Il linguista Tullio De Mauro analizza Slangopedia, la nostra enciclopedia online del gergo giovanile. Scoprendo che i ragazzi mescolano parole dialettali ad anglicismi e ad acronimi internettiani. Il risultato? Un lessico allo stesso tempo vecchio e nuovo
di Maria Simonetti
I suoi corsi di Filosofia del Linguaggio all'università la Sapienza di Roma, negli anni Settanta, erano più affollati di un concerto rock, con studenti assiepati fin nel corridoio. Il linguista Tullio De Mauro, accademico della Crusca, ne ha viste e sentite tante di parole nella sua carriera. Gli abbiamo chiesto dunque di commentare la nostra Slangopedia, il vocabolario online di slang giovanili autocompilato via mail dai giovani lettori de "L'espresso".
Dopo aver gentilmente letto più delle 1200 parole del nostro gergo giovanile, qual è la sua impressione?
«Oggi assistiamo a un fenomeno che non si registra solo nel gergo: lo sdoganamento dei dialetti. Così come la rughetta dal Centro e dal Sud è partita per il Nord mentre il radicchio dal Nord è sceso giù al Centro Sud, anche gli elementi dialettali sono andati in giro per l'Italia. Questa trasmigrazione e contaminazione si registra in molte parole, segnalate da Slangopedia come slang, ma in realtà con una radice dialettale ben precisa».
Può fare qualche esempio?
«La parola "lambascione" con il significato di "stupidone", avvertita da un settentrionale come elemento gergale, è di certo una parola di origine pugliese-abruzzese-lucana. Che, indicando una pianta a bulbo tipo cipolla ma più povera di sapore (da cui l'estensione metaforica di "scemotto") ha tante varianti da supermercato come "lampacione" o "lampaciuolo". È un fenomeno che accade spesso: "abbioccarsi" ad esempio viene proposto da una ragazza di Parma come slang («provare una sensazione di sonnolenza»), mentre è una parola romanesca che significa appennicarsi».
Parole dialettali sentite come neologismi giovanili, dunque.
«Sì. E in questo passeggiare dei dialetti su e giù per la penisola c'è da notare anche l'esportazione dal Sud di tutto il vocabolario più intensamente affettivo, dalla vita sessuale a ingiurie e offese. Parole che hanno conquistato il Nord, come "minchia" e "minchione", che sono di origine siciliana, o "fesso", di origine napoletana».
A questo proposito noi, bravissimi, abbiamo nella Slangopedia «minchianè», perfetta sintesi di "minchia", dal Sud, con l'intercalare "nè" tipico del Nord.
«E comunque, insegnando all'Università, ho notato nelle ragazze, dagli anni Sessanta in poi, una maggior propensione all'uso proprio dell'Italiano: loro restano più colpite dalle proposte dialettali. Ecco infatti nella Slangopedia due ragazze catanesi proporre "abbummato" come slang; o la classe II D della scuola media Giovanni Pascoli Cadelbosco Di Sopra, Reggio Emilia («Stiamo consultando la Slangopedia con la prof di italiano», scrivono) che propone "arrapare" (= eccitarsi sessualmente), un termine romanesco ormai standard ma sentito come gergale. In conclusione, i dialetti sono una discreta fonte di molti neologismi».
Altre fonti, Professore?
«Diciamo però che esiterei a rubricare come linguaggio giovanile il gergo informatico e delle chat. L'acronimo AFK, ad esempio (Away From my Keyboard, per dire che si sta abbandonando temporaneamente la tastiera) esiste da tanti anni nell'uso internazionale. Allo stesso modo alcuni segni grafici come ke, +, x, - non mi paiono giovanilismi: già li vedevo affiorare negli scritti a mano delle mie povere alunne che tartassavo di esercizi. Si tratta piuttosto di scritture informali che di giovanilismi».
E invece?
«Naturalmente come fonte di neologismi c'è l'Inglese, o rimbalzi dall'Inglese. Si va abbastanza sul sicuro con le parole derivate. Ad esempio "lolloso" (acronimo di lot of laugh, vuol dire farsi un sacco di risate) o "lollare" sono due termini molto nuovi e divertenti, sicuramente adattati da to laugh, ridere in Inglese.
Quale parte di Slangopedia le è piaciuta di più, Professore?
