di Alberto Meomartini *
La riforma della scuola secondaria è un fatto importante per il sistema delle imprese. L'accorpamento degli indirizzi dell'istruzione tecnica e professionale, ad esempio, risponde meglio all'evoluzione sempre più rapida dei mestieri e delle professioni che, nella società della conoscenza, rendono facilmente obsoleti livelli eccessivi di specializzazione.
Ma c'è un altro elemento del nuovo impianto della scuola superiore che tocca da vicino il mondo delle imprese: il richiamo alla formazione delle competenze dei giovani e l'introduzione di modelli di apprendimento ispirati non soltanto al trasferimento di conoscenze, ma alla loro applicazione.
In una società moderna, lo sviluppo delle competenze deve essere l'obiettivo dell'intero sistema formativo: dalla scuola all'università, fino alla formazione continua sul posto di lavoro. Ed è bene sgombrare il campo da equivoci e polemiche improduttive: a misurarsi con la sfida delle competenze deve essere tutta la scuola superiore, non soltanto l'istruzione tecnica e professionale. In questo senso, non vi è alcuna intenzione di contrapporre modelli educativi fondati sul trasferimento di saperi e discipline con stili di apprendimento incentrati sullo sviluppo di abilità e prestazioni. Quasi fosse uno "scontro di culture" dal quale deriverebbe, a detta di alcuni, una pretesa superiorità dei licei, perché funzionali allo sviluppo di competenze disciplinari "pure" rispetto agli altri tipi di scuola dove, invece, il trasferimento disciplinare avverrebbe solo in forma ridotta e in chiave strumentale.
In realtà, nessuna di queste impostazioni è corretta ed è il frutto di attribuzioni improprie di significato ai concetti di competenza e conoscenza. Proviamo a fare chiarezza. È un grosso errore di fondo identificare le competenze con l'acquisizione di abilità specifiche legate solo a una particolare professione, secondo elenchi e schemi classificatori rigidamente preordinati. Se così fosse, l'istruzione liceale si distinguerebbe davvero, contrapponendosi, a quella tecnica, diventando la scuola della conoscenza intesa come fondamento di una professionalità "alta" che si costruirà poi con la specializzazione universitaria. Ma la competenza è ben altro: è - molto semplicemente - la capacità di "usare" la conoscenza. Basterebbe ricordarci di questo per non temere che una didattica organizzata per competenze possa nuocere alla conoscenza.
La competenza si esercita di fronte a situazioni reali, di vita o di lavoro, che richiedono di saper combinare in modo efficace un sistema organizzato di conoscenze e di utilizzarle in una pluralità di situazioni, spesso anche molto differenti tra loro. Sviluppare competenze significa, dunque, saper fare bene una cosa, sapere perché farla in un certo modo e sapere come ripeterla, anche se cambiano le condizioni di contesto: è ovvio che questo processo non può avvenire in assenza delle conoscenze necessarie. In questo senso, le competenze rappresentano una risorsa decisiva per il successo delle persone e una condizione essenziale perché siano competitive nel mercato del lavoro.
Sotto questo punto di vista, anche il più umanistico dei licei è perfettamente in grado di garantire lo sviluppo di competenze e abilità specifiche e utilizzabili nella vita reale. Ma è anche vero che è soprattutto la cultura tecnica e tecnologica che realizza in modo più compiuto questa sintesi tra conoscenza e capacità di applicazione. Ed è proprio l'istruzione tecnica a dover temere i danni maggiori dalla diatriba tra "disciplinaristi" e "prestazionisti", perché rischia di rimanere a metà del guado. Al contrario, gli istituti tecnici devono essere il primo, fondamentale "luogo" formativo dove i giovani si avvicinano alla cultura tecnologica e dell'innovazione. Una cultura di cui non soltanto il mondo produttivo, ma tutto il paese ha grande bisogno.
Ma c'è un altro elemento del nuovo impianto della scuola superiore che tocca da vicino il mondo delle imprese: il richiamo alla formazione delle competenze dei giovani e l'introduzione di modelli di apprendimento ispirati non soltanto al trasferimento di conoscenze, ma alla loro applicazione.
In una società moderna, lo sviluppo delle competenze deve essere l'obiettivo dell'intero sistema formativo: dalla scuola all'università, fino alla formazione continua sul posto di lavoro. Ed è bene sgombrare il campo da equivoci e polemiche improduttive: a misurarsi con la sfida delle competenze deve essere tutta la scuola superiore, non soltanto l'istruzione tecnica e professionale. In questo senso, non vi è alcuna intenzione di contrapporre modelli educativi fondati sul trasferimento di saperi e discipline con stili di apprendimento incentrati sullo sviluppo di abilità e prestazioni. Quasi fosse uno "scontro di culture" dal quale deriverebbe, a detta di alcuni, una pretesa superiorità dei licei, perché funzionali allo sviluppo di competenze disciplinari "pure" rispetto agli altri tipi di scuola dove, invece, il trasferimento disciplinare avverrebbe solo in forma ridotta e in chiave strumentale.
In realtà, nessuna di queste impostazioni è corretta ed è il frutto di attribuzioni improprie di significato ai concetti di competenza e conoscenza. Proviamo a fare chiarezza. È un grosso errore di fondo identificare le competenze con l'acquisizione di abilità specifiche legate solo a una particolare professione, secondo elenchi e schemi classificatori rigidamente preordinati. Se così fosse, l'istruzione liceale si distinguerebbe davvero, contrapponendosi, a quella tecnica, diventando la scuola della conoscenza intesa come fondamento di una professionalità "alta" che si costruirà poi con la specializzazione universitaria. Ma la competenza è ben altro: è - molto semplicemente - la capacità di "usare" la conoscenza. Basterebbe ricordarci di questo per non temere che una didattica organizzata per competenze possa nuocere alla conoscenza.
La competenza si esercita di fronte a situazioni reali, di vita o di lavoro, che richiedono di saper combinare in modo efficace un sistema organizzato di conoscenze e di utilizzarle in una pluralità di situazioni, spesso anche molto differenti tra loro. Sviluppare competenze significa, dunque, saper fare bene una cosa, sapere perché farla in un certo modo e sapere come ripeterla, anche se cambiano le condizioni di contesto: è ovvio che questo processo non può avvenire in assenza delle conoscenze necessarie. In questo senso, le competenze rappresentano una risorsa decisiva per il successo delle persone e una condizione essenziale perché siano competitive nel mercato del lavoro.
Sotto questo punto di vista, anche il più umanistico dei licei è perfettamente in grado di garantire lo sviluppo di competenze e abilità specifiche e utilizzabili nella vita reale. Ma è anche vero che è soprattutto la cultura tecnica e tecnologica che realizza in modo più compiuto questa sintesi tra conoscenza e capacità di applicazione. Ed è proprio l'istruzione tecnica a dover temere i danni maggiori dalla diatriba tra "disciplinaristi" e "prestazionisti", perché rischia di rimanere a metà del guado. Al contrario, gli istituti tecnici devono essere il primo, fondamentale "luogo" formativo dove i giovani si avvicinano alla cultura tecnologica e dell'innovazione. Una cultura di cui non soltanto il mondo produttivo, ma tutto il paese ha grande bisogno.
* Presidente di Assolombarda e della Commissione università di Confindustria
«Il Sole 24 Ore» del 10 luglio 2010
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