di Sabino Acquaviva
Quanti anni sono passati da quando, con la legge conosciuta con il nome di Franco Basaglia, il neuropsichiatria, furono aperte le porte dei manicomi? Tanti, certamente. Ma furono raggiunti gli obiettivi, sacrosanti, che si proponeva? Non sembra, perché – salvo eccezioni – non furono create strutture adeguate, capaci di gestire la vita di quanti avevano problemi mentali. Conseguenza: oggi nella vita sociale succede di tutto, anche perché mancano strutture di accoglienza e di individuazione di quanti hanno problemi psicologici più o meno gravi. A questo proposito non dimenticherò mai il mio tentativo (miseramente fallito) di far approvare, già alcuni anni or sono, una legge che prevedesse la presenza in ogni scuola di uno psicologo capace di accompagnare bambini e ragazzi con problemi psicologici fin nella vita adulta. È chiaro che la società di oggi, non so quale era la situazione di un tempo, è incapace di controllare capillarmente quanto accade. Forse esagera chi sostiene che «la pazzia è andata al potere». Ma è un fatto che madri uccidono i figli, altri – adulti e ragazzi – scelgono il suicidio, i rapporti sociali, persino nei condomini, troppo spesso finiscono in omicidi, mentre trasgressioni sessuali incontrollate e forse incontrollabili facilmente si concludono nei sangue e nella violenza, e l’uso di stupefacenti è diffuso persino nei palazzi del potere. Qualche studioso ha sostenuto che la follia guida, ai nostri giorni, più della ragione. La legge Basaglia era necessaria, ma le sue (benché non soltanto sue) conseguenze, in parte prevedibili, cui poco si è tentato di porre rimedio, sono state drammatiche. Dopo secoli in cui si è cercato di far prevalere la ragione, oggi sembra accadere il contrario, anche perché la trasgressione (in molti casi parente stretta della follia) viene, implicitamente o esplicitamente, spiegata giustificata e propagandata. Come giustamente osserva Marcello Veneziani, esistono e si moltiplicano quelle che molti chiamano agenzie della trasgressione, come i media, molti film, trasmissioni televisive che incrementano e diffondono una sorta di delirio di massa; che mescolano la sollecitazione ad un comportamento sessuale ben lontano dalla natura umana ad un uso incontrollato della violenza. La diffusione della droga è devastante in una società in cui il confine fra il mondo reale e gli stupefacenti è quasi inesistente. Cocaina ed altri prodotti chimici, in una realtà in cui neppure esiste un confine preciso fra normale e patologico, si dilatano e diffondono, come ci dimostrano le statistiche. Follie e violenze di stupratori, di automobilisti potenzialmente assassini, di politici, imprenditori, operatori di borsa, gente più o meno comune, si mescolano a questa assenza di confini fra lecito e illecito, bene e male. E alla fine, mi dispiace dirlo, tutto questo si mescola – per molti – alla mancanza di un Dio cui fare riferimento. Questa è appunto una società senza confini precisi, senza una lontana frontiera temporale dell’esistenza cui fare riferimento. Senza nessuno cui si debba rendere conto di qualche cosa. Dunque, una realtà efficiente, tecnologica, scientifica, ma incapace di dotarsi di un sistema di regole che consentano di salvare il significato e gli obiettivi di un’esistenza che troppo spesso si traduce soltanto nella quotidiana fatica di vivere. Tutte queste considerazioni sono ovvie, naturalmente, ma ogni tanto bisognerebbe fermarsi a meditare, appunto a riflettere sull’ovvio.
«Avvenire» del 1 luglio 2010
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