Per Saviano non c'è differenza fra boss e imprenditori: la logica del business criminale "coincide con il più spinto neoliberismo"
di Alessandro Gnocchi
Ieri lo scrittore Sebastiano Vassalli ha risposto così a una domanda di Repubblica sulle critiche del presidente del Consiglio a Roberto Saviano: «Nella mia visione personale, Berlusconi e Saviano sono i personaggi emblematici di due Italie: una sommersa e una legale». Il «paese sommerso», ovviamente, è una malattia; e l’autore di Gomorra «un anticorpo, forse un antidoto». Lasciamo perdere il disprezzo verso il «paese sommerso» (in realtà visibilissimo: è fatto di imprenditori piccoli e grandi, liberi professionisti, commercianti, e anche moltissimi precari e disoccupati) che traspare da queste parole: non è certo una novità. Piuttosto è interessante notare come il duro giudizio sul «paese sommerso» sia al centro del libro più comprato e meno discusso degli ultimi anni: Gomorra, appunto. Un romanzo-reportage bello e importante, non c’è dubbio. Così bello e importante da meritare un dibattito approfondito come sempre dovrebbe accadere per un volume venduto in sei milioni di copie, e quindi influentissimo. Ma il personaggio Saviano, per fattori indipendenti dalla sua volontà come le oscene minacce di morte, ha finito paradossalmente con l’oscurare la propria opera.
Eppure, senza voler minimizzare l’effetto salutare del volume (riflettori accesi sulla criminalità organizzata), di cose su cui riflettere ce ne sarebbero parecchie. Infatti Gomorra non è un’opera ideologicamente neutrale o trasversale come pure si dice. Affonda le radici nella superficiale condanna del libero mercato tipica del nostro Paese.
Quando uscì Gomorra, qualcuno fece notare che alcuni teoremi sfoggiati da Saviano lasciavano un po’ a desiderare. In un focus dell’Istituto Bruno Leoni, ad esempio, si leggeva una analisi (economica) della equazione camorra uguale capitalismo stabilita nel romanzo. E si arrivava a questa conclusione: impossibile «affermare che un’azione aggressiva, intimidatoria e oggettivamente criminale come è quella condotta dai clan camorristici possa essere ricondotta alle logiche, pacifiche e volontarie, del libero mercato».
Per Saviano la differenza tra la camorra e libero mercato non è qualitativa: l’imprenditore e il boss sono simili. Il secondo, mitraglietta alla mano, è la versione senza freni del primo: «Non sono gli affari che i camorristi inseguono, sono gli affari che inseguono i camorristi. La logica dell’imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neo-liberismo». Queste sarebbero le priorità della camorra: «L’ordine è laissez faire, laissez passer. Liberismo totale e assoluto. La teoria è che il mercato si auto-regola». Con questa chiave di lettura, Saviano apre tutte le porte. L’omicidio è inevitabile perché «il mercato non permette concessioni a plusvalori umani». Lo spaccio è «informale e iperliberista». Le griffe contraffatte, alla base della fortuna delle cosche, spiegano addirittura l’intera economia dei Paesi liberi: «Tutte le merci hanno origine oscura. È la legge del capitalismo». C’è scritto proprio così, «la legge del capitalismo», non la sua degenerazione. Insomma, secondo Saviano, volenti o nolenti siamo tutti immersi nel «paese sommerso». Colpa del libero mercato. La tesi è forte e indigesta perché infondata. Eppure è passata inosservata. Anzi. Tra i recensori che l’hanno colta (pochi nonostante sia esibita quasi in ogni pagina, davvero strano), alcuni l’hanno addirittura avallata. Ad esempio, sul domenicale del Sole 24 Ore, Goffredo Fofi si interrogava: «“Profitto, business, capitale” è la base della morale camorristica, ma solo di quella?». Dopo essersi fatto la domanda, il critico si dava pure la risposta, questa: i boss «sono anche e soprattutto imprenditori». Se la pensa così perfino il quotidiano di Confindustria ...
