di Ilaria Nava
Si dice che la diagnosi preimpianto si fondi sul diritto del nascituro a essere sano e su quello dei genitori, portatori di una malattia ereditaria, ad avere un figlio immune da tale patologia. Ma un simile diritto non esiste nel nostro ordinamento, come ha più volte affermato la Cassazione: «È vero che il nostro ordinamento tutela l’embrione fin dal concepimento e che può parlarsi di un diritto a nascere sani, ma detta locuzione va intesa nella sua portata positiva e non negativa. Il diritto a nascere sani significa solo che (...) nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie, e, sotto il profilo pubblicistico, che siano predisposti quegli istituti normativi o quelle strutture di tutela, di cura ed assistenza della maternità, idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, la nascita sana». Più avanti la Corte afferma: «Non significa invece che il feto, che presenti gravi anomalie genetiche, non deve essere lasciato nascere» (sentenza 14488/2004). La stessa Corte ha poi ribadito l’orientamento nella sentenza 16123 del 2006.
Ma oltre a questi orientamenti giurisprudenziali, il divieto esplicito alla diagnosi preimpianto si trova nella legge 40, dove in diversi articoli sono presenti aspetti incompatibili con tale pratica, come ad esempio la norma che vieta la selezione eugenetica, quella che proibisce la crioconservazione e la soppressione dell’embrione, la ricerca o sperimentazione su di esso e quella che prevede che il trasferimento nell’utero avvenga prima possibile. La sentenza della Corte Costituzionale, che il 1° aprile 2009 ha abolito il limite massimo di 3 embrioni per ogni ciclo, ha attenuato le garanzie a favore dell’embrione ma non ha scardinato il divieto della pratica selettiva. La Corte, infatti nella sentenza 369 del 2006 aveva affermato che tale divieto è «desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo alla luce dei suoi criteri ispiratori». D’altra parte le previsioni contenute nella legge 40 sono in armonia con il dettato costituzionale, che prevede il diritto alla vita anche per il concepito. La Consulta lo ha affermato chiaramente nella sentenza 35 del 1997: «Ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione».
Ma oltre a questi orientamenti giurisprudenziali, il divieto esplicito alla diagnosi preimpianto si trova nella legge 40, dove in diversi articoli sono presenti aspetti incompatibili con tale pratica, come ad esempio la norma che vieta la selezione eugenetica, quella che proibisce la crioconservazione e la soppressione dell’embrione, la ricerca o sperimentazione su di esso e quella che prevede che il trasferimento nell’utero avvenga prima possibile. La sentenza della Corte Costituzionale, che il 1° aprile 2009 ha abolito il limite massimo di 3 embrioni per ogni ciclo, ha attenuato le garanzie a favore dell’embrione ma non ha scardinato il divieto della pratica selettiva. La Corte, infatti nella sentenza 369 del 2006 aveva affermato che tale divieto è «desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo alla luce dei suoi criteri ispiratori». D’altra parte le previsioni contenute nella legge 40 sono in armonia con il dettato costituzionale, che prevede il diritto alla vita anche per il concepito. La Consulta lo ha affermato chiaramente nella sentenza 35 del 1997: «Ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione».
«Avvenire» del 22 aprile 2010
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