religiosa sulla sua tensione verso Dio non sono necessariamente contrapposte, anzi: rinunciando a facili schematismi ideologici, la collaborazione può essere proficua per entrambi i filoni. Due esperti a confronto
Lo psichiatra Smeraldi: «Fede al vertice dell’attività cerebrale»
di Enrico Smeraldi
di Enrico Smeraldi
Chi pensasse che la 'scienza della mente' e la 'scienza dell’anima' irreconciliabili opposti, quasi due nemici che, nel migliore dei casi si ignorano, nel peggiore si combattono, probabilmente ha una visione stereotipata e riduttiva della realtà. L’idea di un contraddittorio tra psichiatra e teologia non è del tutto nuova: nel 1933 Adler, figura di spicco della nascente psichiatria dinamica, aveva scritto un libro su questo tema con il pastore luterano Jahn, libro che venne subito distrutto dal potere nazista. Anche Pierre Janet aveva progettato un testo sulla psicologia della religione, purtroppo mai realizzato. Questo testimonia la presenza di aree di competenza comune, anche se – ed è proprio questo ad essere interessante – le soluzioni offerte ai quesiti sono molteplici e per il versante psichiatrico anche in relazione a significati e riflessioni generate dalla evoluzione scientifica. D’altra parte, il presente tentativo nasce in un ambito di clinica psichiatrica più che di psicologia.
Personalmente, oltre alla possibile collaborazione, vedo più di un punto di contatto tra teologia e psichiatria. Vorrei iniziare sottolineandone due. Il primo è rappresentato dalle domande di fondo che entrambe si pongono. Il mondo della religione, o della teologia, quando entra in comunicazione con gli uomini, parte da alcune domande alle quali si propone di dare una risposta. Sono le domande essenziali per ogni vita umana: chi siamo, che senso ha la nostra vita, quali sono i valori sui quali si basa la nostra esistenza, qual è il destino che ci aspetta. Ebbene, queste stesse domande sono anche il punto di partenza della psichiatria. Poiché è difficile parlare con un malato che si pone problemi esistenziali – e i malati psichici se li pongono – senza confrontarsi con questi interrogativi fondamentali. Infatti solo gradatamente e lentamente la spiritualità viene distinguendosi da ciò che è semplicemente psichico, come in una sorta di scala di attività mentali superiori: pensiero concettuale, volere deliberato, creatività artistica, riflessione filosofica e, in ultimo, esperienza religiosa.
Vi è poi un altro forte punto di contatto tra psichiatria e teologia, che definirei 'della costruzione'. Intendo dire che i malati (ma l’affermazione riguarda anche tutti noi) costruiscono psicologicamente la religiosità, intesa come continua propensione verso la sfera divina e soprannaturale. In questa accezione, l’oggetto non è quindi la religione in sé, ma l’intreccio di strutture e processi psichici attraverso i quali il soggetto, durante il percorso di costruzione della propria identità personale, si relaziona con il divino e la religione che incontra nel suo ambiente sociale e culturale. Sia l’adesione di fede sia il rifiuto ateo può essere studiato e capito in psicologia come funzione della persona, dei suoi dinamismi intrapsichici e delle loro risoluzioni. In termini psicologici puri, anche una scelta di ateismo è una forma di religiosità.
Di là a quello che può essere il proprio credo personale, tutti si pongono il problema del divino, tutti cercano qualcosa che sfugge al controllo, che ha regole diverse dalla razionalità pura e semplice. Non amo la scelta in negativo che spesso gli psichiatri fanno, eliminando la questione: anche se non se ne parla il problema esiste, quanto è innegabile che esiste un’esperienza religiosa. E i malati psichici quell’esperienza la vivono e, quando possibile, ne parlano. Nella loro prospettiva la prassi psichiatrica proposta può, quindi risultare appiattita e impoverita rispetto a dalle esigenze che, al contrario, sono spesso amplificate dai contenuti patologici. Così accade che quando uno psichiatra ha una sua fede religiosa molti colleghi lo considerano strano e gli chiedono come fa a conciliarla con la psichiatria, mentire i pazienti che ne sono consapevoli lo trovano del tutto naturale.
Personalmente, oltre alla possibile collaborazione, vedo più di un punto di contatto tra teologia e psichiatria. Vorrei iniziare sottolineandone due. Il primo è rappresentato dalle domande di fondo che entrambe si pongono. Il mondo della religione, o della teologia, quando entra in comunicazione con gli uomini, parte da alcune domande alle quali si propone di dare una risposta. Sono le domande essenziali per ogni vita umana: chi siamo, che senso ha la nostra vita, quali sono i valori sui quali si basa la nostra esistenza, qual è il destino che ci aspetta. Ebbene, queste stesse domande sono anche il punto di partenza della psichiatria. Poiché è difficile parlare con un malato che si pone problemi esistenziali – e i malati psichici se li pongono – senza confrontarsi con questi interrogativi fondamentali. Infatti solo gradatamente e lentamente la spiritualità viene distinguendosi da ciò che è semplicemente psichico, come in una sorta di scala di attività mentali superiori: pensiero concettuale, volere deliberato, creatività artistica, riflessione filosofica e, in ultimo, esperienza religiosa.