I benefici del mercato dovrebbero essere chiari a Roberto Saviano. Egli può infatti biasimare la società in cui vive, godendo dell’indubbio privilegio di essere supportato da un colosso come Mondadori (e ieri il direttore generale Ricky Cavallero ricordava proprio su Repubblica la totale assenza di censura, il continuo sforzo promozionale e l’entusiasmo per i progetti futuri di Saviano). Il successo mondiale di Gomorra prova che il capitalismo funziona bene perché garantisce a tutti, anche alle voci critiche, la possibilità e la libertà di esprimersi ai massimi livelli.
Eppure, senza voler minimizzare l’effetto salutare del volume (riflettori accesi sulla criminalità organizzata), di cose su cui riflettere ce ne sarebbero parecchie. Infatti Gomorra non è un’opera ideologicamente neutrale o trasversale come pure si dice. Affonda le radici nella superficiale condanna del libero mercato tipica del nostro Paese.
Quando uscì Gomorra, qualcuno fece notare che alcuni teoremi sfoggiati da Saviano lasciavano un po’ a desiderare. In un focus dell’Istituto Bruno Leoni, ad esempio, si leggeva una analisi (economica) della equazione camorra uguale capitalismo stabilita nel romanzo. E si arrivava a questa conclusione: impossibile «affermare che un’azione aggressiva, intimidatoria e oggettivamente criminale come è quella condotta dai clan camorristici possa essere ricondotta alle logiche, pacifiche e volontarie, del libero mercato».
Per Saviano la differenza tra la camorra e libero mercato non è qualitativa: l’imprenditore e il boss sono simili. Il secondo, mitraglietta alla mano, è la versione senza freni del primo: «Non sono gli affari che i camorristi inseguono, sono gli affari che inseguono i camorristi. La logica dell’imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neo-liberismo». Queste sarebbero le priorità della camorra: «L’ordine è laissez faire, laissez passer. Liberismo totale e assoluto. La teoria è che il mercato si auto-regola». Con questa chiave di lettura, Saviano apre tutte le porte. L’omicidio è inevitabile perché «il mercato non permette concessioni a plusvalori umani». Lo spaccio è «informale e iperliberista». Le griffe contraffatte, alla base della fortuna delle cosche, spiegano addirittura l’intera economia dei Paesi liberi: «Tutte le merci hanno origine oscura. È la legge del capitalismo». C’è scritto proprio così, «la legge del capitalismo», non la sua degenerazione. Insomma, secondo Saviano, volenti o nolenti siamo tutti immersi nel «paese sommerso». Colpa del libero mercato. La tesi è forte e indigesta perché infondata. Eppure è passata inosservata. Anzi. Tra i recensori che l’hanno colta (pochi nonostante sia esibita quasi in ogni pagina, davvero strano), alcuni l’hanno addirittura avallata. Ad esempio, sul domenicale del Sole 24 Ore, Goffredo Fofi si interrogava: «“Profitto, business, capitale” è la base della morale camorristica, ma solo di quella?». Dopo essersi fatto la domanda, il critico si dava pure la risposta, questa: i boss «sono anche e soprattutto imprenditori». Se la pensa così perfino il quotidiano di Confindustria ...
I benefici del mercato dovrebbero essere chiari a Roberto Saviano. Egli può infatti biasimare la società in cui vive, godendo dell’indubbio privilegio di essere supportato da un colosso come Mondadori (e ieri il direttore generale Ricky Cavallero ricordava proprio su Repubblica la totale assenza di censura, il continuo sforzo promozionale e l’entusiasmo per i progetti futuri di Saviano). Il successo mondiale di Gomorra prova che il capitalismo funziona bene perché garantisce a tutti, anche alle voci critiche, la possibilità e la libertà di esprimersi ai massimi livelli.
«Il Giornale» del 20 aprile 2010
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