di Guiovanni Ruggiero
Luigi Fiorani, storico «alla romana», ci ha lasciato un affresco vivido, fatto di dolori e di speranze: quello della capitale «Città Aperta», quando la Chiesa con le sue parrocchie, i suoi seminari e i suoi conventi si prodigò per salvare la vita non soltanto agli ebrei, ma a tutti quelli che per qualche motivo finirono vittime della furia nazista. Questo affresco è offerto dalla rivista «Ricerche per la Storia religiosa di Roma», nel dodicesimo volume: Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza, che Fiorani, morto a 71 anni nel dicembre scorso, ha potuto vedere soltanto in bozza. Stampato per i tipi delle «Edizioni di Storia e letteratura», è stato presentato ieri a Roma. La figlia di Fiorani, Caterina, ne ha spiegato la genesi perché per più di dieci anni ha seguito il padre nella ricerca di queste testimonianze. Fiorani ne ha fatto un coro con voci che altrimenti si sarebbero perse. «Papà – dice la giovane archivista – aveva bisogno di Roma per scrivere questo libro. Sono state le strade della città (via Tasso prima di tutte, in cui i tedeschi avevano fatto un carcere bieco), le lapidi sui muri e le 'madonnelle', a raccontare questa storia con le voci degli abitanti sopravvissuti. Mio padre – continua Caterina Fiorani – ha voluto dimostrare che soltanto un sentimento forte poteva spingere preti, suore e anche laici ad aiutare gli altri, e questo sentimento può venire soltanto dalla fede». Fiorani, forse l’unico, ha esplorato anche gli archivi parrocchiali, scoprendo che la rete delle 106 parrocchie di Roma, quante ne erano nel 1943, ebbe una parte importante per la salvezza di tanta gente altrimenti condannata a morte. «Gli ambiti religiosi si aprirono per motivazioni evangeliche – dice lo storico Augusto D’Angelo, docente a Scienze Politiche della Sapienza – Non rappresentarono immediatamente una presa di posizione politica per l’antifascismo militante: emerse, piuttosto, una presa di distanza forte dalla china presa dal regime, dalla violenza nazista, e la scelta di rispondere dinanzi al dramma della città con uno sforzo umanitario ai bisogni della popolazione e specialmente quella maggiormente colpita».
Senza Fiorani non avremmo mai saputo di redentoristi come padre Antonio Dressino che nascose nella sua parrocchia 35 ricercati, tra cui 7 ebrei, o di don Vincenzo Gilla Gremigni, parroco a Lungotevere Prati, minacciosamente diffidato dall’intervenire contro la guerra e l’ordine sociale stabilito dal regime. Le pagine di Fiorani sono dense di nomi, di piccoli eroi per la fede, rimasti nell’oblio. È il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, a definire Fiorani uno storico che viveva la sua fede «alla romana», «ovvero – aggiunge – per la fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, la stessa che leggeva nel popolo. Era schivo, ma appassionato. Non amava stare in prima fila, preferendo stare in prima fila nello studio, nella ricerca appassionata degli archivi e in tutto ciò che serve per raccontare una grande storia».
Senza Fiorani non avremmo mai saputo di redentoristi come padre Antonio Dressino che nascose nella sua parrocchia 35 ricercati, tra cui 7 ebrei, o di don Vincenzo Gilla Gremigni, parroco a Lungotevere Prati, minacciosamente diffidato dall’intervenire contro la guerra e l’ordine sociale stabilito dal regime. Le pagine di Fiorani sono dense di nomi, di piccoli eroi per la fede, rimasti nell’oblio. È il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, a definire Fiorani uno storico che viveva la sua fede «alla romana», «ovvero – aggiunge – per la fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, la stessa che leggeva nel popolo. Era schivo, ma appassionato. Non amava stare in prima fila, preferendo stare in prima fila nello studio, nella ricerca appassionata degli archivi e in tutto ciò che serve per raccontare una grande storia».
«Avvenire» del 23 aprile 2010
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