Ennesimo episodio di un suicidio scampato grazie alle segnalazioni degli utenti Internet. L’ultimo caso a Garbagnate: da Imperia avevano preso sul serio l’annuncio di una donna sul suo profilo Web
di Viviana Daloiso
Taranto: l’«addio» online di un 46enne Un amico preoccupato avverte però il 112
Può essere l’imbuto di ogni pettegolezzo possibile sugli altri, la cassa di risonanza di ogni bravata o superficialità, il propagatore di ogni forma di violenza e sopruso. Ma può anche diventare il luogo in cui si cerca – e si trova – aiuto. Tanto da vedersi salvare la vita. Tra i mille volti di Facebook, c’è anche quello che ieri, a Taranto, ha permesso agli agenti della Questura di impedire a un uomo di 46 anni di suicidarsi. Sposato, con due figli, era vessato da gravissimi problemi economici e aveva deciso di farla finita: «Basta, sono disperato», aveva digitato sulla bacheca del suo profilo sul social network.
E un suo conoscente, allarmato da quelle parole, aveva immediatamente chiamato la polizia, spiegando i fatti. È stata provvidenziale, quell’attenzione, quello sguardo sulla vita di un amico che non si ferma sull’orizzonte virtuale, ma è pronto a cogliere nel grido d’aiuto lanciato in Rete la possibilità concreta di un gesto estremo: così le forze dell’ordine sono risalite all’indirizzo dell’uomo, e sono piombate nella sua casa giusto in tempo per evitare la tragedia. Trovandolo seduto alla scrivania nell’atto di scrivere un’ultima lettera anche ai suoi familiari.
L’episodio di Taranto è solo l’ultimo di una lunga serie: lo scorso marzo era successo a Garbagnate, nel Milanese. Una donna aveva annunciato l’intenzione di uccidersi, sempre sul suo profilo: allora la segnalazione al 112, e poi alla Polizia Postale, era arrivata da un utente della provincia di Imperia. La donna era stata raggiunta nel giro di un quarto d’ora, e trovata in uno stato confusionale e malnutrita. E poi a febbraio, ancora, protagonista sempre una donna, stavolta di Teramo: il tam tam degli amici, che avevano letto le sue parole di addio sulla bacheca del suo profilo, l’ha salvata.
«Sono episodi che parlano di due aspetti fondamentali del mondo dei social network e, in particolare, di Facebook», spiega il sociologo Giuseppe Romano. Il primo è quello di una realtà basata sempre più sulla Rete come mezzo di comunicazione: «Quello che avviene online – continua Romano –, quello che si fa o si annuncia sul proprio profilo non è 'altro' dalla realtà. È qualcosa che c’entra con la vita di ciascuno, che parla di solitudine vera, di problemi concreti, non è solo 'virtuale'». Ecco allora che sempre più persone oggi esprimono il proprio disagio reale su Facebook, lanciando richieste d’aiuto, di confronto e di dialogo. «Ma l’aspetto più meritevole d’attenzione, per quanto riguarda l’episodio di Taranto – spiega ancora Romano –, è che dall’altra parte c’è qualcuno che ascolta, che ha ascoltato. Segno che Facebook non è soltanto un’anticamera in cui tutti passano, si fermano per breve tempo, e poi vanno via. In questo caso il social network è diventato un salotto in cui ci si è seduti e si è formata una 'famiglia', in cui la dimensione dell’altro è stata presa in considerazione seriamente». Che poi dovrebbe essere la vocazione l’obiettivo stesso delle comunità online: «Alla civiltà della Rete globale serve questa dimensione umana, senza la quale la comunicazione tra persone diventa solo un involucro vuoto – conclude Romano –. E senza la quale, come a volta la cronaca ci ha tristemente messo sotto gli occhi, anche gli appelli più disperati possono scivolare via».
E un suo conoscente, allarmato da quelle parole, aveva immediatamente chiamato la polizia, spiegando i fatti. È stata provvidenziale, quell’attenzione, quello sguardo sulla vita di un amico che non si ferma sull’orizzonte virtuale, ma è pronto a cogliere nel grido d’aiuto lanciato in Rete la possibilità concreta di un gesto estremo: così le forze dell’ordine sono risalite all’indirizzo dell’uomo, e sono piombate nella sua casa giusto in tempo per evitare la tragedia. Trovandolo seduto alla scrivania nell’atto di scrivere un’ultima lettera anche ai suoi familiari.
L’episodio di Taranto è solo l’ultimo di una lunga serie: lo scorso marzo era successo a Garbagnate, nel Milanese. Una donna aveva annunciato l’intenzione di uccidersi, sempre sul suo profilo: allora la segnalazione al 112, e poi alla Polizia Postale, era arrivata da un utente della provincia di Imperia. La donna era stata raggiunta nel giro di un quarto d’ora, e trovata in uno stato confusionale e malnutrita. E poi a febbraio, ancora, protagonista sempre una donna, stavolta di Teramo: il tam tam degli amici, che avevano letto le sue parole di addio sulla bacheca del suo profilo, l’ha salvata.
«Sono episodi che parlano di due aspetti fondamentali del mondo dei social network e, in particolare, di Facebook», spiega il sociologo Giuseppe Romano. Il primo è quello di una realtà basata sempre più sulla Rete come mezzo di comunicazione: «Quello che avviene online – continua Romano –, quello che si fa o si annuncia sul proprio profilo non è 'altro' dalla realtà. È qualcosa che c’entra con la vita di ciascuno, che parla di solitudine vera, di problemi concreti, non è solo 'virtuale'». Ecco allora che sempre più persone oggi esprimono il proprio disagio reale su Facebook, lanciando richieste d’aiuto, di confronto e di dialogo. «Ma l’aspetto più meritevole d’attenzione, per quanto riguarda l’episodio di Taranto – spiega ancora Romano –, è che dall’altra parte c’è qualcuno che ascolta, che ha ascoltato. Segno che Facebook non è soltanto un’anticamera in cui tutti passano, si fermano per breve tempo, e poi vanno via. In questo caso il social network è diventato un salotto in cui ci si è seduti e si è formata una 'famiglia', in cui la dimensione dell’altro è stata presa in considerazione seriamente». Che poi dovrebbe essere la vocazione l’obiettivo stesso delle comunità online: «Alla civiltà della Rete globale serve questa dimensione umana, senza la quale la comunicazione tra persone diventa solo un involucro vuoto – conclude Romano –. E senza la quale, come a volta la cronaca ci ha tristemente messo sotto gli occhi, anche gli appelli più disperati possono scivolare via».
Così, per il sociologo Giuseppe Romano, il social network può diventare «spazio reale di aiuto e ascolto»
«Avvenire» del 6 luglio 2010
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