La manifestazione Dal 15 al 18 aprile lezioni di storia, spettacoli e incontri a Palazzo Ducale Il dibattito Il nuovo profilo europeo: nel 1880 erano circa venti Paesi, oggi più del doppio
di Dino Messina
Conciliare globalizzazione e localismi: sfida per una moderna identità culturale
Nel 1880 gli Stati nazione europei erano una ventina, oggi sono 45, più del doppio. Forse occorre partire da questo dato per capire quanto attuale sia il tema, «Nascita delle nazioni», con cui si apre la prima edizione de «La storia in piazza», manifestazione di dibattito storico e culturale che si svolgerà a Genova da giovedì 15 a domenica 18 aprile e che avrà, naturalmente, al centro della discussione il 150° anniversario dell' unità d' Italia, che cade il 17 marzo 2011. Ma in una prospettiva nient'affatto provinciale o celebrativa. Il punto di vista da cui si guarderà alla nostra vicenda unitaria sarà quello internazionale, come garantisce già la scelta del direttore scientifico della manifestazione, Donald Sassoon, professore di storia europea comparata al Queen Mary college di Londra e autore tra l'altro dell'ampio saggio La cultura degli europei. Dal 1800 a oggi (Rizzoli, 2008) in cui le esperienze dei diversi Paesi vengono messe a confronto e cadono gli steccati tra alto e basso. Anche la lezione di Sassoon nella giornata inaugurale, «La giovinezza delle nazioni in un antico mondo globale», darà conto dell'intrecciarsi delle vicende, in linea con il programma che prevede gli interventi di un qualificato gruppo internazionale di studiosi su Stati Uniti, Francia, Germania, Medio Oriente. «Ho voluto evitare - dice Sassoon - di considerare l'Italia come un caso unico, perché così non è: nell' Ottocento il concetto di nazione si rinnova negli Stati Uniti dopo la guerra di secessione, in Francia con la Terza Repubblica, per non parlare delle esperienze tedesca e belga. Manca una sessione dedicata alla Gran Bretagna perché nel XIX secolo era uno dei pochi Paesi che esistevano già in quanto nazione. Tuttavia bisogna tener conto che anche in questo caso i confini cambiano in continuazione. La Gran Bretagna, comprendente anche la Scozia, esiste dal 1707, mentre il Regno Unito, con l'Irlanda, risale al 1800, e nel 1922 con l'indipendenza irlandese i confini mutarono ancora». I centocinquant'anni dell'unità d'Italia cadono in un momento di trionfo dei localismi. E l'identità europea non è ancora così forte da parare le tentazioni centrifughe. «La domanda se conti più essere italiano o lombardo - continua Sassoon - si ripete in maniera analoga in Spagna, per i baschi e i catalani, o in Belgio, dove si accentua la divisione tra francofoni e fiamminghi, o nella stessa Gran Bretagna, con le tensioni indipendentiste in Scozia». E l'Europa? «Non ha certamente la forza di aggregazione di una nazione. Non basta la moneta unica per fare uno Stato, occorrono una difesa e soprattutto un fisco comune. Ma nessuno dei leader nazionali vuol dare alla Ue la capacità impositiva». In queste quattro giornate di analisi tra passato e presente, a Sergio Romano, storico ed editorialista del «Corriere della sera» che ha da poco ripubblicato presso Longanesi la sua «Storia della Francia» con un aggiornamento fino a Sarkozy, toccherà dialogare domenica 18 con Anne-Marie Thiesse su «fare i francesi». Compito forse più agevole di quel «fare gli italiani» diventato un refrain d'obbligo, quasi un luogo comune, ogniqualvolta si parla di unità. «Tra gli esempi che porterò - anticipa Romano - c' è quello della cessione alla Francia di Nizza e Savoia. Francesizzare la Savoia era un compito facilitato dalla comune lingua, ostacoli più seri poneva Nizza. Eppure dopo pochi decenni queste due regioni erano completamente assimilate, meglio di alcune aree del nostro Sud. Certo la Francia partiva da posizioni di tutto rispetto che vennero rafforzate nella Terza Repubblica nata dopo Sedan: fu allora che si cominciò tra l' altro a celebrare il 14 luglio, presa della Bastiglia, come festa nazionale. L' Italia non fu mai capace di una politica pedagogica paragonabile a quella francese: anche la celebrazione di Vittorio Veneto fu presto inficiata dal mito negativo della vittoria mutilata». Parlare compiutamente di nascita della nazione italiana è quasi impossibile senza il paragone con la coeva esperienza tedesca. Un parallelo su cui rifletterà venerdì 16 lo storico e politologo Gian Enrico Rusconi, soffermandosi in particolare sul confronto tra Cavour e Bismarck. «Purtroppo Cavour morì presto, nel 1861, mentre Bismarck governò per circa trent' anni, ma i due personaggi lasciarono un'imprinting storico ancora oggi iscritto nel carattere delle due nazioni. Il liberale Cavour era circondato da politici (e avversari) litigiosi, a volte di prim' ordine, come Garibaldi e Mazzini. Personalità paragonabili non le ritroviamo in Germania, dove può affermarsi il cancelliere di ferro, rappresentante di un sistema dall'impronta autoritaria e illiberale, con il quale la Germania diventa la prima potenza continentale europea».
«Corriere della Sera» del 10 aprile 2010
Nessun commento:
Posta un commento