di Damiano Laterza
La mostra "Eros: dalla Teogonia di Esiodo alla Tarda Antichità" presso il Museo dell'Arte Cicladica di Atene è un tributo sopraffino ai costumi sessuali del mondo greco-romano. Mille anni di storia dell'eros, raccontata come storia di Eros - detto, anche, Cupido. «Non solo un grande Iddio, ma pure il più antico» come scrive Platone nel Simposio.
Già, perché senza di lui non ci sarebbe stato tutto il resto.
Eros, però, è sovente descritto come divinità crudele - «dolce-amaro», lo definisce Saffo. Il piacere che egli dispensava non era tanto la lieta e assoluta gioia dei sensi (questione di competenza della bella Afrodite), quanto l'erotomania vera e propria.
Ossia: la follia d'amore, ciò che il mondo greco giudicava evento assai periglioso per le umane sorti. In un senso squisitamente eterosessuale, però. Perché era tollerato, anzi, pare quasi che fosse obbligatorio, per il "popolo GLBT" di allora, l'avere storie tormentate e annichilenti.
Così, mettendo al bando le noie dell'amore, ci si poteva concentrare meglio sul sesso.
Ecco, questa mostra qui mette in scena – e senza mezzi termini, come in un sublime film scollacciato anni '70 – vite votate al puro piacere dei sensi.
Esaltazione morbosa dell'istinto sessuale raccontata da manufatti erotici capaci, ancora, di ispirare passioni, nonostante siano vecchi di millenni.
Falli giganti di marmo. Un bordello antico – detto lupanarium – ricostruito nel museo, con tanto di lettino e cuscino. Scene di lotta di classe sull'Olimpo Hills. Accoppiamenti selvaggi che decorano piatti da portata. Dei e mortali, nudi, in boschetti di alloro, copulano festosi.
Questi erano i coiti più gossippati dell'epoca, e si capisce bene il perché.
Ecco, questi dei devono essere stati così. Delle divinità, per l'appunto. E ognuno con le sue precise funzioni. Assetati di sesso come delle star del genere teenpop qualsiasi.
A questo punto c'è da dire che la Teogonia di Esiodo – a cui fa riferimento il titolo dell'esposizione - è una sorta di Bibbia del Paganesimo, che racconta la discendenza degli dei greci: «prima ci fu il Caos, poi la Terra e infine Eros». Un Dio dell'amare dalle infinite raffigurazioni: lancia frecce, fa gare d'atletica, sovrintende ai matrimoni. In una, addirittura, Afrodite lo sgrida e fa per colpirlo con una ciabatta infradito. Poi, tenera, lo allatta.
Di ben altro tenore le icone più sconce. Sesso ovunque. Sesso adesso. Sembra di essere nel '68. Si pensi, poi, che queste scenette XXX d'artista decoravano muri di abitazioni private, spazi pubblici e quanto altro. Tutti potevano vederle, sempre. Pure i bambini, ovviamente.
Un totale di 272 oggetti - dal 700 a.C al IV secolo - provenienti da una cinquantina di musei di tutto il mondo (la maggior parte sono italiani) per mostrare la straordinaria vitalità della cultura sessuale dei nostri lontanissimi antenati.
Storie d'amore bucolico, ovvero zoofilia bella e buona. Con il direttore del Museo lì a ribadire che per vedere questa mostra occorre avere «la mente aperta».
E, ancora, omoerotismo di massa, posizioni impensabili, lunghi e annodatissimi trenini.
Altri stadi di civiltà. Altri evi.
Eros: dalla Teogonia di Esiodo alla Tarda Antichità
Museo dell'Arte Cicladica
Atene, Grecia
Fino al 5 aprile 2010
Già, perché senza di lui non ci sarebbe stato tutto il resto.
Eros, però, è sovente descritto come divinità crudele - «dolce-amaro», lo definisce Saffo. Il piacere che egli dispensava non era tanto la lieta e assoluta gioia dei sensi (questione di competenza della bella Afrodite), quanto l'erotomania vera e propria.
Ossia: la follia d'amore, ciò che il mondo greco giudicava evento assai periglioso per le umane sorti. In un senso squisitamente eterosessuale, però. Perché era tollerato, anzi, pare quasi che fosse obbligatorio, per il "popolo GLBT" di allora, l'avere storie tormentate e annichilenti.
Così, mettendo al bando le noie dell'amore, ci si poteva concentrare meglio sul sesso.
Ecco, questa mostra qui mette in scena – e senza mezzi termini, come in un sublime film scollacciato anni '70 – vite votate al puro piacere dei sensi.
Esaltazione morbosa dell'istinto sessuale raccontata da manufatti erotici capaci, ancora, di ispirare passioni, nonostante siano vecchi di millenni.
Falli giganti di marmo. Un bordello antico – detto lupanarium – ricostruito nel museo, con tanto di lettino e cuscino. Scene di lotta di classe sull'Olimpo Hills. Accoppiamenti selvaggi che decorano piatti da portata. Dei e mortali, nudi, in boschetti di alloro, copulano festosi.
Questi erano i coiti più gossippati dell'epoca, e si capisce bene il perché.
Ecco, questi dei devono essere stati così. Delle divinità, per l'appunto. E ognuno con le sue precise funzioni. Assetati di sesso come delle star del genere teenpop qualsiasi.
A questo punto c'è da dire che la Teogonia di Esiodo – a cui fa riferimento il titolo dell'esposizione - è una sorta di Bibbia del Paganesimo, che racconta la discendenza degli dei greci: «prima ci fu il Caos, poi la Terra e infine Eros». Un Dio dell'amare dalle infinite raffigurazioni: lancia frecce, fa gare d'atletica, sovrintende ai matrimoni. In una, addirittura, Afrodite lo sgrida e fa per colpirlo con una ciabatta infradito. Poi, tenera, lo allatta.
Di ben altro tenore le icone più sconce. Sesso ovunque. Sesso adesso. Sembra di essere nel '68. Si pensi, poi, che queste scenette XXX d'artista decoravano muri di abitazioni private, spazi pubblici e quanto altro. Tutti potevano vederle, sempre. Pure i bambini, ovviamente.
Un totale di 272 oggetti - dal 700 a.C al IV secolo - provenienti da una cinquantina di musei di tutto il mondo (la maggior parte sono italiani) per mostrare la straordinaria vitalità della cultura sessuale dei nostri lontanissimi antenati.
Storie d'amore bucolico, ovvero zoofilia bella e buona. Con il direttore del Museo lì a ribadire che per vedere questa mostra occorre avere «la mente aperta».
E, ancora, omoerotismo di massa, posizioni impensabili, lunghi e annodatissimi trenini.
Altri stadi di civiltà. Altri evi.
Eros: dalla Teogonia di Esiodo alla Tarda Antichità
Museo dell'Arte Cicladica
Atene, Grecia
Fino al 5 aprile 2010
«Il Sole 24 Ore» del 30 gennaio 2010
Nessun commento:
Posta un commento