Intolleranza nelle pagine scientifiche sul caso degli “errori di Darwin”
s. i. a.
Riflettendo sull’intolleranza della cultura evoluzionista, lo storico inglese Paul Johnson qualche anno fa aveva parlato di “ayatollah e iconoclasti darwinisti” che hanno “occupato i posti di comando nei dipartimenti universitari e delle riviste scientifiche, negando udienza a chiunque sia in disaccordo con loro”. Parole profetiche a giudicare dalle reazioni della stampa italiana al libro di Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor, Gli errori di Darwin (Feltrinelli). Ieri sulle pagine scientifiche della Stampa è apparsa l’ennesima spietata stroncatura del libro. Tranne il Corriere della Sera, che ha ospitato gli interventi di Piattelli Palmarini e una recensione non squalificante di Telmo Pievani, sugli altri quotidiani è stato un unanime coro di voci che non ha ammesso dissensi, dimostrando lo spirito settario di certa vulgata scientista.
Sono caduti molti muri ideologici nei giornali nostrani, ma quando si parla di Darwin questi inserti culturali assomigliano sempre a cittadelle assediate. Soprattutto dal conformismo. Non ci si possono scegliere antagonisti di comodo per liquidare la critica. Si doveva parlare del libro e delle sue conseguenze. E invece finora ci si è limitati a sgradevoli polemiche personali, malgrado molti grandi scienziati testimonino a favore della attendibilità degli argomenti addotti nel libro. Non un solo intellettuale ha avuto il coraggio di criticare l’attacco ad personam subito dagli autori. L’auspicio a questo punto è che i darwinisti di professione la piantino di scatenare i loro cani contro chiunque osi dubitare che Darwin abbia risolto per sempre il problema dell’origine delle specie. Come ha scritto il genetista Giuseppe Sermonti, il grande pariah dell’evoluzionismo italiano, il darwinismo si è dimostrato davvero “un credo che non tollera eretici”.
Lo si è visto dalla viltà e dalla povertà delle pagine culturali e scientifiche italiane. E anche dalla timida disattenzione con cui la cultura cattolica e la chiesa hanno accolto questa testimonianza di pluralismo scientifico e di metodo critico. L’iperevoluzionismo darwiniano, con la sua teoria della selezione naturale considerata fallace da una parte autorevole del mondo scientifico, ha preso possesso della terra, non perché la teoria sia provata e confermata, ma perché l’ideologia che la sottende ha conquistato le cattedre e la pubblicistica, come vuole la logica del “might is right”.
Sono caduti molti muri ideologici nei giornali nostrani, ma quando si parla di Darwin questi inserti culturali assomigliano sempre a cittadelle assediate. Soprattutto dal conformismo. Non ci si possono scegliere antagonisti di comodo per liquidare la critica. Si doveva parlare del libro e delle sue conseguenze. E invece finora ci si è limitati a sgradevoli polemiche personali, malgrado molti grandi scienziati testimonino a favore della attendibilità degli argomenti addotti nel libro. Non un solo intellettuale ha avuto il coraggio di criticare l’attacco ad personam subito dagli autori. L’auspicio a questo punto è che i darwinisti di professione la piantino di scatenare i loro cani contro chiunque osi dubitare che Darwin abbia risolto per sempre il problema dell’origine delle specie. Come ha scritto il genetista Giuseppe Sermonti, il grande pariah dell’evoluzionismo italiano, il darwinismo si è dimostrato davvero “un credo che non tollera eretici”.
Lo si è visto dalla viltà e dalla povertà delle pagine culturali e scientifiche italiane. E anche dalla timida disattenzione con cui la cultura cattolica e la chiesa hanno accolto questa testimonianza di pluralismo scientifico e di metodo critico. L’iperevoluzionismo darwiniano, con la sua teoria della selezione naturale considerata fallace da una parte autorevole del mondo scientifico, ha preso possesso della terra, non perché la teoria sia provata e confermata, ma perché l’ideologia che la sottende ha conquistato le cattedre e la pubblicistica, come vuole la logica del “might is right”.
«Il Foglio» del 29 aprile 2010
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