di Pier Giorgio Liverani
Genera stupore il modo piuttosto confusionario in cui Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale, legge, in un suo libro, la storia dei rapporti tra Stato e Chiesa e l’opera di quest’ultima. Secondo lui (o almeno secondo la recensione dell’ Unità, martedì 20) «la Chiesa cattolica, nella sua tendenza 'colonizzatrice', sta cercando di appropriarsi anche della categoria di laicità [...] tacitando il dato storico che la vede invece come una conquista affermata 'contro' la Chiesa». Il Presidente emerito innanzitutto trascura l’invenzione della laicità da parte di Gesù ('Date a Cesare...'), poi quella del suo nome da parte di papa Clemente (I sec.) e, infine, la tardiva trasformazione della laicità in laicismo operata dall’Illuminismo. Spiega anche che la Chiesa ha «a cuore soprattutto la salvezza della società, non quella delle anime» e, invece di esprimerle gratitudine, l’accusa perché «non si è posta come istanza di valori religiosi, ma come garante del rispetto della persona umana in quanto tale». La Chiesa fa, insomma, anche quello che il laicismo trascura guardando all’uomo come a un oggetto disponibile (aborto, fecondazione artificiale, eutanasia, uso degli embrioni...) e inventando il relativismo etico, che demolisce il concetto di persona, fondamentale dato culturale del cristianesimo. Il quale non è una forma di spiritualismo, ma l’annuncio della salvezza integrale dell’uomo. Zagrebelsky dovrebbe rileggere i Vangeli e, magari, anche la 'Lettera a Diogneto' e non ridurre l’Illuminismo a semplice illusionismo.
«Avvenire» del 25 aprile 2010
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La Chiesa ha perso l’anima per governare la vita degli uomini
di Anna Maria Lorusso
In queste giornate di polemiche, scandali, anniversari, interni alla Chiesa e al pontificato di Benedetto XVI, la lettura dell’ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky, Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa al governo dell’uomo (uscito di recente presso Laterza) giunge come un balsamo, a lenire i dolori delle coscienze laiche e a sciogliere alcune distorsioni che sempre più spesso circolano nei discorsi sociali e mediatici. Chiariamo subito un possibile equivoco: il libro di Zagrebelsky non commenta in alcun modo episodi, più o meno recenti, di attualità, in cui la Chiesa è entrata in conflitto con i principi laici dello Stato (per intenderci: non è un libro che parla di Eluana o dei preti pedofili o dei matrimoni fra omosessuali). Il libro (pur senza tecnicismi) si pone a un livello più alto, offrendo una riflessione storica sull’evoluzione dei rapporti fra Chiesa ed etica laica e una definizione, interna al diritto, dei reciproci spazi e delle possibili zone di incontro e conflitto. Il punto di partenza di Zagrebelsky è la constatazione della incompatibilità tra dottrina ecclesiastica ed etica laica, in virtù del presupposto universalistico che sta sotto la dottrina della Chiesa. La legge di Dio deve valere per tutti, non solo per alcuni, e dunque non c’è spazio per la pluralità, se non al prezzo della relativizzazione delle proprie convinzioni. Paura del pluralismo e condanna del relativismo sono le due facce della stessa medaglia. Zagrebelsky più volte sottolinea, a proposito di questo universalismo totalizzante, un problema solo apparentemente marginale, che è quello dell’autocomprensione della Chiesa cattolica, che nella sua tendenza «colonizzatrice» sta cercando di appropriarsi anche della categoria di laicità. La Chiesa si autodefinisce oggi come autorità che da sempre fa propri i valori laici della vita, tacitando però il dato storico che vede invece la laicità come una conquista affermata «contro non con la Chiesa, e meno che mai, a opera della Chiesa».
La confusione. In fondo, quello che questo libro ci aiuta a chiarire è proprio la confusione che si sta operando tra discorso religioso, discorso laico e discorso sociale. Alla Chiesa attuale sembra stare a cuore soprattutto la salvezza della società, non quella delle anime, e questo è il problema. La salvezza delle anime è una questione di fede, quella della società è una questione politica. In una fase di crisi e disorientamento delle soggettività, «la religione viene riscoperta come risorsa politica e la politica è riscoperta come risorsa religiosa». Essa diventa quel fattore di aggregazione che può garantire il legame sociale e si pone come istanza di un «consenso etico di fondo» che dice di voler rispettare i diritti dell’uomo in quanto tale e la sua dignità di persona. (Pensiamo al dibattito sul caso Englaro o a quelli più recenti, e anche pre-elettorali, sulla pillola abortiva: la Chiesa non si è posta come istanza di valori religiosi ma come garante del rispetto della persona umana in quanto tale). Zagrebelsky traccia con assoluta chiarezza il percorso che ha portato la Chiesa a evolvere in questa direzione: dalla religio socialis di fine ‘800 (quando la Chiesa inizia a elaborare una dottrina sociale) alla religio humana della seconda parte del ‘900 (quando la Chiesa prende a presentarsi come paladina della dignità dell’esistenza umana) alla religio civilis del mondo attuale, in cui la Chiesa si presenta come tessuto connettivo, fattore di aggregazione di una società in crisi. A sostenere sul piano dottrinario tale ambizione civile degli ultimi anni, l’idea (centrale nel pontificato di Ratzinger) che le verità religiose non siano solo verità di fede ma piuttosto verità di ragione, come tali condivisibili da cattolici e non. Finché, però, la Chiesa continuerà ad appropriarsi del diritto a governare la vita di tutti gli uomini (non solo dei fedeli che l’hanno scelta come proprio riferimento) il conflitto tra laicità e religione non si risolverà. E continueremo ad ascoltare attoniti condanne, veti, illazioni su comportamenti che hanno spesso solo il limite di non rispondere a una rispettabilissima verità di fede, come tale soggettiva e interiore, ma non universale e tanto meno istituzionale.
«L'Unità» del 20 aprile 2010
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