutto ciò, la tentazione del demone reazionario è fortissima» (Per una severità progressista). Addirittura spazza via in una pagina di fuoco l’egualitarismo applicato alla professione e al «valore» sociale della conoscenza in un Paese dove «i giovani scienziati da cui ci aspettiamo la cura del cancro, la scoperta di energie rinnovabili o anche - perché no? - la nuova cultura che ci consenta di capire il nostro tempo, guadagnano meno dell’idraulico che ci ripara il lavandino», lamentando i tagli alla ricerca e all’università decisi indistintamente dai governi di destra e di sinistra, dal decreto Bersani alla riforma Gelmini (Contro i tagli alla ricerca e L’università senza carta igienica).
E si potrebbe continuare, citando lo Scurati romantico, quello disilluso di fronte al «progressivo intorpidirsi del sentimento tragico della nostra vita», quello dubbioso del fatto che il benessere «materiale» basti a renderci felici (Il Mulino Bianco e l’infelicità). In fondo, per fare di Scurati un vero intellettuale di destra, antisalutista e anti radical-chic, è sufficiente la sfrontatezza con la quale incenerisce Il sublime da centro benessere con «uno scorrettissimo desiderio impellente di sigaretta cancerosa».
Bentornato a destra, fratello.
«Il Giornale» del 22 maggio 2010
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