«Di certo quella che riguarda il look (da "dredduso" a "fumobici", "fagiana", "pitona" e via di questo passo, ndr), la parte più autenticamente ed esplicitamente giovanile, più scherzosa e gioviale. Bisognerà vedere nel tempo come dureranno, queste parole. Che fine faranno tra dieci anni. Ricordate il gergo dei metallari, negli anni Settanta? Dilagò improvvisamente, ci furono studi, convegni. Dopo dieci anni mi capitò di andare in giro con una programmista Rai a cercare di registrare quel linguaggio: nessuno si ricordava più una sola parola. Diremo ancora «Ho lollato moltissimo alla serata di ieri», tra dieci anni? Chissà. Staremo a vedere».
Dopo aver gentilmente letto più delle 1200 parole del nostro gergo giovanile, qual è la sua impressione?
«Oggi assistiamo a un fenomeno che non si registra solo nel gergo: lo sdoganamento dei dialetti. Così come la rughetta dal Centro e dal Sud è partita per il Nord mentre il radicchio dal Nord è sceso giù al Centro Sud, anche gli elementi dialettali sono andati in giro per l'Italia. Questa trasmigrazione e contaminazione si registra in molte parole, segnalate da Slangopedia come slang, ma in realtà con una radice dialettale ben precisa».
Può fare qualche esempio?
«La parola "lambascione" con il significato di "stupidone", avvertita da un settentrionale come elemento gergale, è di certo una parola di origine pugliese-abruzzese-lucana. Che, indicando una pianta a bulbo tipo cipolla ma più povera di sapore (da cui l'estensione metaforica di "scemotto") ha tante varianti da supermercato come "lampacione" o "lampaciuolo". È un fenomeno che accade spesso: "abbioccarsi" ad esempio viene proposto da una ragazza di Parma come slang («provare una sensazione di sonnolenza»), mentre è una parola romanesca che significa appennicarsi».
Parole dialettali sentite come neologismi giovanili, dunque.
«Sì. E in questo passeggiare dei dialetti su e giù per la penisola c'è da notare anche l'esportazione dal Sud di tutto il vocabolario più intensamente affettivo, dalla vita sessuale a ingiurie e offese. Parole che hanno conquistato il Nord, come "minchia" e "minchione", che sono di origine siciliana, o "fesso", di origine napoletana».
A questo proposito noi, bravissimi, abbiamo nella Slangopedia «minchianè», perfetta sintesi di "minchia", dal Sud, con l'intercalare "nè" tipico del Nord.
«E comunque, insegnando all'Università, ho notato nelle ragazze, dagli anni Sessanta in poi, una maggior propensione all'uso proprio dell'Italiano: loro restano più colpite dalle proposte dialettali. Ecco infatti nella Slangopedia due ragazze catanesi proporre "abbummato" come slang; o la classe II D della scuola media Giovanni Pascoli Cadelbosco Di Sopra, Reggio Emilia («Stiamo consultando la Slangopedia con la prof di italiano», scrivono) che propone "arrapare" (= eccitarsi sessualmente), un termine romanesco ormai standard ma sentito come gergale. In conclusione, i dialetti sono una discreta fonte di molti neologismi».
Altre fonti, Professore?
«Diciamo però che esiterei a rubricare come linguaggio giovanile il gergo informatico e delle chat. L'acronimo AFK, ad esempio (Away From my Keyboard, per dire che si sta abbandonando temporaneamente la tastiera) esiste da tanti anni nell'uso internazionale. Allo stesso modo alcuni segni grafici come ke, +, x, - non mi paiono giovanilismi: già li vedevo affiorare negli scritti a mano delle mie povere alunne che tartassavo di esercizi. Si tratta piuttosto di scritture informali che di giovanilismi».
E invece?
«Naturalmente come fonte di neologismi c'è l'Inglese, o rimbalzi dall'Inglese. Si va abbastanza sul sicuro con le parole derivate. Ad esempio "lolloso" (acronimo di lot of laugh, vuol dire farsi un sacco di risate) o "lollare" sono due termini molto nuovi e divertenti, sicuramente adattati da to laugh, ridere in Inglese.
Quale parte di Slangopedia le è piaciuta di più, Professore?
«Di certo quella che riguarda il look (da "dredduso" a "fumobici", "fagiana", "pitona" e via di questo passo, ndr), la parte più autenticamente ed esplicitamente giovanile, più scherzosa e gioviale. Bisognerà vedere nel tempo come dureranno, queste parole. Che fine faranno tra dieci anni. Ricordate il gergo dei metallari, negli anni Settanta? Dilagò improvvisamente, ci furono studi, convegni. Dopo dieci anni mi capitò di andare in giro con una programmista Rai a cercare di registrare quel linguaggio: nessuno si ricordava più una sola parola. Diremo ancora «Ho lollato moltissimo alla serata di ieri», tra dieci anni? Chissà. Staremo a vedere».
«L'Espresso» del 30 giugno 2010
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