Vi è poi un altro forte punto di contatto tra psichiatria e teologia, che definirei 'della costruzione'. Intendo dire che i malati (ma l’affermazione riguarda anche tutti noi) costruiscono psicologicamente la religiosità, intesa come continua propensione verso la sfera divina e soprannaturale. In questa accezione, l’oggetto non è quindi la religione in sé, ma l’intreccio di strutture e processi psichici attraverso i quali il soggetto, durante il percorso di costruzione della propria identità personale, si relaziona con il divino e la religione che incontra nel suo ambiente sociale e culturale. Sia l’adesione di fede sia il rifiuto ateo può essere studiato e capito in psicologia come funzione della persona, dei suoi dinamismi intrapsichici e delle loro risoluzioni. In termini psicologici puri, anche una scelta di ateismo è una forma di religiosità.
Di là a quello che può essere il proprio credo personale, tutti si pongono il problema del divino, tutti cercano qualcosa che sfugge al controllo, che ha regole diverse dalla razionalità pura e semplice. Non amo la scelta in negativo che spesso gli psichiatri fanno, eliminando la questione: anche se non se ne parla il problema esiste, quanto è innegabile che esiste un’esperienza religiosa. E i malati psichici quell’esperienza la vivono e, quando possibile, ne parlano. Nella loro prospettiva la prassi psichiatrica proposta può, quindi risultare appiattita e impoverita rispetto a dalle esigenze che, al contrario, sono spesso amplificate dai contenuti patologici. Così accade che quando uno psichiatra ha una sua fede religiosa molti colleghi lo considerano strano e gli chiedono come fa a conciliarla con la psichiatria, mentire i pazienti che ne sono consapevoli lo trovano del tutto naturale.
«C’è una scala di attività mentali superiori: pensiero concettuale, creatività artistica, riflessione filosofica ed esperienza religiosa»
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Il teologo Coda: «Convergere verso il bene dell’uomo»
di Piero Coda
Il teologo Coda: «Convergere verso il bene dell’uomo»
di Piero Coda
Quando si parla dell’anima e della mente, del loro significato essenziale e della loro interazione, credo si possa aprire un vasto e proficuo spazio di dialogo, tra il teologo e lo psichiatra. Ovviamente, se e in quanto questi due concetti vengono riferiti – almeno in una prima approssimazione, bisognosa poi di essere adeguatamente precisata e approfondita – a due 'oggetti' di esperienze e di intelligenza certo diversi l’uno dall’altro e tra loro distinti, ma di cui al tempo stesso è necessario cogliere e studiare la correlazione.
Io, ad esempio, intendo per anima, nel senso della filosofia classica e più precisamente, della tradizione religiosa cristiana, quella dimensione dell’essere umano che conferisce a esso unità e identità in virtù della sua sporgenza eccentrica, rispetto al mondo, sul mistero di Dio. Mentre, guardando alla psicologia nel senso moderno del termine e alle neuroscienze, intendo per mente quel territorio del nostro esistere in cui interagiscono la sostanza materiale e biologica con quella psichica e cognitiva. Quando i due concetti sono intesi in questa prospettiva – pur in una varietà di approcci e di comprensioni che può essere molto diversificata – tra il teologo e lo psichiatra si stabilisce un comune terreno d’interesse di ricerca e di dialogo. E ciò – lo esprimo dal mio punto di vista – innanzitutto perché il teologo si occupa di una tradizione di origine religiosa e di natura religiosa che ha una finalità precisa: quella di essere al servizio della maturazione e della realizzazione integrale della persona, guardando alla decisività del suo rapporto con Dio e, in Dio, con tutto il resto. Il che – per quanto concerne la sanità e lo sviluppo armonico del sé – è anche lo scopo della psichiatria. Il teologo cristiano in realtà muove dall’esperienza di fede in un evento che è, allo stesso tempo, per lui inaudito, e umanissimo: il farsi uomo del figlio di Dio, Parola del Padre rivolta definitivamente al mondo, che dischiude all’uomo l’orizzonte realistico e integrale della sua straordinaria vocazione. Di conseguenza, tutto ciò che vi è di autenticamente umano, ha per il teologo un significato immensamente importante: proprio perché Gesù, in esso si apre e si compie nella relazione al divino, che come tale lo rispetta e lo introduce in una attuazione di sé che colma le sue aspirazioni più originarie e radicali. D’altra parte, il teologo vede con grande interesse quel profilo nuovo e specifico di lettura dell’esperienza antropologica che la tradizione psicoanalitica e psichiatrica hanno rinvenuto, e di cui diventa importante e prezioso avvalersi per approfondire la conoscenza di quel mistero che l’uomo è a se stesso, e delle dinamiche della sua avventura.
Una teologia che sia autenticamente teologia, se non altro per i due motivi non appena enunciati, deve quindi essere positivamente attenta all’apporto che viene dalla ricerca e dalle acquisizioni dello psicoanalista o dello psichiatra. Essendo al tempo stesso consapevole dell’apporto originale e indispensabile che essa è chiamata in prima persona a offrire nella decifrazione del mistero dell’uomo. Un apporto che, a ben vedere, si indirizza in una duplice direzione. Da un lato, di incontra con un approccio filosofico e metafisico all’esistenza umana che lo vede irriducibile ai dinamismi materiali, psichici e sociali in cui si incarna: perché fondata da e aperta a un’esperienza del trascendente. E, dall’altro, si sviluppa secondo una modalità specifica in quando nasce dall’intelligenza di ciò che rappresenta per l’esistenza umana l’esperienza inedita che ha fatto irruzione nella storia con l’evento di Gesù Cristo, esperienza che continua a vivere e a dare frutti nella pratica di coloro che condividono come Chiesa la sequela di Gesù.
Io, ad esempio, intendo per anima, nel senso della filosofia classica e più precisamente, della tradizione religiosa cristiana, quella dimensione dell’essere umano che conferisce a esso unità e identità in virtù della sua sporgenza eccentrica, rispetto al mondo, sul mistero di Dio. Mentre, guardando alla psicologia nel senso moderno del termine e alle neuroscienze, intendo per mente quel territorio del nostro esistere in cui interagiscono la sostanza materiale e biologica con quella psichica e cognitiva. Quando i due concetti sono intesi in questa prospettiva – pur in una varietà di approcci e di comprensioni che può essere molto diversificata – tra il teologo e lo psichiatra si stabilisce un comune terreno d’interesse di ricerca e di dialogo. E ciò – lo esprimo dal mio punto di vista – innanzitutto perché il teologo si occupa di una tradizione di origine religiosa e di natura religiosa che ha una finalità precisa: quella di essere al servizio della maturazione e della realizzazione integrale della persona, guardando alla decisività del suo rapporto con Dio e, in Dio, con tutto il resto. Il che – per quanto concerne la sanità e lo sviluppo armonico del sé – è anche lo scopo della psichiatria. Il teologo cristiano in realtà muove dall’esperienza di fede in un evento che è, allo stesso tempo, per lui inaudito, e umanissimo: il farsi uomo del figlio di Dio, Parola del Padre rivolta definitivamente al mondo, che dischiude all’uomo l’orizzonte realistico e integrale della sua straordinaria vocazione. Di conseguenza, tutto ciò che vi è di autenticamente umano, ha per il teologo un significato immensamente importante: proprio perché Gesù, in esso si apre e si compie nella relazione al divino, che come tale lo rispetta e lo introduce in una attuazione di sé che colma le sue aspirazioni più originarie e radicali. D’altra parte, il teologo vede con grande interesse quel profilo nuovo e specifico di lettura dell’esperienza antropologica che la tradizione psicoanalitica e psichiatrica hanno rinvenuto, e di cui diventa importante e prezioso avvalersi per approfondire la conoscenza di quel mistero che l’uomo è a se stesso, e delle dinamiche della sua avventura.
Una teologia che sia autenticamente teologia, se non altro per i due motivi non appena enunciati, deve quindi essere positivamente attenta all’apporto che viene dalla ricerca e dalle acquisizioni dello psicoanalista o dello psichiatra. Essendo al tempo stesso consapevole dell’apporto originale e indispensabile che essa è chiamata in prima persona a offrire nella decifrazione del mistero dell’uomo. Un apporto che, a ben vedere, si indirizza in una duplice direzione. Da un lato, di incontra con un approccio filosofico e metafisico all’esistenza umana che lo vede irriducibile ai dinamismi materiali, psichici e sociali in cui si incarna: perché fondata da e aperta a un’esperienza del trascendente. E, dall’altro, si sviluppa secondo una modalità specifica in quando nasce dall’intelligenza di ciò che rappresenta per l’esistenza umana l’esperienza inedita che ha fatto irruzione nella storia con l’evento di Gesù Cristo, esperienza che continua a vivere e a dare frutti nella pratica di coloro che condividono come Chiesa la sequela di Gesù.
«La sanità e lo sviluppo armonico del sé sono obiettivi comuni alle due tradizioni, quella medica e quella teologica»
«Avvenire» del 6 luglio 2010
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